Lo Juventus Club Siena Ghibellina era nato da pochi anni. Ricordo ancora quando il sottoscritto, insieme ad altri sei amici dal cuore zebrato, si ritrovò di fronte ad un notaio per dar vita a quello che sarebbe diventato, da lì a poco, uno dei Club Juventini più numerosi della Toscana: era la fine del 1980.
Eravamo giovani veramente, grandi sognatori, con il futuro dalla nostra parte e con la realtà di allora che ci concedeva ben poco. Ecco che il Pianeta Calcio diventava per noi quasi ventenni un caposaldo, una certezza di fronte a tante insicurezze dell’epoca.
Eravamo convinti di un calcio onesto, fiabesco, limpido, con le trasmissioni di allora molto egoiste nel regalarci immagini e servizi, cosicché noi juventini attendevamo con ansia quei pochi minuti in cui potevamo gustarci avidamente i goal dei nostri eroi bianconeri.
Ecco perché nacque lo Juventus Club Siena Ghibellina. Per dar modo a noi tifosi, distanti da Torino, di poter organizzare trasferte verso il Comunale e gridare a squarciagola al momento della rete dei nostri idoli.
Come rimpiango quelle trasferte e quelle emozioni, grazie ad un Club che credo sia stato assorbito da altri più grandi a livello toscano.
Ma torniamo al 1984. Era abitudine dello Juve Club Siena Ghibellina premiare un protagonista della stagione in corso, quasi sempre nel mese di ottobre. Quell’anno il nostro ospite si chiamava Giovanni Trapattoni. La hall del Jolly Hotel di Siena era affollata al momento dell’aperitivo, quando mi avvicinai al leggendario allenatore e gli dissi:
“ Mister, basta con Favero, per cortesia”.
Lui mi guardò con occhi che si erano fatti penetranti e mi rispose:
“ Tu di calcio non capisci niente! Favero è uno dei più grandi marcatori d’Italia”.
Ho ancora nelle orecchie la risata di tutti i tifosi che si trovavano a pochi metri da noi.
Luciano Favero è stato il simbolo di un calcio che fu, quando esisteva lo stopper che andava a francobollare la prima punta, il terzino destro che s’incollava al secondo attaccante avversario, di solito quello più agile e veloce, con il libero che vigilava il settore difensivo ed il terzino di sinistra che “fluidificava” sulla sua corsia.
Luciano arrivò a Torino nell’estate del 1984, sostituendo nello scacchiere bianconero un certo Claudio Gentile e facendo così storcere il naso a tutti i bianconeri d’Italia. Veniva dall’Avellino, dove era stato protagonista di un campionato ad ottimi livelli, e dove era venuto fuori il suo tipo di gioco tosto ed arcigno, al limite della cattiveria agonistica, da contrapporre al bomber di turno.
Ma l’Avellino non era la Juve, nonostante ciò il Trap ci credette, accorgendosi da subito che il giocatore era un marcatore eccellente, costante, granitico, che non si spezzava, ed iniziò con lui lo stesso lavoro che aveva eseguito con Gentile, migliorandolo nei fondamentali, nella corsa e nella costruzione del gioco.
Il veneto fece capire a tutti chi era quando il Trap, intorno al Natale del 1984, gli affidò Maradona durante un incontro con il Napoli, vinto dai bianconeri per 2-0. Partita giocata in punta di piedi, con rispetto estremo del grande avversario, senza abusare di falli, sempre d’anticipo sull’argentino che sarebbe uscito dal campo battuto e con la testa china. Ma la consacrazione arrivò pochi giorni più tardi, in finale di SuperCoppa Europea quando trovò sulla sua strada i “reds” del Liverpool. I signori inglesi Rush e Wark avrebbero ricordato per molto tempo lui e Brio, che si alternarono con grande efficacia nella marcatura dei due attaccanti.
Era definitivamente nato un grande terzino.
Conferme infinite arrivarono nei mesi seguenti con le partite di Coppa Campioni che ci portarono a Bruxelles, dove sangue, follia, terrore e dolore fecero passare in secondo piano una grande prestazione della Juve e del solito Luciano.
Arrivarono per lui negli anni seguenti altre soddisfazioni immense, come la Coppa Intercontinentale di Tokio che lo portò sul tetto del mondo e lo scudetto 1986, vinto con una Juve completamente trasformata nel gioco e negli uomini.
E’ doveroso ricordare anche il suo primo bellissimo goal in bianconero, messo a segno trafiggendo il portiere dell’Udinese dopo una fuga sulla destra. Una di quelle “fughe” che il grande Trap gli aveva insegnato a fare appena sbarcato a Torino due anni precedenti.
Grande, grandissimo Luciano e grande Trap: come al solito aveva ragione lui quel giorno lontano al Jolly Hotel di Siena.
Capitò che nell’ottobre del 1987 lo Juve Club ospitò per il ritiro del Premio “Il ghibellino d’oro” proprio Luciano Favero, e sempre al Jolly Hotel di Piazza Gramsci.
Così mi feci avanti e gli dissi: “Luciano, scusami ma non credevo in te all’inizio, invece sei un grande”.
Mi guardò sorridendo e rispose: “ Tranquillo, non eri l’unico. Grazie mille”.
Le sue parole uscirono quasi timidamente dalla sua bocca, in punta di piedi, proprio come la sua indimenticabile e gloriosa carriera nella Juve.
Luciano Favero: aveva ragione il Trap
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