Di cognome faceva Gentile, ma gli appellativi con cui era raccontato dicevano altro: il ‘feroce Saladino’ (appioppatogli da Gianni Brera), al pari di ‘Gheddafi’’, ‘Il Grinta’, il ‘Mastino’ dipingevano la figura di un difensore duro e spietato, che non concedeva un metro agli avversari, che si appiccicava all’avversario più celebrato e non lo faceva respirare.
Claudio Gentile nasce a Tripoli, in Libia il 27 settembre 1953, da famiglia siciliana, e i primi calci li tira proprio a Tripoli, per le strade del rione Sant’Antonio, scalzo, tra la polvere e il fango, assieme a compagni di gioco arabi, svegli e smaliziati, che lo iniziano all’arte di lottare e combattere su ogni pallone.
A otto anni, il ritorno in Italia, a Brunate, un paese che guarda dall’alto il lago di Como: ed è nella squadra giovanile di una società comasca, il Maslianico, che Claudio inizia a giocare davvero a calcio, la sera, dopo il lavoro in fabbrica. Gli osservatori cominciano ad accorgersi di lui, il Como lo vorrebbe, ma c’è un investimento da fare: bisogna pagare l’abbonamento delle corse della funicolare da Brunate a Como e ritorno: e a quel calcio povero pare troppo, per un ragazzino, e vi si rinuncia.
E così Gentile finisce a Varese, alla corte del patron Borghi; compie tutta la trafila nelle giovanili biancorosse ma, al momento di compiere il salto verso la prima squadra, una cocente delusione attende Claudio: i dirigenti varesini non credono in lui e, mentre alcuni dei suoi compagni o vengono ammessi nella rosa o vengono ceduti a quotate compagini di serie C, lui viene trattato quasi come un ‘bidone’ e deve ritenersi già fortunato se una squadra di serie D, l’Arona, lo accoglie: lì, armato della sua volontà di ferro, Claudio mette tutto se stesso nel tentativo di dimostrare di valere; e l’anno dopo viene richiamato a Varese, per disputare il campionato di serie B: è per lui un buon campionato, ma non convince i dirigenti varesini, Maroso e Vitali in primis, che ancora non credono nelle sue potenzialità; per sua fortuna la Juve di Boniperti lo nota, lo apprezza e lo vuole alla sua corte.
E nell’estate 1973 Claudio approda a Villar Perosa, ed è a questo punto che ha inizio davvero la sua carriera. Inizialmente viene schierato in campo in un ruolo per lui assolutamente atipico, come mediano (è l’alternativa a Furino): d’altronde la difesa di quella Juve annovera giocatori esperti e validi come Marchetti e Spinosi. Esordisce contro il Verona, a dicembre e viene confermato, diventa titolare, viene convocato in Nazionale; non tutto naturalmente è sempre così facile, arriva anche il periodo in cui la forma scende ai minimi, e allora ci vogliono grinta, determinazione e volontà di ferro per risalire ai livelli precedenti; ma non sono certo queste le doti che mancano a Claudio Gentile, che diviene presto l’incubo di generazioni di attaccanti e il campione che, a cavallo degli anni Settanta-Ottanta, ha saputo irretire e far sognare la moltitudine dei tifosi bianconeri.
E proprio sulla sua combattività, sul suo carattere fermo e deciso, sulla sua mentalità vincente, il nostro costruisce la sua carriera alla Juventus, con la quale vince tutto, tranne la Coppa dei Campioni: sei scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa UEFA.
La sua stagione migliore? Forse l’annata 1976/77, la Juve di Trapattoni, in cui il mastino Gentile forma con Cuccureddu una coppia di laterali difensivi dal rendimento eccezionale per debordante forza fisica e per carica agonistica, in una difesa ermetica completata dal roccioso Morini e da uno Scirea in ascesa.
Ma nel suo album dei ricordi un posto speciale occupa il Campionato del Mondo vinto con l’Italia nel 1982; due le fotografie simbolo per Gentile: le magliette strappate di Zico e Maradona, due miti marcati e cancellati, annichiliti; e Maradona non la prende bene.
Nel 1984, a 31 anni il divorzio dalla Juventus e il passaggio alla Fiorentina; la sua carriera si conclude nel Piacenza nel 1988.
Una carriera con la fama di duro, eppure….. 283 partite in campionato e mai un’espulsione; espulsione rimediata una sola volta, in Coppa dei Campioni, per doppia ammonizione, nel secondo tempo supplementare di Bruges-Juventus: e un minuto più tardi Vandereycken, su cross di Sorensen, segna la rete che estromette la Juve dalla finale di Coppa Campioni, l’unico trofeo sfuggito a Gentile.
Terminata la carriera come calciatore, Gentile diventa allenatore e nell’autunno del 2000, dopo essere stato per pochi mesi vice di Trapattoni nella Nazionale maggiore, succede a Marco Tardelli alla guida dell’Under 21, con la quale conquista l’Europeo di categoria nel 2004 e il bronzo alle Olimpiadi di Atene.
Nel luglio 2006 la doccia fredda: dopo che il 18 luglio il commissario Guido Rossi ha dichiarato in televisione che Claudio Gentile è ancora l’allenatore dell’Under 21, il giorno 20 viene comunicato all’ex mundial che i programmi sono cambiati e che l’incarico sarà affidato a Pierluigi Casiraghi. E Gentile porta la Figc in tribunale, perché le rassicurazioni verbali ricevute, anche da parte di Demetrio Albertini, vicepresidente della Figc, lo avevano convinto a respingere le offerte di squadre italiane e straniere.
Da allora non ha più allenato e si è spesso chiesto perché in Italia nessuno lo chiami più, in fondo lui qualche risultato l’ha ottenuto, più di qualcun altro che occupa una panchina prestigiosa.
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