Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.

Dopo aver completato il percorso relativo alle nove frodi sportive per le quali l’ex direttore generale bianconero è risultato colpevole in primo grado ed introdotto e dopo una prima scrematura del fango gratuito dal capo 'imputazione A, relativo all’accusa di associazione per delinquere finalizzato alla frode sportiva, entriamo ora nel merito della condanna vera e propria, partendo innanzitutto dalla descrizione del reato ad integrare il quale per questo tribunale “occorre l’accordo di volontà e un vincolo di permanente colleganza.

Gli associati devono avere il comune proposito e la comune risoluzione di commettere più delitti, (...) nel caso in esame più reati di tentativo, nella forma della frode sportiva contemplata come ipotesi di chiusura dall’art. 1 della legge 401/89. Il giudicante deve confrontarsi con il requisito del comune proposito e della comune risoluzione, che non contrassegna il delitto solo sotto l’aspetto del dolo, ma lo caratterizza altresì nella sua materialità come direzione oggettiva del fatto collettivo. Va provata la stabilità dell’unione finalisticamente orientata a perseguire lo scopo comune valendosi della struttura all’uopo creata. Gli associati vengono puniti per il fatto dell’associazione in forza del collegamento determinato dalla loro partecipazione, sia anche solo morale, all’iniziale intento criminoso di tipo organizzativo” (pag. 414, nelle motivazioni della sentenza).

E, dunque, “su queste premesse il tribunale, avuto riguardo allo scopo perseguito dagli associati, di contaminazione degli arbitraggi attraverso sollecitazioni adoperate dal Moggi nei confronti degli arbitri, e da costoro accettate con riferimento alla parte delle competizioni svoltesi nella stagione 2004/05, oggetto dell’imputazione, stima che la prova della responsabilità può ritenersi acquisita (...) per taluni degli imputati" (pag. 414). Infatti, “è convincimento del tribunale che sono sufficienti:
- le parole pronunziate nelle conversazioni intercettate, quali trascritte al dibattimento, nel cumulo con
- il contatto telefonico ammantato di clandestinità, rappresentato dall’uso vicendevole delle schede straniere,
per integrare gli estremi del reato, poiché trattandosi di reato di tentativo, questo non ha necessità della conferma, che il dibattimento in verità non ha dato, del procurato effetto di alterazione del risultato finale del campionato di calcio 2004/2005 a beneficio di questo o quel contendente
” (pag. 84).

Il fatto che i campionati in realtà non siano stati alterati, condizione sostanziale e che rende gli scudetti n. 28 e 29 vinti sul campo dalla Juventus della Triade legittimi contro ogni rivendicazione sportiva, e che, dal punto di vista giudiziario, toglie la società bianconera da questa farsa, non rappresenta, quindi, per i giudici un valido motivo per assolvere gli imputati, dato che non può “una tal deficienza considerarsi risolutiva, poiché se è vero che l’atto fraudolento deve essere immediatamente riferibile alla partita di calcio, e incidere in qualche modo sulla stessa, l’interesse che muove l’atto fraudolento ben può essere proprio anche dell’estraneo della competizione” (pag. 84).

In pratica, a giudizio del tribunale di primo grado, in campo tutto si è svolto regolarmente, ma poiché, sempre a giudizio del collegio, dietro le quinte si tentava di tramare per avere una qualche influenza sulla competizione, rischiando così di comprometterne “il leale e corretto svolgimento”, alcuni imputati vanno considerati colpevoli sia di frode sportiva che di associazione per delinquere. Le “prove” usate dai giudici per supportare le condanne dell’ex direttore per frode le abbiamo già affrontate nei precedenti articoli; ora invece ci occuperemo, appunto, del capo A. Come abbiamo visto, i giudici ritengono fondamentali sia le conversazioni in chiaro che le sim straniere.

Per quanto riguarda le conversazioni, innanzitutto rileviamo che:
- nonostante la genesi e il metodo delle indagini, con le esternazioni di Baldini “in coda di suo esame, indicativa del malanimo con il quale ha dato avvio alla collaborazione con l’investigatore ufficiale Auricchio” (pag. 101), e
- nonostante vengano trascritte in varie puntate “(data 21/12/09: deposito prima perizia, data 15/9/10: deposito di seconda perizia, data 8/2/11: deposito di terza perizia, data (8/4/11: deposito di quarta perizia)” (pag. 102), e pur se "indubitabilmente sarebbe stato opportuno avere, a suo tempo, maggiore considerazione per il principio di proporzione" (pag. 102). il tribunale considera che esse riproducano, senza bisogno di ulteriori trascrizioni, “l’esistenza di un quadro sociale delle condotte indicativo di una generalizzata tendenza a conquistare il rapporto amichevole, in funzione del suggerimento, con designatori e arbitri” (pag 85).

Quindi i giudici evidenziano come le telefonate dimostrino che tutte le squadre provavano in qualche modo ad ingraziarsi gli arbitri. Questo però di per sé non mette al riparo Luciano Moggi, “se viene dimostrato che per la sua parte questi ha tenuto comportamento diretto a invadere il campo della discrezionalità tecnica di designatori e arbitri, e a introdursi surrettiziamente, forte della indiscussa competenza nella materia del calcio, nell’area dell’arbitraggio, con esercizio, quindi, di potere che, nella visione del tribunale, puo’ pur sempre essere considerato non indifferente alla contestazione di frode sportiva” (pag. 85).

A questo aspetto del ‘così facevan tutti, ma solo Moggi paga’, dedicheremo un articolo intero, poiché è uno dei punti chiave che ha permesso ai giudici, sia nel processo penale ma anche in quello sportivo, di abbassare in modo così estremo l’asticella dell’intransigenza dell’interpretazione di leggi e norme “di pericolo presunto”, in modo da farci rientrare una condanna per l’ex direttore della Juventus. Abbiamo, dunque, la convinzione del collegio giudicante, che il discorso telefonico non ha “patito totale disfatta nell’urto con il dibattimento, (...), pur tenuto in conto le qualità dei parlanti, anche psicologiche, (...), e il particolare ambiente del loro agire, che è pur esso elemento di valutazione quando vengono in esame delitti a consumazione anticipata” (pag. 89).

Passiamo ora al famoso teorema delle sim straniere del maresciallo Di Laroni, al quale il tribunale ha voluto dar credito, sia per quanto riguarda i contatti sia per il metodo di attribuzione, poiché “non è decisiva la moltiplicazione dei contatti tra gli imputati accettanti le schede acquistate dal coimputato Moggi, pacificamente derivata dal metodo artigianale seguito dal maresciallo Di Laroni (“non ho utilizzato nessun programma, con olio di gomito, con la mano li ho fatti”: vedi controesame difesa Moggi ud. 13/11/09)” (pag. 105). Infatti, per i giudici è vero che questo metodo ”ha comportato:

- un’apparenza di contatti superiori a quelli rappresentati dall’investigatore, obbligato dal tipo dell’indagine, derivato dalla rinunzia a seguire la strada maestra della rogatoria (“non è stata fatta una rogatoria, ciò era anche possibile”: vedi controesame di Di Laroni dell’avvocato Messeri: ud. 10/11/09), a chiedere a tutti indistintamente i gestori italiani con l’effetto, dichiarato al dibattimento, che il numero dei contatti telefonici apparenti deve essere diviso per il numero dei gestori italiani, e,
- la mancata corrispondenza tra i contatti in entrata e in uscita
” (pag. 105).

Tuttavia, scrive il tribunale, “nondimeno i contatti, per quanto in numero più contenuto rispetto all’apparenza, non possono essere negati, anche se, come non ha mancato di sottolineare lo stesso Di Laroni a non tutti i contatti corrisponde immancabilmente colloquio (“ovviamente io parlo di contatti, possono essere sms, tentativi, fonie”: vedi udienza 10/11/09)” (pag. 105-106). Ed inoltre “appaiono al tribunale convincenti i criteri adoperati dagli investigatori per associare la scheda a questo o a quello degli imputati, e cioè ora il riferimento della cella agganciata dalla sim che faceva la telefonata, coprente area in cui poteva essere collocato per territorio l’imputato, ora l’individuazione di persone che si potevano collegare agli imputati, chiamate con queste schede su numeri di gestori italiani alle dette persone intestate, ora il confronto con il dato risultante dalle intercettazioni di conversazioni telefoniche disposte nel processo, indicativo del contestuale uso della scheda straniera” (pag. 106).

Essendo quindi utilizzabili le trascrizioni delle conversazioni, “ferma la cautela alla quale deve essere improntata la interpretazione del discorso telefonico di soggetti pur sempre dalle caratteristiche particolari, moventisi in ambiente dilaniato da recriminazioni di vario tipo, spesso affidate alla stampa, e dominato dal sospetto, con conseguenza di reazione scomposta, oltre misura, cosi’ dovendo qualificarsi le reciproche spiate” (pag. 102), e giudicate valide le attribuzioni delle schede straniere, il tribunale di Napoli ritiene di avere le prove per condannare per associazione per delinquere l’ex dirigente che al suo primo anno, nel 1994/95, dopo una pausa di nove stagioni, aveva finalmente riportato di nuovo la Juventus sul tetto d’Italia. Nella prossime due puntate, che saranno anche le ultime sul capo A, analizzeremo in concreto gli elementi che hanno portato a motivare questa condanna.


Puntate precedenti:
SPECIALE CALCIOPOLI: A5, Il "salvataggio" della Fiorentina
SPECIALE CALCIOPOLI: Z, La Roma-Juventus dei "traditori"
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