Proseguiamo la nostra serie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.
Tra quelle subite dall’ex dirigente al processo di Napoli ve ne sono un paio in cui i giudici hanno motivato la condanna con il binomio schede svizzere e difesa dell’arbitro nella trasmissione televisiva del processo di Biscardi. In un precedente articolo di questa mini sub-serie ci eravamo occupati del capo d’imputazione Z, legato alla Roma-Juventus del ritorno nella capitale dei “traditori”: Capello, Emerson e Zebina.
Oggi tratteremo il capo O, secondo cui Moggi “quale istigatore (...) compiva atti fraudolenti finalizzati a influire sul risultato dell’incontro di calcio Cagliari/Juventus (1/1), esito perseguito dal Racalbuto che si adoperava per il raggiungimento di un risultato comunque favorevole alla squadra del Moggi”. Anche qui, come per il capo Z, la condanna poggia su diversi piloni. Da un lato ovviamente gli immancabili contatti sulle schede svizzere, teorizzati e ricostruiti in modo arruffone dal Maresciallo Di Laroni, “tra Moggi, numero finale 194, e Racalbuto, numero finale 187, nel periodo sospetto dal 10 al 17/1/05” (pag. 176 delle motivazioni della sentenza). In aggiunta a questo standard i giudici hanno considerato anche la famosa telefonata in ambientale, la 10966 del 5/1/05, attribuita, sempre dal mago degli incroci, a Moggi e Salvatore Racalbuto, conversazione in cui si sente Moggi salutare l'interlocutore e dire "Achi" (come Achille) ed in cui per ben due volte si ascolta la famosa domanda "ma che procuratore hai?"
Quindi abbiamo la telefonata con un esponente della trasmissione televisiva chiamata “Processo del Lunedì”. Questa volta il contatto è con l’ex arbitro e designatore arbitrale Fabio Baldas: nella 12547 del 17/1/05, i due discutono se fosse opportuno o meno togliere punti al gioco della “patente” dell’arbitro, per via di un fuorigioco di 50 cm da ridurre eventualmente a 20 cm per venire incontro alla “tesi difensiva”. Fuorigioco comunque, come concordano entrambi gli interlocutori, oggettivamente difficile da vedere e di competenza soprattutto dell’assistente. Dalla stessa telefonata emerge che Baldas, che conosce l’arbitro “come le mie tasche, e capirai non sto lì a...”, era già intenzionato di sua iniziativa a tutelare l’arbitro da possibili polemiche. Emerge inoltre lo stupore di Baldas per il fatto che durante la gara l’arbitro si fosse “lasciato andare a nervosismi nel, nel rapporto con i giocatori, che non aveva bisogno di fare, no, allora la gente parla di questo, no”.
Tolto il caso del singolare coinvolgimento nel ”salvataggio” della Fiorentina che fa storia a sé, dalle risultanze del processo si può rilevare come sia quantomeno curioso che entrambe le condanne che abbiamo finora analizzato, i capi d’imputazione Z e O, siano legate a partite già in partenza caricate all’estremo dall’ambiente calcistico contro la Juventus, con giocatori e addetti ai lavori autori di reazioni spropositate, come appunto quella di Abeijón a Cagliari, o la caccia all’uomo a Roma, culminata con il pugno di Cufré a Del Piero che, forse consapevole del clima fuori controllo di quella partita, non reagì nemmeno. Quasi servissero a creare e supportare artificialmente proprio quel clima di "guerra" e di inchiesta contro la Juventus, che costrinse poi l’ex dirigente a cercare di tutelare la reputazione della propria squadra dagli attacchi del mondo mediatico-calcistico. Per inciso, ricordiamo anche che l’inchiesta di Calciopoli nasce proprio da un altro episodio di isteria collettiva in campo, a Messina, che indusse poi l’allora presidente del Venezia, Dal Cin, a sobbarcarsi la lunga trasferta a Napoli per denunciare presunte intromissioni della GEA.
Infine, diventa rilevante ad avviso dei giudici la telefonata con il dirigente federale Francesco Ghirelli, la 27540 del 19/1/05, ritenuta telefonata in difesa di Racalbuto e contenente riferimento proprio al presunto nervosismo dell’arbitro che fa prontamente scattare una verifica della FIGC sull’accaduto, verifica della quale l’ex direttore bianconero viene a sapere, spacciata per inchiesta federale, attraverso, sorpresa sorpresa, la stampa sportiva:
Moggi: “Anche perché oggi, ma tu l’hai letti i giornali come sono venuti fuori?”
Ghirelli: “l’ho letto, l’ho letto”
Moggi: “E tu capisci che non è mica una cosa giusta questa qua, eh?”
Ghirelli: “L’ho letto”
Moggi: “Perché se no siamo sempre di mezzo noi e quando...”
Ghirelli: “Luciano, non ti preoccupare
Moggi: “Quando... quando...quando il Milan ha vinto per fuorigioco a Genova, nessuno ha interpellato nessuno. Quando il Milan ha vinto con la Reggina in casa, nessuno ha interpellato nessuno”
Ghirelli: “Ma non è dipeso da... Luciano, fermati un attimo”
Come si può leggere, Luciano Moggi fa rilevare al suo interlocutare la totale mancanza di parità di trattamento “che Ghirelli mostra di condividere, pur se con cautela di fronte alla protesta di Moggi di uso di due pesi e due misure” (pag 189-90). La telefonata prosegue con Ghirelli che spiega a Moggi che si tratti semplicemente di un atto dovuto conseguente alle dichiarazioni di Abeijon e del suo presidente, Cellino, che si erano lamentati del presunto nervosismo dell’arbitro Racalbuto.
Analizzando, dunque, le motivazioni, salta subito agli occhi come i giudici abbiano chiaramente equivocato il discorso di tutela della Juventus in relazione ai media e di considerazioni generali sulla giornata calcistica da parte di Moggi, trasformandolo, in “difesa appassionata del Racalbuto dopo la partita”, “in funzione dell’assoluzione di Racalbuto dai peccati di gara” (pagg. 176, 189), oltretutto in un format, quello del Processo di Biscardi, con pochissima credibilità. D’altronde, proprio la 10966 che contiene “l’ambientale” usata per condannarlo, dimostra la sua estrema attenzione per i media. Ascoltandola tutta si capisce come l'ex responsabile per il mercato juventino, che portò sotto la Mole due futuri palloni d'oro, si faceva riportare fin nei dettagli la rassegna stampa sportiva da un proprio dipendente, incluso ciò che veniva scritto sulla Gazzetta dello Sport, giornale recentemente trasferitosi a Crescenzago, nella periferia milanese. Anche la telefonata con il dirigente FIGC è del tutto improntata alla preoccupazione dei risvolti mediatici dell' “inchiesta” sull’arbitro piuttosto che dell' "inchiesta" stessa e delle sue eventuali conseguenze tecniche sulla carriera dell’arbitro.
E poiché, come ogni appassionato sportivo italiano ben sa, nelle discussioni calcistiche del nostro paese almeno la metà del tempo viene passato a discutere di arbitri, potere e dietrologie, specialmente quando si tratta della squadra bianconera, è quindi del tutto ovvio e pacifico che anche in quelle che coinvolgono Moggi e i media o altri addetti ai lavori si finisca spesso per parlare del giudice di gara, evidenziando di volta in volta i torti subiti e/o e difendendosi dalle sviste a proprio vantaggio, cercando di portare quanta più acqua al proprio mulino. A riguardo non ha alcuna importanza che in questa particolare circostanza l’avversario fosse stato il “piccolo” Cagliari, poiché la salvaguardia mediatica della propria squadra va vista in ottica del campionato intero e della parità di trattamento rispetto alle altre contendenti per il titolo. È anzi quasi un atto dovuto da parte di un direttore generale bianconero, e spesso addirittura i tifosi juventini ne sentono l’assoluta mancanza. Tale difesa, sebbene parziale ed incompleta viste le forze in campo, è dovuta proprio allo squilibrio dei media che ormai, come dei peggiori bar sport, accusano sistematicamente, qualche volta in modo palese, e tante altre volte in modo subdolo e vigliacco, la Juventus di fantomatici poteri occulti.
Quindi è del tutto logico che Moggi si adoperasse, per quanto possibile, per ottenere in quei contesti un giudizio quantomeno equilibrato, se non proprio dagli ospiti dichiaratamente faziosi e anti-juventini, almeno da chi doveva moderare la trasmissione. D’altronde se c’è una cosa che il processo Calciopoli ha fatto emergere in modo inequivocabile, è il forte potere di condizionamento dei media sul pubblico, e di riflesso sui giudici sportivi. Un altro aspetto emerso dalle indagini della squadra “Off-side” è che il paesaggio dei media sportivi è stato da tempo contaminato in modo asimmetrico per quanto riguarda la tutela diretta o indiretta delle squadre. Lo faremo emergere in tutta la sua prepotenza nella prossima puntata dedicata al capo M, relativa a Juventus-Milan, quella per intenderci del vantaggio di Kakà negato dal direttore di gara, e che vede coinvolta la squadra del proprietario di buona parte dei media nazionali. Sarà anche vero, come dice Auricchio, che “non risulta che il Milan abbia televisioni”, ma a noi sembra soltanto un tecnicismo arrampicatorio per spaccare il capello in difesa della squadra rossonera.
Puntate precedenti:
Speciale Calciopoli: A5, Il “salvataggio” della Fiorentina
Speciale Calciopoli: Z, la Roma-Juventus dei “traditori”