Proseguiamo la nostra serie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.
Tra quelle subite dall’ex dirigente al processo di Napoli ve ne sono un paio motivate dai giudici con il binomio schede svizzere-difesa dell’arbitro nella trasmissione televisiva del Processo di Biscardi. In precedenti articoli di questa mini sub-serie ci eravamo occupati dei capi d’imputazione Z, legato alla partita Roma-Juventus col ritorno nella capitale dei “traditori” (Capello, Emerson e Zebina), e O, il famoso Cagliari-Juve con le accuse di Abeijon contro l’arbitro. Oggi chiuderemo questa parte (anche se qua e là troveremo altri contatti con la trasmissione di Biscardi, ma usati dai giudici in tono molto meno enfatico) trattando il capo M, secondo cui Moggi e Fabiani “quali istigatori, compivano atti fraudolenti finalizzati a influire sul risultato dell’incontro di calcio Juventus/Milan (poi terminato 0/0), esito perseguito dal Bertini (...) che si adoperava per il raggiungimento di un risultato comunque favorevole alla squadra del Moggi”.
La partita è dunque quella del famoso “vantaggio” di Kakà negato dall’arbitro Bertini, che come l’altrettanto famoso ma più recente “gol di Muntari” avrebbe senza ombra di dubbio determinato la vittoria per squadra milanese nella rispettiva partita. Questo almeno a sentire i pareri nei media, media ovviamente non di proprietà del Milan, dato che notoriamente non ne ha, almeno ad dare retta al capo-investigatore della squadra Offside, Attilio Auricchio.
In questo caso, a differenza dei precedenti due, la condanna poggia unicamente su questo strampalato binomio. Un paio di contatti su schede straniere, “ovvero per tre minuti e trentasette secondi alle ore 19,35 del 15/12/04, per due minuti e nove secondi alle ore 21,45 del 17/12/04” (pag 167, delle motivazioni della sentenza), contatti, ricordiamolo, teorizzati artigianalmente dal Maresciallo Di Laroni, in combinazione con la telefonata tra Moggi e Aldo Biscardi ed ecco servita una bella condanna penale. Infatti, “soccorrono anche qui le intercettazioni telefoniche per condannare Moggi e Bertini, e però non anche Fabiani, poiché, pur essendosi il tribunale convinto dell’esistenza, nel periodo sospetto dei giorni antecedenti e successivi alla gara, di contatto con scheda straniera anche tra Fabiani e Bertini, la mancanza di conoscenza del contenuto del contatto con la scheda svizzera, contatto che, quanto a Fabiani, si configura elemento unico, appare di impedimento alla condanna anche per reato di tentativo, indipendentemente dalla dilatazione dell’imputazione ad opera del pubblico ministero, che gli atti attestano, e che trova singolare rappresentazione già nel capo d’imputazione, con inserimento in esso degli assistenti (...) e del quarto ufficiale (...), che non sono imputati” (pag. 167). A conferma, dunque, del fatto che, come affermato nel nostro precedente articolo, i presunti contatti su schede straniere per i giudici non sono di per sé sufficienti a condannare un imputato, l’ex dirigente del Messina, Mariano Fabiani, viene assolto dall’accusa di frode sportiva per questo capo d’imputazione (e, per completezza, anche per tutte le altre accuse di questo processo).
E così, per condannare Moggi ci vogliono anche i “progressivi 8782 e 8846”, i quali mostrerebbero “il chiaro affanno per far risalire la quotazione dell’arbitro” e che sono utili anche “per condannare Bertini perché “dirette a ottenere una rappresentazione edulcorata di quanto avvenuto sul campo, fino all’estremo della modifica del televoto” (pag. 173). In realtà la 8782 del 20/12/04 tra Moggi ed un'assistente della trasmissione contiene la richiesta da parte dell’assistente, se “possono mandare le e-mail per quanto riguarda l’arbitro Bertini, perché il problema è che stanno tutti votando con il massimo dei punti, otto o nove, per poter fare una cosa un po’ piu’ equilibrata”, ricevendo in cambio un disinteressato “ci deve pensare lui, ci deve pensare” e quando l’assistente dice “eh, e no, il problema è che poi non possiamo modificare il televoto”, Moggi risponde “mah, fate un po’ voi, aoh”. Quindi non esiste una richiesta di modifica del televoto da parte di Moggi, nemmeno nella 8846 del giorno dopo tra Moggi e Biscardi che inizia subito con le accuse al moderatore della trasmissione da parte dell’ex direttore bianconero dell’epoca del 5 maggio: “Sono già due settimane che fai due ore sulla Juventus e sugli errori arbitrali” e “hai fatto, in pratica (in braaadiga, ndr), tutto quello che si può fare per 'dare in culo' alla Juventus”.
Al che Biscardi si difende “no, no, io sto sempre da quella parte, tranquillo tranquillo, cioè certe volte mi devo 'parare il culo', ma con eleganza, perché non faccio attaccare mai la Juventus a morsi come hanno fatto a ‘Controcampo' da me non passano mai queste cose qui, perché io sono troppo amico tuo”. Infatti “eh, io l’ho fatta con eleganza e con cosa, e io mi sono impegnato a dire delle cose...prima di tutto ho tolto il Lecce, poi l’ho levato i punti a quello che aveva avuto nove punti, poi ho detto io: guardate che persino Foti ha detto che è il Milan che ha avuto più favori; io l’ho detto, perché ho detto: Foti ha chiesto scusa a Moggi qui, in trasmissione, in diretta, perché la Reggina ha rubato il risultato della Juve, con l’Inter c’era un rigore e c’era l’espulsione di Toldo; l’ho detto io, eh, più di questo... poi ho fatto vedere il mani di Costacurta, era dentro l’area, eh, aoh, non l’ha fatto nessuno questo, eh, nessuno!” e aggiunge: “tu mi devi dire chi ha difeso mai la Juventus in qualunque trasmissione come l’ho difesa io”.
Emerge in modo chiaro ed inequivocabile che in realtà il dialogo è tutto incentrato sulla difesa della Juventus e non dell’arbitro. E la logica vuole che per difendere la reputazione della Juventus si debba necessariamente passare dall’arbitro e dagli episodi a favore o sfavore che costui ha giudicato durante la partita. E così è stato in questa circostanza, e così è stato in tutte le circostanze precedenti. Possiamo, dunque, tranquillamente affermare che motivare una condanna con la ‘modifica del televoto’ oppure del ‘gioco della patente a punti’ (come avvenuto per il capo O) di una trasmissione che, come già detto nel precedente articolo, non ha alcuna credibilità, può avvenire soltanto in un processo come Calciopoli, che di serio ha purtroppo soltanto le tante vite rovinate dalla gogna mediatica, molte per fortuna già assolte, e molte ancora, speriamo, durante questo Appello in corso.
Puntate precedenti:
SPECIALE CALCIOPOLI: A5, Il "salvataggio" della Fiorentina
SPECIALE CALCIOPOLI: Z, La Roma-Juventus dei "traditori"
SPECIALE CALCIOPOLI: O, La partita di Abeijon