Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.
Dopo aver ripercorso nel precedente articolo il suo singolare coinvolgimento nel “salvataggio” della Fiorentina, entriamo ora nel dettaglio delle condanne legate in modo diretto alla Juventus. Iniziamo ora una serie nella serie dedicata alle condanne dovute alla combinazione “schede svizzere - processo di Biscardi”.
La prima che analizziamo è relativa al capo Z, con l’imputazione “quali istigatori, compivano atti fraudolenti finalizzati a predeterminare il risultato dell’incontro di calcio Roma/Juventus (1/2), risultato perseguito dal Racalbuto (...) che si adoperava per il raggiungimento di un risultato comunque favorevole alla squadra del Moggi (...)”. I fatti relativi a questa gara sono riassunti nel nostro articolo "Roma-Juve 2005: la verità". Quali atti fraudolenti fossero stati compiuti di preciso non venne specificato nel capo d'imputazione, lasciando così ampia scelta ai pm durante il dibattimento e ai giudici nel giudizio finale. Ed infatti la condanna poggia sostanzialmente su tre piloni. Da un lato i famigerati contatti sulle Sim svizzere ricostruiti, come ormai ben noto (da leggere, in proposito, due nostri articoli: "Il puzzle delle Sim svizzere: 'Ognuno li legge come vuole'" e "Prime crepe anche per il teorema delle Sim svizzere"), in modo casereccio dal maresciallo Di Laroni “attraverso l’elemento dell’aggancio di cella operativa su Gallarate, domicilio del Racalbuto”. Le schede coinvolte in questo pezzo di sentenza sono quelle con il 187 e l’801 finale per l’ex arbitro e con il 196 e 334 finale per Moggi.
Quindi, i giudici rispolverano una telefonata tra Moggi e Biscardi entrata un po’ a caso nel dibattimento. A pag. 260 delle motivazioni si legge che “il Tribunale ha maturato il convincimento che l’imbeccata dell’arbitro da parte del Moggi vi sia stata, e stima che la stessa sia sufficiente a concretare gli estremi dell’imputazione, ovi si consideri quello che fu il comportamento di Moggi all’indomani della partita, emerso all’udienza del 16/3/10 in sede di controesame del teste Auricchio, da parte dell’avv. Messeri, difensore di Bertini Paolo, impegnato a dimostrare che il suo assistito, che veniva additato come protettore della Juventus, era stato l’arbitro della partita Atalanta-Milan, non compresa tra i capi d’imputazione, giocata nella stessa giornata della partita Roma-Juventus, e conclusasi con la vittoria del Milan a Bergamo per uno a zero. In quel contesto il teste Auricchio ha dato lettura della telefonata 1446 del 7/3/05” avvenuta tra Moggi e Aldo Biscardi. Si tratta quindi della conversazione in cui l’ex-direttore generale, vincitore di 7 scudetti con la squadra bianconera, e Biscardi analizzano gli episodi controversi avvenuti durante la partita chiedendo giustamente di tenere “presente anche l’ambiente di Roma, dove non si può né giocare, né arbitrare, non si può fare niente!”, evidenziando che “Racalbuto è il meno colpevole, quello è un ambiente di matti” e “Racalbuto, poverino, è capitato in un casino”.
Tale “difesa” dell’arbitro, visto che altro in quella telefonata non c’è, è stata evidentemente ritenuta dai giudici un tentativo di salvaguardare un arbitro “amico” dalle critiche del pubblico del Processo del Lunedì, mentre appare del tutto chiaro essersi trattato di un’analisi oggettiva sulle condizioni proibitive in cui si era stati costretti ad operare all’Olimpico prima, durante e dopo la prima gara allo stadio romano dei “traditori”, gli ex Capello, Emerson e Zebina. A riguardo basti soltanto pensare al modo ridicolo con cui era stato dato l’annuncio della formazione bianconera “li hanno fatti, poi lo speaker si è zittito e ogni volta che appariva la fotografia prima di Capello, poi di Emerson, poi di Zebina lo speaker non diceva i nomi e aspettava che li fischiassero”, come lamentato da Moggi in quella stessa telefonata. Infine, a concludere le motivazioni di condanna un po’ surreali di questo capo d’accusa, ci sono anche un paio di telefonate tra diversi soggetti. Nello specifico, conversazioni dell’ex segretaria dell’AIA, Maria Grazia Fazi, dell’ex arbitro Marco Gabriele e di sua moglie, oltre a quelle tra Paolo Bergamo e l’allora presidente della Federcalcio, Franco Carraro, il quale inizialmente figurava tra gli accusati di frode sportiva ma in seguito venne prosciolto.
Sempre dalle motivazioni della sentenza a pag. 276-77: “Si chiarisce che del progr 3182, telefonata tra Fazi e Bergamo, con richiesta di chiamata della moglie di Gabriele, il quarto ufficiale della partita, e del progressivo 3185, telefonata tra Fazi e moglie di Gabriele, sono rilevanti, ad avviso del tribunale, il motivo dell’avviso a Gabriele da parte di Bergamo di portare sul campo di gioco il telefonino, da tenere acceso, per ricevere eventuale chiamata da Bergamo; che del progr. 3197 tra Fazi e Gabriele è rilevante il motivo della mano da darsi, pur se piuttosto a Bergamo che a Racalbuto”. Il contenuto di quelle tre telefonate descrive in buona sostanza la raccomandazione al quarto uomo, da parte del designatore arbitrale, chiaramente preoccupato dal clima di quella partita, di portare in campo un telefonino per poter ricevere in caso di necessità sue comunicazioni. La telefonata tra Bergamo e Carraro invece racconta di un presidente della Federcalcio irritato perché “quando io le do un indirizzo...”. Ed invece “evidentemente, sono una persona che non conta un c..., che non conta un c...”. E difatti, dopo essersi raccomandato che “se c’è un dubbio, per carità, che il dubbio non sia a favore della Juventus, dopodiché succede, gli dà quel rigore lì?”.
Dalla telefonata emerge chiara ed inequivocabile l'estrema irritazione di Franco Carraro per avere gli arbitri, a suo modo di vedere, favorito la Juventus a dispetto delle sue raccomandazioni di senso contrario. Favori, o meglio, errori, che come noi sappiamo bene ma come spesso si è omesso di ricordare, in realtà avvennero in entrambe le direzioni. Incredibile, quindi, non è soltanto il fatto che Moggi non compaia mai, né attivamente, né tanto meno citato, in quelle telefonate, e che dunque, se non tramite ragionamenti molto cervellotici e dietrologici, non possa in alcun modo essere collegato a tale attività preparatoria da parte dei direttori di gara. Ma è anche e soprattutto surreale che i giudici avessero sotto i propri occhi la prova del fatto che tale attività in realtà fosse stata finalizzata ad attuare le direttive non certo a favore della Juve di Carraro e non di un eventuale disegno criminoso ispirato da Moggi. E lo certifica proprio la 32727, usata invece per condannare Moggi, “telefonata tra Bergamo e Carraro, di rimbrotto a Bergamo per non aver ottenuto da Racalbuto quel che era stato suggerito, ovvero di operare nel dubbio contro la Juventus, è rilevante l’accusa formulata da Carraro di mancata soggezione del Racalbuto al suggerimento” (pag 277).
Per concludere, come è stato ribadito più volte dai giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado del processo denominato Calciopoli, i presunti contatti su schede straniere da soli non sarebbero stati sufficienti per condannare un imputato, essendo ignoto il contenuto della conversazione e poiché il possesso ed il contatto in sé non costituiscono reato penale. Quindi per puntellare la condanna al capo Z si è dovuti far ricorso a una telefonata innocua tra Moggi e Biscardi e ad una teoria che capovolge completamente la realtà, in cui si è sostanzialmente in colpa per il fatto che l’arbitro era stato “preparato per fare il contrario” rispetto a favorire la Juventus. Nella prossima puntata vedremo un altro caso che percorre binari simili.
Puntate precedenti
Speciale Calciopoli: A5, Il "salvataggio" della Fiorentina