"È stata una spietata caccia all'uomo". Dovessimo riassumere in una sola frase cosa è stata Calciopoli finora, quella pronunciata dall'avv. Prioreschi, difensore di Luciano Moggi, nell'arringa conclusiva del 27 settembre 2011 sarebbe certamente quella più appropriata. Nelle prossime settimane, a partire dal 1° ottobre, chiaramente al netto di ulteriori scioperi ed imprevisti, a Napoli si ripartirà con l'appello. Dopo le prime schermaglie nell'udienza del 3 luglio 2013 il processo entrerà nel vivo dando la possibilità ai difensori degli imputati di contestare il verdetto di primo grado con argomentazioni logiche, con l'utilizzo dei faldoni contenenti le migliaia e migliaia di telefonate oltre che di tutte le prove a discarico emerse durante il precedente dibattimento.
Noi per quanto ci riguarda, oltre a seguire, come è nostra consuetudine ormai da tanti anni, l'evolversi del processo dal vivo, con nostri inviati direttamente in aula, vogliamo anche cogliere l'occasione per rinfrescare la memoria su alcuni fatti salienti del processo di primo grado, focalizzandoci in particolar modo sulle condanne. Con una miniserie di articoli ripercorreremo i capi d'imputazione per i quali è stato condannato l'ex direttore della Juventus, Luciano Moggi, mettendo in luce gli aspetti controversi fin qui emersi.
Dato lo scopo in alcun modo ricollegabile alla squadra bianconera e l'assoluta singolarità con la quale Moggi è stato tirato dentro il "salvataggio" della Fiorentina, iniziamo la serie proprio dalla condanna per il capo A5, in cui in concorso con altri "si ipotizza la turbativa, in favore dei Della Valle, (...) dell'incontro con risultato 1-2 tra Chievo e Fiorentina, svoltosi a Verona l'8/5/05". Il direttore generale ai tempi dell'ultima Champions League vinta dalla squadra bianconera viene condannato in quanto, come si può leggere a pagina 371 della sentenza, "si ritiene che il progressivo 2741, di telefonata tra Moggi e Diego Della Valle contiene rappresentazione di uno stimolo dato da Moggi a un comportamento a tenersi truffaldino, recepito da Diego Della Valle".
Partiamo innanzitutto dal fatto che, come facemmo notare con un trittico di articoli già qualche tempo fa, quel teorema accusatorio dei due PM del processo, Beatrice e Narducci, non stava in piedi né dal punto di vista strettamente logico, né tantomeno rispetto al quadro politico-sportivo di allora o dal punto di vista pratico-esecutivo.
E se purtroppo alla fine la condanna è arrivata lo stesso, evidentemente il pool difensivo di Luciano Moggi è riuscito almeno a disinnescare la polpetta avvelenata relativa al taglio dell'intercettazione 2741, poiché il "pensiamo a salvà la Fiorentina" implicherebbe una partecipazione attiva, mentre nella sentenza di condanna Moggi viene considerato tutt'al più uno stimolatore, una sorta di consulente, che non ha messo in pratica azioni specifiche per "salvare" la squadra toscana.
Dalle motivazioni della sentenza emerge che Moggi è stato condannato per una sola telefonata fatta con il proprietario della Fiorentina. Quel che risulta molto difficile da comprendere è la contraddizione tra la condanna ed il fatto che l'ex direttore verso la fine di quella stessa telefonata spieghi in modo molto chiaro ed esplicito il motivo per il quale i Della Valle, a suo avviso, avrebbero dovuto farsi sentire nell'ambiente arbitrale: "Maggiore, maggiore osservanza delle cose, soprattutto l'attenzione massima affinché niente venga trascurato; ma non per darti dei vantaggi, per non darti svantaggi". Dunque non per avere favori, bensì affinché le autorità arbitrali garantiscano, proprio come richiesto dalla legge sulla frode sportiva 401/89, che il risultato sia "conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione". Data quindi l'assoluta legittimità del messaggio fine trasmesso da Moggi a Della Valle, dobbiamo ritenere che il comportamento truffaldino ipotizzato dal giudice sia il fatto stesso di contattare l'ambiente arbitrale, nel caso specifico i designatori (anche se nel concreto essi non vengono menzionati), per avere chiarimenti ed attenzione, azione motivata anche dal fatto di pensare di "essere sotto scacco" e non certo del suo interlocutore, come denunciato da Della Valle proprio a Luciano Moggi.
Se ciò fosse vero, e sarebbe abbastanza preoccupante per uno stato di diritto, ogni presidente o dirigente sportivo che abbia in quegli anni avuto contatti con i designatori arbitrali sarebbe stato passibile di condanna, a partire da Giacinto Facchetti, di cui si ricordano le famose telefonate del 4-4-4, del "metti dentro... Collina" e del regalino da ritirare in sede. Ma la lista non si limiterebbe soltanto all'ex presidente dell'Inter, dato che dalle telefonate "scomparse" fatte riemergere da Moggi risultano molti i contatti avuti dai designatori con dirigenti e presidenti delle squadre di Serie A.
Oltretutto in due telefonate successive, la 2446 del 2/5/05, Bergamo/Diego Della Valle e la 12096 del 2/5/05 Bergamo/Mazzini, usate dai giudici per condannare altri coimputati nel capo A5 risulta evidente che al famoso incontro privato tra rappresentanti della Fiorentina, della Federazione e dell'AIA che di lì a pochi giorni si sarebbe poi tenuta a Villa La Massa, il designatore arbitrale toscano oltre a Diego non volesse altri che "Innocenzo e suo fratello, benissimo, perché rappresenta lei, ma non vorrei estendere oltre" (prog. 2446).
E, nota a margine, per l'ex arbitro, riferendo a Mazzini del colloquio avuto con Della Valle, se proprio si fosse presentata l'occasione, allora "se capita una volta a Roma, avrò anche piacere di fare, magari, una colazione insieme ad amici comuni; dice, ah, guardi, io sono di casa con questi amici comuni...; tanto lui sa a cosa mi riferivo, perché già una volta..." (prog. 12096), a conferma che il centro di potere, semmai ce ne fosse uno, sarebbe da cercarsi eventualmente dalle parti di Roma e non certo di Torino. Ma questo nell'economia della condanna al capo A5 c'entra poco. Ciò che conta invece è che, come dice l'avv. Prioreschi: "Io capisco che Moggi ce lo vogliamo infilare sempre, oh, col Messina e con la Fiorentina... Pensa pure a salvà la Fiorentina."
D'altronde, "e come la...Eh...Qua che ha fatto? Mi fate sapere...Magari...Io posso ridiscutere il 25 ottobre, se il PM da qua al 25 ottobre mi dice che ha fatto, posso dire n'altre due parole su 'sto capo d'imputazione. Sennò francamente io che cosa devo dì? Se non che si corona il sogno, Presidente, si corona il sogno del salvataggio della Fiorentina, e nessuno fa una telefonata al capo per dire: "Aho, hai visto? L'abbiamo salvata. Così come c'hai detto tu. La Fiorentina è salva. Viva la Fiorentina". Non ci sta una telefonata, Presidente. Ma nemmeno una. Manco Della Valle ringrazia. Nemmeno Della Valle chiama Moggi per dire: "Lucià grazie, mi hai salvato". Dovremmo dire, Presidente, "fatta la grazia, gabbato lo santo".
Abbiamo quindi chiuso l’articolo ricordando parte dell'arringa difensiva dell'avv. Prioreschi dedicata a questa singolare accusa. Ci rendiamo conto che è difficile controbattere un'accusa che ha cosi' poco di concreto, ma poiché curiosamente si è comunque trasformata in condanna per via di quella unica telefonata, aspettiamoci di qui a breve nuovi elementi su cui poggiare la tesi difensiva.