Una delle novità rilevanti della sentenza di Appello del rito abbreviato sta nel modo in cui è stata valutata la posizione degli arbitri, i quali, (presunti) possessori e non di schede svizzere, sono stati tutti assolti. Quelle del giudice Stanziola sono motivazioni molto positive, almeno sul punto, che fanno ben sperare per il processo d’Appello degli imputati che hanno scelto il rito ordinario.
Analizziamo in particolare due posizioni, quella di Dondarini e quella di Tiziano Pieri, perché fondamentali per comprendere il modo di giudicare della Corte d’Appello.
L’arbitro Dondarini era stato condannato dal gup De Gregorio per la gara Juventus-Lazio del 5 dicembre 2004 con una motivazione molto semplice: egli era un arbitro di parte, e per tale ragione la sua mera presenza in campo come direttore di gara “contribuì a mettere in pericolo la regolarità della gara…sbilanciando a favore della Juve l’alea del risultato”. In altri termini, Dondarini, che neanche era possessore di sim svizzere secondo il teorema accusatorio, veniva condannato semplicemente per aver “accettato una designazione che egli sapeva fosse fraudolenta”, per essersi messo a disposizione del sodalizio, pur in assenza di riscontri concreti ad un suo arbitraggio di parte per la gara Juventus-Lazio.
Che l’arbitro fosse di parte il gup De Gregorio lo desumeva da una serie di intercettazioni; fondamentale, ad esempio, dice Stanziola, una conversazione intrattenuta il 21 settembre 2004 – e peraltro male interpretata, dice il giudice - tra l’arbitro ed il designatore Pairetto.
Insomma, l'essere considerato arbitro “organico ad un contesto dominato dall’associazione”, il partire dal presupposto che egli fosse di parte, gli era valso la condanna.
La Corte d'Appello non condivide affatto l'impostazione del giudice De Gregorio, affermando che la "sospetta parzialità di un arbitro” non è assolutamente bastevole per una pronuncia di responsabilità. Secondo il giudice, affinché si possa addivenire ad una condanna di arbitri e/o assistenti è necessario infatti raggiungere la prova della loro volontà e consapevolezza di alterare lo svolgimento della gara oggetto di imputazione, servono riscontri in merito al loro arbitraggio di parte, “occorre raggiungere la prova[...] di avere improntato la direzione della gara al dolo specifico richiesto dalla norma, ossia ad un arbitraggio effettuato in mala fede, consapevolmente mirato a favorire una squadra in danno dell'altra"
In che modo per la Corte è possibile stabilire se l’arbitro abbia diretto in maniera volutamente faziosa ed abbia pertanto commesso frode sportiva?
In uno di questi due modi:
- deve aversi la prova che l’arbitro è stato indotto a prendere decisioni volutamente errate (si anticipa che le sim svizzere e relativi contatti non bastano affatto, come vedremo dopo);
- quando ciò non fosse possibile, “è indispensabile accertare una condotta fraudolenta effettiva ed univoca nella direzione di gara”
In altri termini, quando non si ha la prima prova, è necessario verificare se esistano nella direzione di gara elementi che facciano trasparire la malafede dell’arbitro. Non sono tanto i meri errori tecnici commessi dall’arbitro ad essere sufficienti per una pronuncia di responsabilità, quanto la verifica dell’esistenza di un “connotato di fraudolenza”. Su Pieri, ad esempio, sebbene il referto dell’osservatore avesse evidenziato la non concessione di un rigore al Bologna nella gara Bologna-Juventus, il giudice fa notare come, oltre ad essere questo l'unico episodio contestato, “trattasi comunque di censure di natura tecnica che in nessun modo lasciano trasparire un arbitraggio effettuato in mala fede”.
A maggior ragione, poi, se non esistono affatto di queste censure tecniche. Così, ritornando a Dondarini, il giudice lo assolve non solo perché prove di un arbitraggio consapevolmente di parte non esistono e perché nemmeno dalle intercettazioni può dedursi l’organicità al sodalizio, ma anche per l' “inesistenza di censure tecniche al suo operato di arbitro”, come si evince tanto dal referto dell’osservatore arbitrale – che evidenziano la bontà tecnica della direzione di Juventus-Lazio e Bologna-Fiorentina - quanto dal giudizio “pienamente assolutorio” da parte della Corte Federale della FIGC, che aveva evidenziato “l’inadeguatezza probatoria derivante dall’impossibilità di ritenere accertata la sussistenza del segmento tecnico, nulla provando che l’arbitro Dondarini fosse stato messo al corrente dell’altrui disegno illecito e che vi avesse prestato, in qualsiasi forma, adesione. “ Per il giudice, insomma, il giudicato sportivo ha una valenza importante, rappresenta un riferimento tecnicamente qualificato circa l’inesistenza di censure, di natura sportiva, all’operato degli arbitri. Pertanto, “se sono penalmente irrilevanti i meri errori tecnici” eventualmente realizzatisi, ”a maggior ragione una condotta già giudicata conforme alle regole della disciplina sportiva dai competenti organi non può essere rivalutata negativamente (per gli stessi fatti) dal giudice ordinario, in assenza della prova del previo concerto”.
Passiamo alle sim svizzere e a Tiziano Pieri. Il teorema accusatorio regge ancora per il giudice, ma sembra aver perso gran parte del suo valore.
La prova che un arbitro sia stato imbeccato ed abbia diretto faziosamente una partita infatti, come si anticipava, non è più desumibile dai soli contatti su sim svizzere e/o dalle telefonate di Moggi con Baldas, che erano bastati per De Gregorio e per la Casoria. Gli elementi a discolpa, di fatto, si sono rivelati ben più pregnanti di sim svizzere e quant'altro messo in piedi dall'accusa.
Un esempio lampante di quanto si sta dicendo riguarda l’arbitro Tiziano Pieri, assolto infatti nonostante sia risultato, per il giudice, in possesso di due sim riservate, nonostante vi fossero contatti nella settimana prima di Bologna-Juventus, nonostante le telefonate “a protezione” fatte da Moggi al moviolista Baldas.
Un peso notevolissimo per l’assoluzione, in grado di "sconfessare il quadro indiziario", l’hanno avuto le conversazioni telefoniche intercorse tra l’arbitro Pieri ed i designatori, immediatamente al termine della gara Bologna-Juventus. Dal tenore infatti, a detta del giudice, si evince chiaramente come l’arbitro abbia diretto in perfetta buonafede. Un dato, questo, palesemente in contrasto con la volontà di alterare la gara richiesta dalla norma incriminatrice, telefonate "inedite", dunque, che a ben vedere si sono rivelate di gran lunga più importanti dei vari elementi dell'accusa, di sim svizzere, di Baldas e quant'altro.
Per dirla con le parole del giudice, "il tenore delle citate conversazioni smentisce l’assunto accusatorio secondo cui il Pieri aveva ricevuto, attraverso colloqui telefonici con Moggi, suggerimenti su come comportarsi durante la direzione di gara, esortazioni e/o promesse”.
Anche altri, per Stanziola, sono stati gli elementi utili a sconfessare l’impianto accusatorio, la frode sportiva per Bologna-Juventus e l’adesione del Pieri all’associazione a delinquere:
- i rimproveri all’arbitro da parte dei designatori per alcuni errori da lui commessi nel corso della gara, in particolare la punizione fischiata dal quale deriverà il gol di Nedved;
- le preoccupazioni dei designatori per le polemiche che sarebbero derivate dall'arbitraggio;
- il referto arbitrale dell’osservatore Luci che riferisce sì di una circostanza dubbia sulla mancata concessione di un rigore nel secondo tempo, ma che per il giudice “trattasi comunque di censure di natura tecnica che in nessun modo lasciano trasparire un arbitraggio effettuato in mala fede”;
- il fatto che Pieri per quell’anno non arbitrò più la Juventus “e fu impiegato con discontinuità in partite di minor prestigio”;
- il fatto che all’esito della prova fornita in tale partita, “sebbene fosse in attesa di ricevere la nomina ad arbitro internazionale”, a Pieri tale nomina non sia più arrivata.
Per quanto dunque la Corte di Appello non metta in dubbio che Pieri abbia ricevuto due schede riservate, per i giudicanti ciò non basta affatto, soprattutto se è noto che l'arbitro non ebbe alcun vantaggio nella stagione 2004-2005. Dice in proposito il giudice: "Proprio tale ultima circostanza pone in serio dubbio l’appartenenza del Pieri all’associazione a delinquere che, finalizzata ad alterare l’esito del campionato 2004-2005, mirava, nella prospettazione accusatoria, a tutelare gli arbitri che avevano favorito la Juventus o che comunque erano vicini alla società e penalizzare gli arbitri che non favorivano la squadra bianconera".
Considerando che di telefonate della buonafede ve ne sono per tutte le altre gare in contestazione, considerando quante contraddizioni ed elementi discordanti simili a quelli su Pieri sono spuntati fuori nel corso degli anni, c'è il rischio che si configuri un'associazione a delinquere senza arbitri, elemento su cui di fatto si basava in origine tutto il castello accusatorio. Un'assurdità.
Sentenza Giraudo: un'associazione a delinquere senza arbitri
- Dettagli
- By Antonio Izzo