Cavendum est ne maior poena quam culpa sit, ammoniva Cicerone, ovvero ‘bisogna evitare che la pena sia maggiore della colpa’. E un concetto che rimbomba sempre più forte nella testa dei tifosi bianconeri ora che, col ritorno della Juve alla vittoria, le cose sembrano aver ripreso il loro corso normale: con la conseguenza che, guardandosi indietro sino al 2006, ora gli amanti della Vecchia Signora, possono meglio misurare l’enormità di quanto è accaduto. In questi sei anni, la botta, lo stordimento ci avevano catapultato in un gorgo fatto di disperazione prima, di rabbia poi, di studio matto e disperatissimo e infine di sofferenza consapevole. Adesso è il momento della lucidità, in cui ci rendiamo conto di quante gioie ci sono mancate, anzi, ci hanno tolto. Spiacenti, ma non siamo riusciti a godere della meravigliosa avventura della serie B tanto piaciuta a Cobolli Gigli. Ma l’amarezza, il dispiacere, il trovarci immersi una realtà sconosciuta, fatta di umiliazioni sul campo e nelle sedi istituzionali, umiliazioni peraltro accettate dalla dirigenza con animo prono e volto sorridente, ci toglieva quel distacco necessario a compiere una valutazione lucidamente oggettiva.
Ci sono mancate le domeniche, quelle vere, che abitualmente ci regalavano pomeriggi e serate appaganti; ci sono mancati i lunedì mattina quando rientravamo nel mondo a testa alta e orgogliosi di poter commentare le imprese dei nostri, i vari Trezeguet, Ibra, Mutu, Cannavaro e Thuram, che erano poi stati spazzati via come fuscelli dallo tsunami di Calciopoli. Ci sono mancate le chiacchierate che parlavano solo di calcio, perché presto abbiamo dovuto imparare ad usare il linguaggio dei regolamenti e delle leggi per controbattere le accuse veicolate dal sentimento popolare.
E cosa abbiamo appreso da questo frenetico sfogliar di volumi: che i dirigenti di quella Juve non si erano resi responsabili di alcun illecito: è vero, parlavano con i designatori, ma era lecito, né mai chiesero loro la designazione di un certo arbitro o di favorire il raggiungimento di un determinato risultato. Fu inventato, per poterla condannare, l’illecito strutturale, non contemplato dal Codice di Giustizia sportiva. E calò la mannaia: la serie B e due scudetti revocati, con tutto quel che sarebbe conseguito. Da subito non capimmo la revoca dello scudetto 2006: poffarbacco, non c’erano ombre su quel campionato. La cosa divenne chiarissima nemmeno due settimane dopo: Guido Rossi, ex membro del consiglio di amministrazione dell’Inter e fervente tifoso nerazzurro, nominato per l’occasione commissario straordinario, con un semplice scarno comunicato assegnava quello scudetto alla squadra del cuore; la mazzata inferta alla Juve e il buffetto dato al Milan conferivano alla squadra giunta con 15 punti di ritardo in un campionato ‘sano’ e nemmeno mai sotto indagine di fregiarsi del titolo di campione d’Italia. Questi i fatti.
Cosa restava alla Juve? Un cumulo di macerie e una catena montuosa di danni. Evidentemente sproporzionati rispetto al nulla che era emerso in termini probatori a livello di alterazione del campionato sotto esame (cosa che la sentenza di Napoli avrebbe confermato sei anni dopo); ai suoi dirigenti al massimo si sarebbe potuta addebitare un’iperattività telefonica (poi scopriremo, non certo per iniziativa della giustizia, sportiva e non, che la prassi, in qualche caso vizietto, non era loro prerogativa esclusiva, anzi). Danni in ogni caso abnormi sotto il profilo sportivo (ai due scudetti revocati e alla retrocessione vanno aggiunti i cinque campionati seguenti, nei quali le conseguenze, a 360°, di Calciopoli hanno tolto alla Juve la possibilità di competere: squadra distrutta, dirigenza azzerata, danni economici. Evidentemente non compatibili con quel fantasmatico illecito strutturale che sul piano pratico aveva prodotto zero.
E adesso la Juve, tornata finalmente ad avere una dirigenza, e in primis un presidente, all’altezza della sua storia, ha, giustamente, chiesto i danni 444 milioni di euro: sono dati dimostrabili e qualcuno se ne dovrà far carico. La fretta di quei processi orientati dai media e dal sentimento popolare ha provocato un danno sproporzionato rispetto ad una realtà fatta di tanta aria fritta, e addirittura rispetto a quell’illecito strutturale (altra aria fritta) a base delle sentenze.
Si indagò (anche da parte della giustizia ordinaria) presto e male (perché in modo parziale): forse per evitare questo rischio ora, sul caso del calcioscommesse, la Procura di Napoli va tanto a passo di lumaca, lasciando Palazzi in trepidante attesa della documentazione che gli consenta di portare avanti quel filone del calcioscommesse; tanto che l’esperto Palombo nel suo ‘Palazzo di vetro’ del 26 maggio suggerisce alla Procura partenopea di affrettare il passo, anche per evitare di fornire il supporto della credibilità a quel “pettegolezzo che vuole la procura napoletana impegnata nell’allungare i tempi di un’inchiesta i cui riflessi sulla giustizia sportiva potrebbero mettere a rischio l’Europa League del Napoli per la prossima stagione”; ed esorta Abete a darsi “una mossa”, muoversi una volta tanto “in anticipo, per prevenire i problemi e non inseguirli”. Per evitare di venirne inseguito, come sta accadendo ora all’intera Figc per Calciopoli.
Ma Cicerone non si ferma lì nel suo monito, e così continua: e et ne iisdem de causis alii plectantur, alii ne appellentur quidam. Ovverosia: 'e che, per le medesime ragioni, alcuni vengano puniti severamente ed altri non vengano neppure rimproverati'. La fotografia di Calciopoli. Peccato che avevamo Zaccone e non Cicerone a difenderci.
In Calciopoli per alcuni, cioè la Juve, la pena è stata di gran lunga superiore alla pur solo presunta colpa (del resto, come ha ricordato Andrea Agnelli alla BBC ‘molti degli aspetti legali devono ancora essere chiariti. E non c’è un giudizio definitivo’), ma è capitato pure che, per il tenace lavoro dello staff legale di uno degli imputati, il ‘babau’ Moggi, le colpe altrui: quelle che poi lo stesso procuratore federale, nella sua relazione, giunta peraltro, guarda caso, fuori tempo massimo, ha qualificato come ‘illeciti’, illeciti veri, sono spuntati, a carico dell’Inter: e l’Inter non è stata neppure rimproverata, figuriamoci sanzionata. Abete si è limitato a ‘sperare’ che Moratti rinunciasse alla prescrizione e da parte sua si è nascosto dietro un’incompetenza che si illude gli abbia tolto di torno una patata bollente: un pateracchio all’italiana, un’incompetenza da 444 milioni di euro.
Tutti in salvo, la Juve al patibolo: già i latini sapevano che una tale soluzione del caso era iniqua; ma il sapere dei Romani non interessa alla Figc, un circolo della caccia dove si leva il fucile al cacciatore troppo bravo: altrimenti gli altri rimangono sempre col carniere vuoto.
Twitter: carmenvanetti1