Il Male assoluto del calcio era Moggi: questo l’assioma alla base di Farsopoli e recitato ancora oggi come un ritornello da tutti i Farsopolari, inquirenti in testa. Ma era davvero così? No, né avrebbe potuto esserlo: come avrebbe potuto avere un tale potere distruttivo una cupola sgarrupata, dove gli adepti entravano ed uscivano a piacimento, come è emerso dal dibattimento del processo?
E infatti, di tanto in tanto, spuntano fuori elementi che ci fanno capire come il ‘Male’ si annidasse altrove, più in alto, e con gangli ben ramificati e stabili.
Un documento interessante, a tal proposito, è la telefonata tra Carraro e Bergamo del 26 novembre 2004, in cui l’allora presidente federale dice, candidamente: “Se c’era Collina, anche se sbagliava, nessuno dice un cazzo”; era dunque quello un mondo dove c’era un arbitro che poteva sbagliare, e nessuno, a nessun livello, se ne sarebbe lagnato. E infatti quell’arbitro aveva sbagliato, e non certo a favore della Juve, due anni prima, autorizzando la disputa di una partita di pallanuoto nella piscina di Perugia: partita che aveva tolto lo scudetto dalla disponibilità della Juve (i cui giocatori, non avvisati, non avevano portato le pinne) per consegnarlo alla Lazio, guarda caso, la squadra del cuore dell’arbitro con licenza di sbagliare. E nessuno aveva fiatato né mosso un dito. Nessuno aveva messo il direttore di gara sotto inchiesta per frode sportiva, come sarebbe poi accaduto al malcapitato De Santis, quando, privo della licenza di errare, aveva permesso (forse in cambio di 23 magliette) la disputa di Lecce-Juventus, del 14 dicembre 2004, su un terreno che i protagonisti, di comune accordo, avevano confermato assolutamente praticabile, come si evince dalla testimonianza di Alex Del Piero al processo di Napoli e dalle telefonate di De Santis con Bergamo e con Pairetto prima dell’inizio della gara.
Invece Rodomonti quella speciale ‘patente’ non ce l’aveva, e doveva attenersi alle indicazioni ricevute, di pensare a chi stava dietro, come del resto aveva fatto, sua sponte, lo smaliziato Collina e come ancora in realtà vorrebbe si facesse Paolillo.
Ma ciò che più fa pensare è che l’input a Bergamo venga da Carraro, allora presidente federale, una figura davvero immarcescibile, cui nemmeno Calciopoli ha tarpato le ali: e infatti ancora adesso svolazza di carica in carica e sarebbe stato pure pronto, per spirito di servizio, s’intende, a mettersi a disposizione per assumere la presidenza della Lega in sostituzione di Maurizio Beretta al momento della sua accettazione di un importante incarico in Unicredit. E perché Carraro telefona, con voce quasi angosciata ma tono imperioso, a Bergamo affinché non si favorisca la Juventus? E’ forse perché è preoccupato che il campionato veda falsati i veri valori sportivi e che non sia davvero la squadra migliore a prevalere? No, la questione non viene nemmeno menzionata: il problema vero sono le polemiche che un favore alla Juventus impegnata contro l’Inter avrebbe potuto far sorgere; ma non si tratta di futili polemiche da bar televisivo come quelle del processo di Biscardi, che lasciavano il tempo che trovavano; era qualcosa di molto più serio e cogente: “si gioca domenica sera, lunedì c’è l’elezione della Lega… per cui sarebbe una roba disastrosa… insomma… capito?”. Quindi ad essere in gioco non era la legge del campo: ma già era chiaro nel momento in cui affermava ‘ma se sbaglia’ che non sia ‘a favore della Juventus’, espressione ben rimarcata dal tono della voce; se a comandare fosse stato lo sport, da evitare e basta sarebbe stato l’errore, non l’errore ‘a favore della Juventus’ ben sottolineato. Era altra invece la posta in gioco, si trattava di ‘una partita delicatissima, in un momento delicatissimo’: quello contava, per le altre considerazioni di Bergamo ‘non mi interessa’ è il commento.
Dunque ben più in alto di Moggi, ben più in alto del processo di Biscardi, erano le molle del potere, erano le cupole, cui anche la Juve già aveva dovuto pagar dazio, l’anno della piscina di Perugia, allorché, grazie al preveggente Collina che pensava a chi stava dietro e che già allora sapeva che ‘basta che non favorisca la Juventus’, aveva lasciato uno scudetto nello stagno, ma anche l’anno successivo, quando dall’alto, giusto alla vigilia del big match di Torino tra bianconeri e giallorossi, sarebbe stato deciso il cambiamento, in corsa, della regola sugli extracomunitari, il che avrebbe consentito alla Roma di schierare quel Nakata che sarebbe risultato decisivo.
Ha allora invero ragione Petrucci: la Figc ha il potere. Ma non può essere certo il potere di un tiranno capriccioso; o, come sta accadendo, di un sistema che si intestardisce a difendere i suoi errori, arroccandosi e nascondendosi dietro l’incompetenza, un ‘io non c’entro’. Se la Figc ha potere, di questo potere faccia uso per ristabilire, per quel che si può (sappiamo tutti che dopo cinque anni, che sono stati lasciati colpevolmente passare, la riparazione non potrà che essere comunque parziale), una corretta re-interpretazione degli eventi e, con ciò, quella parità di trattamento richiesta dalla Juventus, che proprio si basa su una rilettura dei fatti compiuta a 360° e non mirata su un solo club (perché gli altri coinvolti sono solo dei caduti accidentali, per dirla alla Briamonte: solo gli ex dirigenti bianconeri avrebbero cupolato, gli altri erano assimilabili solo ad improvvidi ladruncoli): lasciando per di più nell’ombra l’unica società che, come poi emerso dalla relazione di Palazzi, aveva sul gobbo qualche illecito ‘reale’, nel senso che era art. 6 tout court, senza bisogno di inventarsi sui due piedi l’illecito strutturale. E la faccenda della prescrizione dev’essere l’ennesima foglia di fico, peraltro appassita, dietro la quale la Federazione dovrebbe smetterla di nascondersi, per rifiutare qualsiasi rivisitazione di Calciopoli: questo se l’etica non va in prescrizione, come detto da quell’Abete che forse non grida (per dirla con Petrucci), ma parla – oh, quanto parla! –, visto che l’Inter e compagnia cantante per anni hanno avallato e puntellato la teoria che solo Moggi telefonava: invece lo facevano tutti, con la differenza che Bergamo ascoltava tutti e poi, per le griglie, si regolava come credeva lui (in effetti la famosa madre di tutte le grigliate avrebbe seguìto la ricetta Bergamo e non la ricetta Moggi), mentre gli input che gli arrivavano dall’alto, da molto più in alto, erano ben precisi, e ad essi non poteva rifiutarsi di adempiere (pena il disastro); e si facevano esplicitamente i nomi: ‘Che non favorisca la Juventus’ (sottolineato), nel dubbio quindi guardi a chi sta dietro (ed era per forza l’Inter, visto che la sfida era appunto tra bianconeri e nerazzurri). Il coinvolgimento dell’Inter, al di là delle eventuali penalizzazioni prescritte per il club di Moratti (marchio che la società, troppo presto autoproclamatasi onesta per eccellenza, senza tener conto che il diavolo, anche travestito da zebra, fa le pentole ma non i coperchi, si porterà appresso per sempre), fa cadere la teoria dell’illecito strutturale, ovvero la cupola che avrebbe condizionato, in via esclusiva, i campionati.
Solo in questa direzione può aver senso tutto il discorso del tavolo petrucciano e dell’autocritica invocata da Abete: una rivisitazione del 2006, che garantisca equanimità; la Juventus ha vinto con merito due scudetti, tutti suoi, sui campi da gioco, evidenziando una superiorità incontestabile, a tratti addirittura imbarazzante; ha pagato, profumatamente, con un anno di B e danni economici ingentissimi per ‘colpe’ per le quali altri invece sono stati premiati negli anni a venire. Questa è la realtà. Solo da qui si può, al limite, ripartire.
Calciopoli deve ripartire dall'alto
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