giraudoIn questo articolo ci occuperemo di analizzare il reato di frode sportiva comparandolo con l’interpretazione colpevolista e a tratti fuorviante fornita dal dottor de Gregorio (gup del processo, con rito abbreviato, a Giraudo, celebratosi a Napoli e conclusosi con la condanna dell'ex a.d. della Juve a tre anni di reclusione).
Introdotta con la legge n. 401 del 31 dicembre 1989, la frode sportiva si preoccupa di tutelare l’affidamento della buona fede pubblica in relazione al corretto e leale svolgimento competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal CONI. Non rientrano in questo novero, ad esempio, gli scontri amichevoli organizzati dalle società in quanto considerata attività non ufficiale.
L’obiettivo del legislatore era quello di compensare quel vacuum legislativo che all’indomani dello scandalo del calcio scommesse permise alla giustizia ordinaria di mandare assolti i condannati della giustizia sportiva. Questo in virtù dell’impossibilità di implementare e provare il reato di truffa alle competizioni sportive ex art. 640. c.p, delitto avente ad oggetto l’integrità patrimoniale.
Da qui la necessità di elaborare una norma in grado di sanzionare comportamenti dolosi che, per cause indipendenti dalla volontà degli agenti, non avrebbero necessariamente comportato il realizzarsi dell’evento criminoso.
Si decise pertanto di fare ricorso a quella figura giuridica che va sotto il nome di delitti di attentato o pericolo, ossia una fattispecie penale volta a reprimere determinate condotte che la legge ritiene di per se stesse punibili a prescindere che l’evento si compia (ad esempio l’alterazione dell’incontro).
Per comodità espositiva trascriviamo l’art. 1 L. 401/89:
Art. 1. Frode in competizioni sportive.
1. Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da lire cinquecentomila a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa.
2. Le stesse pene si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio, o ne accoglie la promessa.
3. Se il risultato della competizione è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitati, i fatti di cui ai commi 1 e 2 sono puniti con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni.
Giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere che l’elemento psicologico caratterizzante di questo reato sia il cosiddetto dolo specifico, una forma particolarmente qualificata di intenzionalità. Per i non addetti ai lavori, per distinguerlo dal dolo generico, sarà sufficiente tenere a mente un banalissimo esempio: si ha dolo generico in caso di violazione della legge sul doping (n. 376 del 2000), per il semplice fatto di aver messo in atto tale pratica (le sostanze sono vietate quindi il solo fatto di averle assunte/somministrate costituisce violazione della legge); diversamente nel caso di frode sportiva non basta aver posto in essere una condotta idonea, ma dovrà essere dimostrata l’univocità dell’intenzione di voler perseguire il realizzarsi dell’alterazione di una competizione. Restando in tema calcistico, un’alterazione del sorteggio non è di per se stessa dimostrazione univoca di dolo specifico, in assenza delle prove che attestino la compiacenza arbitrale.
Quanto sopra - con cui peraltro concordiamo - è stato recepito e ripreso dal dottor De Gregorio a pag. 96 e segg. della motivazione; tuttavia a pag. 99 della stessa, appena terminata la suddetta disquisizione, il giudice, opera un discutibile richiamo alla sentenza n. 21324 del 29.3.07 della Cass. Sez. 2, ossia quella che vagliò la legittimità del processo per abuso di farmaci leciti e doping in cui era imputato Giraudo.
Ictu oculi è possibile constatare come si qualifichi tale sentenza fondamentale, ignorando, o non ricordando, come la stessa fu oggetto di aspre critiche in quanto considerata affetta da cerchiobottismo: i giudici della Suprema Corte, infatti, evitarono di sconfessare in toto il lavoro del pm, ammettendo che la somministrazione di farmaci consentiti potesse rientrare nell’alveo della frode sportiva e annullando la sentenza assolutoria di secondo grado.
Ovviamente sarebbe stato necessario celebrare un nuovo processo di merito, qualora non fosse maturata la prescrizione.
Ricordiamo, per completezza di informazione, che l’assoluzione dalla somministrazione di doping ai calciatori fu confermata dalla Cassazione stessa.
Scendendo nel dettaglio il dottor De Gregorio sorvola frettolosamente su uno dei passi più controversi della sentenza richiamata, che riportiamo integralmente, a differenza di quanto ha fatto il giudice napoletano:
Le condotte incriminate dall’art. 1 (legge 401/89), sono quindi due: la prima di corruzione in ambito sportivo, mentre, la seconda[omissis] è costituita da una generica frode e rimane integrata dal mero compimento di <<altri atti fraudolenti>> [omissis] in quest’ultimo caso [omissis] non costituisce <<una disposizione a più norme, ma una norma a più fattispecie [omissis]. L’ipotesi [omissis] ha infatti una latitudine [omissis] assai ampia e non certo comparabile con la puntuale previsione di cui al primo comma[omissis] la natura fraudolenta dell’atto [omissis] esclude qualsivoglia violazione del principio di determinatezza e di tipicità.
Se questa falsariga di pensiero è parzialmente giustificabile per la Suprema Corte, che tentava di estendere la norma a comportamenti non originariamente previsti, è inaccettabile per chi sic et simpliciter si è trovato di fronte al caso di scuola.
Infatti tale passaggio, se interpretato letteralmente costituirebbe una sorta di autentico attentato ai principi fondamentali del diritto penale. Qualunque studente, persino le matricole universitarie, è a conoscenza del fatto che il principio fondante e fondamentale del diritto penale è il c.d. principio di legalità: un reato esiste perché una previa norma di legge individua un fatto come tale. Per qualificarlo come tale, la norma deve essere tassativa ossia sufficientemente determinata nella fattispecie (ossia la descrizione del fatto-reato).
Se ne ricava che secondo la Suprema Corte, e quindi per lo stesso de Gregorio, si giunge all’esatto contrario, ossia basta ipotizzare fraudolenza in un comportamento, perché proprio qualunque comportamento possa essere ritenuto reato.
Per dirla con le parole della motivazione napoletana: in definitiva, e per tornare ai fatti oggetto di processo, se la presenza come direttore di gara di un arbitro di parte fu prodotta da un espediente occulto ad opera di taluno degli imputati, il delitto fu perfezionato, considerata la sua natura di reato di pericolo presunto, essendosi adottato dagli imputati stessi un comportamento idoneo, teso ad alterare il genuino risultato della gara, senza che vi sia bisogno dell’accertamento di una decisione di favore concretamente adottata nel corso della partita; il contributo che l’arbitro e/o assistente non imparziale conferisce al perfezionarsi del reato consiste nell’essere a disposizione delle mire illecite degli altri e quindi nel prestarsi ad arbitrare a favore di una delle squadre, ledendo in radice il bene-interesse della regolarità della gara, la cui tutela è per legge a lui affidata.
Pertanto ogni accertamento sull’intenzione degli agenti diventa, inopinatamente, superfluo, essendo sufficiente che il giudice si convinca della fraudolenza di un comportamento perché questo diventi reato, a nulla importando se le conclusioni siano discutibili, per non dire, assurde.
Lo stesso pm Maddalena, nella richiesta di archiviazione, diversamente scriveva: Quand'anche si dimostrasse che il designatore, alterando le regole procedurali della designazione, avesse scelto un arbitro allo scopo di favorire una squadra o danneggiare un'altra, non si potrebbe parlare di atto diretto a raggiungere un risultato della partita non corretto, poiché la designazione di per sé non incide in alcun modo sulle modalità di arbitraggio della partita: occorrerebbe sempre comunque avere la prova che l'arbitro (o l'assistente) sia stato indotto, prima durante o dopo la designazione, o quanto meno invitato, a prendere decisioni volutamente sbagliate in danno o a favore di una delle squadre.
Ne ricaviamo che ai fini dell’univocità e idoneità degli atti, l’indagine deve essere rivolta all’accertamento della precisa volontà dei presunti associati, e non basata sull’equazione occulto pertanto fraudolento. Laddove per occulto si intendono fatti, conversazioni di cui nessuno conosce il contenuto.
Infine a pag. 102–103 De Gregorio, a proposito del tema probandum, sottolinea come non ne siano oggetto le singole valutazioni tecniche dei direttori di gara, bensì la loro imparzialità e indipendenza di giudizio: peccato che, come vedremo a proposito delle singole frodi, questo proposito verrà completamente disatteso.

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Sentenza Giraudo/1: Le imputazioni