Luciano ed Alessandro MoggiLa GEA controllava 7 squadre di calcio, otteneva favori arbitrali per esse, condizionava partite e campionati, alterava la normale concorrenza in fase di calciomercato: una piovra che comandava il calcio italiano. Balle.
L'ha detto un Tribunale della Repubblica. Eppure è stato detto, ridetto, urlato da giornalisti e addetti ai lavori. La GEA è la madre di tutti gli scandali del calcio. Così dicevano.
Non soltanto. L'enunciazione di cui sopra è stata alla base della fase inquirente non solo del processo GEA, ma anche del processo che si celebrerà a Napoli. Fase inquirente condotta dagli stessi uomini. Quegli uomini che abbiamo visto in grave imbarazzo durante il processo nello spiegare contatti e vicinanze con antagonisti e concorrenti di Luciano e Alessandro Moggi.
Il processo di Napoli si è originato dalla deposizione rilasciata da Franco Dal Cin il 5 giugno 2004. Deposizione il cui spirito, secondo lo stesso Dal Cin, era il seguente: "Nessun inquisitore, nessuna prova, nessuna dichiarazione contro qualcuno, solo un racconto di cose che si dicevano."
Insomma: voci di corridoio. Come tutte le voci di corridoio, possibili balle.
Ma che cosa diceva in sintesi Dal Cin? Diceva che gli arbitri De Santis, Gabriele e Palanca (la cui posizione è già stata archiviata) facevano parte di una cosiddetta "combriccola romana" che favoriva le squadre legate alla GEA. Esattamente: alla GEA.
E' la Procura di Napoli che arbitrariamente associa la GEA a Luciano Moggi, di conseguenza predisponendo intercettazione delle sue utenze telefoniche.
Ora sappiamo che quell'ipotesi investigativa, già fondata su voci di corridoio, si basava su una premessa che è stata sconfessata dal Tribunale di Roma: Luciano Moggi non era un socio occulto della GEA. La GEA non era un'associazione a delinquere, ma una normale società di procuratori che svolgeva il proprio lavoro legittimamente.
Per questo motivo se la GEA non esiste più come associazione a delinquere l'intera costruzione di Calciopoli, le sue basi, le sue premesse investigative, vacillano.
Questo è. Ma naturalmente c'è chi non se ne cura, per ignoranza o convenienza.
Questi signori preferiscono dire: "sì, ok, però Moggi è stato condannato per violenza privata".
Come se, dopo averlo accusato di tutti i mali del calcio, non si dovessero scusare di niente, perchè in fondo, seppur per tutt'altro, è stato condannato.
Manifesto del pensiero negazionista è la doppia pagina con cui la Gazzetta commentava i fatti venerdì. Un cubitale "Condannati i Moggi". Capofila l'uomo con la tiara rosa, Franco Arturi, pontificatore che morto uno non se ne fa un altro. Incurante di una sentenza che diceva tutto il contrario, continuava a cianciare di GEA che dispiegava la sua forza tra gli addetti ai lavori e panorama di sospetti e intrighi che minava la credibilità del calcio. Rimandando però per il merito della sentenza a Ruggiero Palombo. Peccato che nel merito della sentenza non ci fossero entrati nemmeno i giudici, essendo le motivazioni della sentenza ancora da depositarsi. Il Palombo abbozzava un titolo "Punito e contento" per Moggi, atto ad alimentare la vulgata del Moggi condannato, anzichè del Moggi scagionato. Ma nell'editoriale si arrendeva all'evidenza. Tutte quelle cose non si possono più dire, purtroppo.
Poi c'è La Repubblica, il quotidiano più politicamente corretto (con la grappa?) del mondo. Per bocca di Fabrizio Bocca: "Il sistema Moggi esisteva e avvelenava il calcio italiano, la sentenza ne è una conferma". La Corte ha detto il contrario. Ma per lui la violenza privata, evidentemente, è un crimine odioso.
E ancora Moratti a Sky, ormai abituale grancassa: "E' una condanna. Non conosco bene la situazione della GEA ma è una condanna. E' sempre qualcosa che dà fastidio". Questo è il presidente dell'Inter, l'Inter di Oriali e Recoba che una fastidiosissima condanna hanno patteggiato.
Ce ne sono tanti altri. Gente che non ha il buon gusto di cambiare idea davanti all'evidenza e si ostina a compromettere la propria credibilità di cronista e professionista in questo modo.
Le persone intelligenti sanno cambiare idea. E di questo dobbiamo dare merito all'Avvocato Mattia Grassani, una vita professionale spesa dall'altra parte della barricata rispetto a Moggi. Esperto di diritto sportivo, tra i più celebri avvocati in cause sportive, ieri ha spiegato l'esatta sostanza della condanna a Moggi, in un editoriale su Tuttosport.
"Non un'inezia, ma poco di più", così riassume la vera sostanza della condanna per violenza privata. Chiarisce in modo esemplare che cos'è la violenza privata, al di là del suono bellicoso delle parole. Ossia come da art.610 del codice penale il reato si ascrive a "chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualcosa". Tra i casi, cita l'avvocato, l'automobilista che assume una condotta di guida intimidatoria o il picchettaggio sul posto di lavoro. Questo è. Insomma, per dirla tutta, c'è anche chi potrebbe andarne orgoglioso. Ed è chiaro che un tale reato va ricondotto a una prospettiva sistemica. L'avvocato Grassani dispiega infatti una serie di esempi in tutto similari, avvenuti nel mondo del calcio, tra cui i più celebri i casi Dellas e Zanin. Insomma, il comportamento per cui è stato condannato Moggi , nonostante oggi Maurizio Galdi sulla Gazzetta si ostini, senza conoscere la sentenza, a ricondurlo all'attività GEA, non ha nulla a che vedere con l'illecita concorrenza, per cui è stato parimenti scagionato, ed è comportamento piuttosto comune nel sistema calcio.
Chiosa Grassani: "Dinamiche abbastanza frequenti nel mondo del calcio che, d'ora in poi, potrebbero interessare non solo i Collegi Arbitrali e gli organi della giustizia sportiva ma anche l'autorità giudiziaria penale". A chiarire come la condanna di Moggi costituisca un precedente giudiziario tutto sommato abbastanza pericoloso per le attività dei dirigenti sportivi, e non trovi corrispondenza in un'uguale severità e ricorso alla giustizia ordinaria, per i casi simili.
Luciano Moggi, insomma, è stato ritenuto colpevole per un reato non certo odioso, ma piuttosto veniale: un reato che con un'interpretazione estensiva (come quella che secondo noi ha portato alla condanna) ricomprende fattispecie delle più disparate e porta a un aumento del lavoro delle Procure sinceramente inappropriato. Un reato che, ancora, è di fatto comune nel mondo del calcio e in quello degli affari più in generale e che, molto raramente, è oggetto di indagini e sanzioni.
Un reato, ad esempio, parecchio differente, sotto il profilo etico-giuridico, dalla diffamazione a mezzo stampa o il concorso in falso e ricettazione per cui ha patteggiato una condanna il dirigente dell'Inter Oriali. Nemmeno il più capzioso dei sofisti paragonerebbe i due reati, mettendoli alla stessa stregua.
In un mondo del calcio che ha permesso che Baronio venisse messo fuori rosa perchè portava sfiga secondo il suo presidente, nessun biasimo, nessuna indignazione può indirizzarsi verso Moggi.
Anche perchè nel corso del processo abbiamo sentito testimoni come Cassetti, Grassadonia, Lai parlare di minacce di segno contrario: se abbandoni la GEA, noi ti facciamo un contratto. Cassetti ha sentito queste parole dai dirigenti dell'Inter, in un periodo, tra l'altro, in cui era vietato firmare contratti.
Nessun moralismo quindi verso Luciano Moggi. Aspettiamo fiduciosi le motivazioni della sentenza e il processo d'appello, sicuri che l'accusa di violenza privata, formulata sulla base di un'interpretazione, a nostro parere, erroneamente estensiva della legge, cadrà come le precedenti.
Nel frattempo, se qualcuno vuole puntare il dito contro i Moggi, lo faccia. Sappia però che, sotto ogni profilo, è come prendersela con uno che ti ha fatto uno sgarbo al volante. Inutile.
 
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