Evidentemente fedeli alla stessa missione, quella di mantenere alta la guardia su Calciopoli, in questi giorni tutti i media stanno riconvergendo le proprie attenzioni verso la farsa compiutasi due anni fa. E tra cenni di doverosa cronaca e rimandi alle millanterie del passato (sempre buone per rinforzare nelle menti dei "distratti" l'idea che Calciopoli abbia purificato l’italico pallone), in questo spazio scegliamo di commentare le parole di un signore che scriveva per il "Tuttosport" di Paolo De Paola, tale Marco Bernardini, che mai ha fatto mistero del suo essere filo-societario. E alla vigilia di Juve-Palermo, trova il modo di legare il ritorno a Torino di Miccoli al Processo Gea e al presunto mobbing che Luciano Moggi avrebbe esercitato nei confronti del piccolo attaccante salentino ai tempi della Juve (qui l'articolo). Una circostanza quantomeno curiosa.
Miccoli viene dipinto come uno spauracchio, uno che contro la Juve deve avere qualche motivo speciale per far bene, visto che la sua avventura bianconera sarebbe stata "un po’ bizzarra, e, se vogliamo leggerla nei particolari, anche un poco disonesta". Il signor Bernardini attribuisce le colpe della mancata affermazione alla Juventus da parte dell'attaccante leccese ai soliti noti, per via di una procura non ceduta al figlio dell ex DG bianconero. Per chi ha seguito il Processo Gea, trascinato oltre il limite del surreale dal pm Palamara, è storia nota. Miccoli è uno dei pochi a non essere stato accusato di reticenza dal presidente dell’ANM (Palamara, appunto), semplicemente perché rispetto a quasi tutti gli altri chiamati a deporre ha detto cose gradite all'accusa. L'ex "Romario del Salento" denunciò le pressioni che Bernardini cita, la storia degli orecchini e dei tatuaggi, l'umiliazione patita la sera della festa scudetto (vinto da altri) alla quale gli fu impedito di presenziare, relegato sul pullmann della società. Ma in merito all'eventuale affidamento della propria procura ad Alessandro Moggi, il punto cruciale, la prima dichiarazione del buon Fabrizio riguardò Conte, che a suo dire lo chiamò per insistere affinchè passasse alla Gea (cosa che provocò la risposta piccata dell’ex capitano juventino, che aggiunse di essere stato invitato a cena proprio da Miccoli per parlare della cosa, in presenza del procuratore della punta, Caliandro), mentre la seconda frase riguardava proprio Alessandro Moggi: "visto due-tre volte agli allenamenti, ma mai abbiamo affrontato l’argomento".
Ora, si sfiora di continuo il ridicolo, ma a distanza di due anni c'è ancora chi insiste su queste vicende, su queste chiavi di lettura semplicemente paradossali. Un vero peccato, secondo Bernardini, che quello che avrebbe dovuto essere, nelle reciproche intenzioni, un sodalizio duraturo e ricco di soddisfazioni (quello tra la Juve e Miccoli) sia terminato prematuramente in modo "un poco disonesto ". Un giocatore che secondo l'autore dell'articolo in esame era già riuscito in poco tempo a conquistare i favori del tifo bianconero, fornendo: "ogni volta che veniva impiegato sul terreno di gioco, ampia dimostrazione di assoluta bravura tecnico-tattica offrendo cosi' reali garanzie anche per il futuro". Ce la ricordiamo bene la stagione di Miccoli alla Juve, anno di (s)grazia 2003/04, 8 gol in campionato dove non è mai stato decisivo in 25 presenze totalizzate, altrochè: "In campo con il contagocce".
Causa i continui infortuni che patirono sia Del Piero che Trezeguet, quell'anno il nativo di Nardò riuscì a ritagliarsi uno spazio importante anche in Champions League, dove risultò decisivo (in negativo) contro il Galatasaray ma soprattutto nel doppio confronto degli ottavi di finale contro il Deportivo La Coruna, dove si mise in evidenza in entrambe le partite con una serie di errori sottoporta determinanti per l'eliminazione bianconera dalla massima competizione per club.
Ancora più curioso che a parlar male della Juve sia un giocatore che a 23 anni suonati (quando i fenomeni veri di solito calcano già i palcoscenici più prestigiosi) era ancora l'idolo dei tifosi della Ternana, società di serie B dalla quale il cattivone Moggi lo prelevò per una cifra considerevole ed ebbe la cura di parcheggiarlo a Perugia in prestito per testarne il rendimento nella massima serie. Forse viviamo in un mondo tutto nostro, ma quando Miccoli finì in prestito alla Fiorentina (insieme all'altro presunto "emarginato" Maresca e a Chiellini) e al suo posto la Juventus tesserò Ibrahimovic all'ultimo giorno di mercato, non ricordiamo siano avvenute particolari scene di disperazione, e neppure feroci contestazioni ai danni della dirigenza di allora. Che non era, come sostiene il signor Bernardini, una dirigenza da "Con noi o contro di noi, senza opportunità di confronto dialettico. Era, quella, la Juventus governata in maniera oligarchica dalla Triade".
Nulla di più falso, quella Juve era semplicemente una società che lavorava seriamente e badava al sodo. E se un giocatore valeva, poteva anche andare allo scontro con la Triade e la spuntava; un esempio lampante il signor Bernardini l'ha avuto proprio sotto il naso in quella stessa estate, con Trezeguet, dato per sicuro partente come e più di altre volte, ma alla fine trattenuto a furor di allenatore. Che poi allo stesso processo proprio Trezeguet fosse stato chiamato dall'accusa a dare una versione che potesse confortare quanto poi detto da Miccoli, e invece abbia puntualmente ribadito il concetto opposto, è una cosa sulla quale vorremmo conoscere il parere di Bernardini.
Quanto al Miccoli che sarebbe potuto diventare una colonna juventina, non comprendiamo il significato profondamente juventino di questa frase "fin da ragazzino aveva sognato di poter indossare un giorno la maglia della Juventus ovvero la squadra, per lui e in quanto ad affettività, seconda solo a quella del Lecce". Ci risulta che Miccoli fosse da sempre tifoso del Lecce, ed essere considerati la seconda squadra di solito tocca ad altri, storicamente. Piuttosto, per misurare il valore di Miccoli, ci basta ricordare le sue vicissitudini post-Juve: rischio di retrocessione a Firenze, dove dichiarò: "sarei rimasto volentieri". Non la pensava così Della Valle, che alle buste inserì cifre ridicole per il suo riscatto (e per quello di Maresca), evidentemente poco dispiaciuto di perdere a cuor leggero un simile campione. Tornato di proprietà della Juve, il "nemico" Moggi riuscì addirittura a trovargli un ingaggio al Benfica (un grande club, almeno in termini di blasone) in un campionato più facile dove potersi esprimere anche in Champions League. Risultato? Due stagioni, infortuni e scelte tecniche gli permisero di totalizzare una cinquantina di gare giocate in tutte le competizioni e non più di una ventina di reti totali. Titoli importanti e riconoscimenti ufficiali: zero. Una Supercoppa portoghese. Nulla più.
Per concludere, il particolare più curioso che Bernardini omette: come mai, in tutti questi anni in cui Moggi è stato alla Juve, Miccoli è sempre rimasto in orbita bianconera, nonostante lo scandaloso e disonesto ostracismo, mentre la Nuova Juventus alla scadenza del prestito con i portoghesi non ha finalmente concesso la giusta e meritata chance al piccolo leccese, invece di cederlo a titolo definitivo, addirittura a prezzo di saldo?
Miccoli viene dipinto come uno spauracchio, uno che contro la Juve deve avere qualche motivo speciale per far bene, visto che la sua avventura bianconera sarebbe stata "un po’ bizzarra, e, se vogliamo leggerla nei particolari, anche un poco disonesta". Il signor Bernardini attribuisce le colpe della mancata affermazione alla Juventus da parte dell'attaccante leccese ai soliti noti, per via di una procura non ceduta al figlio dell ex DG bianconero. Per chi ha seguito il Processo Gea, trascinato oltre il limite del surreale dal pm Palamara, è storia nota. Miccoli è uno dei pochi a non essere stato accusato di reticenza dal presidente dell’ANM (Palamara, appunto), semplicemente perché rispetto a quasi tutti gli altri chiamati a deporre ha detto cose gradite all'accusa. L'ex "Romario del Salento" denunciò le pressioni che Bernardini cita, la storia degli orecchini e dei tatuaggi, l'umiliazione patita la sera della festa scudetto (vinto da altri) alla quale gli fu impedito di presenziare, relegato sul pullmann della società. Ma in merito all'eventuale affidamento della propria procura ad Alessandro Moggi, il punto cruciale, la prima dichiarazione del buon Fabrizio riguardò Conte, che a suo dire lo chiamò per insistere affinchè passasse alla Gea (cosa che provocò la risposta piccata dell’ex capitano juventino, che aggiunse di essere stato invitato a cena proprio da Miccoli per parlare della cosa, in presenza del procuratore della punta, Caliandro), mentre la seconda frase riguardava proprio Alessandro Moggi: "visto due-tre volte agli allenamenti, ma mai abbiamo affrontato l’argomento".
Ora, si sfiora di continuo il ridicolo, ma a distanza di due anni c'è ancora chi insiste su queste vicende, su queste chiavi di lettura semplicemente paradossali. Un vero peccato, secondo Bernardini, che quello che avrebbe dovuto essere, nelle reciproche intenzioni, un sodalizio duraturo e ricco di soddisfazioni (quello tra la Juve e Miccoli) sia terminato prematuramente in modo "un poco disonesto ". Un giocatore che secondo l'autore dell'articolo in esame era già riuscito in poco tempo a conquistare i favori del tifo bianconero, fornendo: "ogni volta che veniva impiegato sul terreno di gioco, ampia dimostrazione di assoluta bravura tecnico-tattica offrendo cosi' reali garanzie anche per il futuro". Ce la ricordiamo bene la stagione di Miccoli alla Juve, anno di (s)grazia 2003/04, 8 gol in campionato dove non è mai stato decisivo in 25 presenze totalizzate, altrochè: "In campo con il contagocce".
Causa i continui infortuni che patirono sia Del Piero che Trezeguet, quell'anno il nativo di Nardò riuscì a ritagliarsi uno spazio importante anche in Champions League, dove risultò decisivo (in negativo) contro il Galatasaray ma soprattutto nel doppio confronto degli ottavi di finale contro il Deportivo La Coruna, dove si mise in evidenza in entrambe le partite con una serie di errori sottoporta determinanti per l'eliminazione bianconera dalla massima competizione per club.
Ancora più curioso che a parlar male della Juve sia un giocatore che a 23 anni suonati (quando i fenomeni veri di solito calcano già i palcoscenici più prestigiosi) era ancora l'idolo dei tifosi della Ternana, società di serie B dalla quale il cattivone Moggi lo prelevò per una cifra considerevole ed ebbe la cura di parcheggiarlo a Perugia in prestito per testarne il rendimento nella massima serie. Forse viviamo in un mondo tutto nostro, ma quando Miccoli finì in prestito alla Fiorentina (insieme all'altro presunto "emarginato" Maresca e a Chiellini) e al suo posto la Juventus tesserò Ibrahimovic all'ultimo giorno di mercato, non ricordiamo siano avvenute particolari scene di disperazione, e neppure feroci contestazioni ai danni della dirigenza di allora. Che non era, come sostiene il signor Bernardini, una dirigenza da "Con noi o contro di noi, senza opportunità di confronto dialettico. Era, quella, la Juventus governata in maniera oligarchica dalla Triade".
Nulla di più falso, quella Juve era semplicemente una società che lavorava seriamente e badava al sodo. E se un giocatore valeva, poteva anche andare allo scontro con la Triade e la spuntava; un esempio lampante il signor Bernardini l'ha avuto proprio sotto il naso in quella stessa estate, con Trezeguet, dato per sicuro partente come e più di altre volte, ma alla fine trattenuto a furor di allenatore. Che poi allo stesso processo proprio Trezeguet fosse stato chiamato dall'accusa a dare una versione che potesse confortare quanto poi detto da Miccoli, e invece abbia puntualmente ribadito il concetto opposto, è una cosa sulla quale vorremmo conoscere il parere di Bernardini.
Quanto al Miccoli che sarebbe potuto diventare una colonna juventina, non comprendiamo il significato profondamente juventino di questa frase "fin da ragazzino aveva sognato di poter indossare un giorno la maglia della Juventus ovvero la squadra, per lui e in quanto ad affettività, seconda solo a quella del Lecce". Ci risulta che Miccoli fosse da sempre tifoso del Lecce, ed essere considerati la seconda squadra di solito tocca ad altri, storicamente. Piuttosto, per misurare il valore di Miccoli, ci basta ricordare le sue vicissitudini post-Juve: rischio di retrocessione a Firenze, dove dichiarò: "sarei rimasto volentieri". Non la pensava così Della Valle, che alle buste inserì cifre ridicole per il suo riscatto (e per quello di Maresca), evidentemente poco dispiaciuto di perdere a cuor leggero un simile campione. Tornato di proprietà della Juve, il "nemico" Moggi riuscì addirittura a trovargli un ingaggio al Benfica (un grande club, almeno in termini di blasone) in un campionato più facile dove potersi esprimere anche in Champions League. Risultato? Due stagioni, infortuni e scelte tecniche gli permisero di totalizzare una cinquantina di gare giocate in tutte le competizioni e non più di una ventina di reti totali. Titoli importanti e riconoscimenti ufficiali: zero. Una Supercoppa portoghese. Nulla più.
Per concludere, il particolare più curioso che Bernardini omette: come mai, in tutti questi anni in cui Moggi è stato alla Juve, Miccoli è sempre rimasto in orbita bianconera, nonostante lo scandaloso e disonesto ostracismo, mentre la Nuova Juventus alla scadenza del prestito con i portoghesi non ha finalmente concesso la giusta e meritata chance al piccolo leccese, invece di cederlo a titolo definitivo, addirittura a prezzo di saldo?