ZemanE' ancora fresco nei tifosi juventini il ricordo dello scudetto e della Supercoppa, due trofei vinti imponendo il proprio gioco sempre e comunque, checché ne dicano taluni soloni del calcio. No, non ci stiamo riferendo alla conferenza stampa di Mazzarri, alla quale poi basta rispondere riportando semplicemente alcune statistiche del match:
- Possesso palla (%) 68 - 32
- Supremazia territoriale 18'59" - 6'16"
- Totale tiri in porta 20 - 12
- Tiri nello specchio 8 - 6.

In realtà, in questi giorni afosi di agosto, oltre al calciomercato, a tenere banco è la diatriba "a distanza" tra Zeman e la Juventus. Non che sia una novità: da sempre Zeman, non potendo parlare coi trofei, ha trovato nell'antijuventinismo la sua primaria fonte di notorietà. Ma se pensate che sia sempre stato avverso ai colori bianconeri, vi sbagliate...
Nel mio navigare senza meta, mi sono imbattuto in un vecchio articolo di Tuttosport, datato 10 aprile 2009, dal titolo: "Questa Juve mi piace di più". Ma quale Juve? Inquadriamo il periodo: è la Juve di Ranieri, di Cobolli e del di lì a poco uno e trino Blanc. Una squadra che i media lodavano per essere umile, sempre sorridente anche dopo due pareggi e due sconfitte (dalla quarta alla settima giornata)... insomma, per essere perdente. Perché solo così la Juve piace. L'intervista di Zeman arriva in un momento in cui la Juventus è allo sbando, e sarà rilevata nelle ultime due partite da Ferrara. Tralasciando le perle calcistiche su Diego ("sta facendo bene da tempo, le qualità sono indiscutibili. Sarebbe un ottimo colpo") e su Del Piero ("Lui fa parte degli ottimi giocatori, non dei fuoriclasse"... peccato che a 37 anni un gol scudetto lo abbia piazzato, vero?), Zeman apre la sua intervista sempre ponendosi come martire dei giusti. Nel tentativo di confrontarsi con Mourinho, afferma: "Io e José un po’ ci assomigliamo: diciamo sempre quello che pensiamo, anche se è scomodo. E al calcio italiano, spesso, ascoltare la verità non piace".
Per rispondere a questa frase basta citare le parole pronunciate non molto tempo fa dal portoghese: "Zeman chi?". Ma proseguiamo nell'intervista:

Si riferisce a quando accusava la Juventus di doping?
«Dico solo che la storia del doping, come anche Calciopoli, non l’ho inventata io!».

Ma dopo Calciopoli il suo giudizio sui bianconeri è migliorato?
«Questa Juve mi piace di più. Quest’anno, poi, la squadra sta disputando un gran campionato. Non ha la qualità dell’Inter, ma conserva la sua mentalità di sempre.»

A noi veramente risulta che l'inchiesta sul doping sia partita dalle sue accuse sulle "muscolature" sviluppate di taluni giocatori bianconeri, e che poi la Cassazione abbia assolto perché "il fatto non sussiste". Quindi purtroppo sì, caro Zdenek, è stata una tua invenzione bella e buona.
E per quanto riguarda la mentalità di sempre... non ci risulta che la mentalità juventina comprendesse il sorriso dopo la sconfitta. Il vero modello di juventino ce lo offre il fautore di questi ultimi due trofei, Antonio Conte: una persona che, alla terza di campionato contro il Bologna, incalzato dai giornalisti su quanto fosse facile l'imminente appuntamento, chiosò: "Facile il cavolo!". Questa è la vera mentalità juventina. Ed è contro questa che infatti Zeman in questi giorni si sta scagliando. In risposta alle parole di John Elkann ("In una partita Carrera ha vinto più di quanto ha fatto lui nella sua lunga carriera"), il boemo ha affermato: "Sullo sport abbiamo idee diverse e la Juve negli ultimi anni non dà esempi positivi". E ancora una volta dobbiamo essere d'accordo con il vate: anche noi abbiamo odiato la "Juridens" degli ultimi anni, e l'arrivo alla presidenza di Andrea Agnelli e di uno ju29ro in panchina ci hanno ridato il VERO sorriso: quello che si ha dopo una vittoria roboante (il 5-0 con la fiorentina) o dopo che si è recuperata una partita che sembrava persa (4-2 della Supercoppa).

Rileggendo quest'articolo mi sono tornati alla memoria i tempi in cui tutti quelli che ci sputavano fango nel 2006 d'un tratto avevano preso a lodarci: la Juve perdeva, certo, ma ora non era più arrogante e sprezzante come nell'epoca della Triade. E poi è arrivata pure la benedizione di Zeman, l'inventore del bel calcio (perdente, vabbè, ma poco importa): la strada intrapresa era quella giusta. Certo, per arrivare alla B sul campo era la più veloce possibile. E invece...

Invece è bastata una stagione, una semplice stagione vincente per farci tornare i ladri di sempre, con Zeman che lesto si è erto a paladino del bene; d'altro canto lui lo va ripetendo da sempre che l'ombra di Calciopoli (pardon, moggiopoli) non ha mai smesso di allungarsi sulla liceità del campionato italiano. Volete una prova? Riportiamo le ultime battute dell'intervista di quel lontano 10 aprile...

Rivedremo Zeman su una panchina di serie A?
«Ho tanta voglia di allenare. Ma credo mi vedrete solo all’estero».

Perché?
«Perché ormai in Italia è stato messo un veto su di me».

Si spieghi meglio.
«No, non vorrei aggiungere più nulla. Tanto chi sa ha già capito».

Sia sincero: se potesse tornare indietro, direbbe e farebbe le stesse cose?
«Senza dubbio. Non mi venderei mai, io... So di essere sempre stato dalla parte della ragione e mi sono sempre mosso solo per il bene del calcio italiano».

E chi avrebbe posto questo veto? Il radiato Moggi? E' incredibile come Big Luciano possa ancora influenzare persone del calibro di Florentino Perez, pur essendo ormai fuori dai giochi! Inutile aggiungere che le recenti panchine su cui si è seduto Zeman lo smentiscono spudoratamente. Ma le affermazioni più interessanti arrivano dall'ultima frase: "Non mi venderei mai...". E ci mancherebbe. Tutti ricordiamo le crociate di Zeman, che nell'estate 1998, dal ritiro giallorosso, tuonò su doping sportivo e bancario: «Si parla troppo di farmacie e di uffici finanziari, mentre il calcio dovrebbe essere essenzialmente sport e divertimento.». E cosa ne pensa oggi? Un paio di mesi fa al Corriere diceva: "Il problema del calcio italiano è che non è più credibile. Dalle farmacie e le banche alle sale scommesse? Penso che sia migliorato sui primi due obiettivi, nel terzo campo purtroppo c'è entrato e ci vorrà tempo per uscirne»."
Singolare come Zeman cerchi di spostare l'attenzione sul caso scommesse e abbandoni un suo collaudato cavallo di battaglia, la lotta contro l’influenza degli istituti finanziari: d'altronde, il boemo ora lavora per una società che è di proprietà al 40% di una banca (Unicredit). Più precisamente, questa detiene il 40% della holding Neep, che a sua volta custodisce il 78% della società As Roma. Ma c'è di più: la maggior parte dei liquidi "freschi" della cordata americana, quella che doveva di fatto rilevare la società, provengono da un finanziamento Unicredit; di tasca sua, Di Benedetto e soci hanno messo 30-40 milioni. Una somma che denota prudenza da parte dell'italo-americano nell'investire: un piede in casa lo ha messo, ma l'altro lo tiene ancora saldamente fuori, che con tutti questi terremoti non si sa mai quando un edificio ti possa crollare in testa...
Confido però che sia solo un problema di ignoranza: appena verrà a conoscenza di chi gli paga lo stipendio, il "miglior allenatore del mondo" non esiterà a tagliare i ponti, per il bene del calcio italiano.

Vero, Zdenek?