figcPochi giorni prima delle festività natalizie, il Presidente del C.O.N.I., Gianni Petrucci, ha comunicato di aver “inviato una lettera a Giancarlo Abete, Presidente della F.I.G.C., in cui si ribadisce che deve essere rivisto lo Statuto federale e quella normativa che riguarda la rappresentanza di associazioni sindacali nel Consiglio federale”, come riportato in un lancio Ansa del 16 dicembre scorso.
Pochi giornali hanno dato risalto alla notizia, ma quanto dichiarato dal massimo dirigente del Comitato Olimpico italiano rischia di stravolgere il mondo calcistico italiano.

Il Decreto Legge “Melandri”, risalente al 1999, aveva garantito anche ai calciatori ed agli allenatori una rappresentatività negli organi direttivi delle federazioni sportive; l’art. 16 del decreto in questione cita testualmente: ”Negli organi direttivi nazionali (delle federazioni sportive) deve essere garantita la presenza, in misura non inferiore al trenta per cento del totale dei loro componenti, di atleti e tecnici sportivi, dilettanti e professionisti, in attività o che siano stati tesserati per almeno due anni nell’ultimo decennio alla federazione o disciplina sportiva interessata ed in possesso dei requisiti stabiliti dagli statuti delle singole federazioni e discipline associate. A tal fine lo statuto assicura forme di equa rappresentanza di atlete e atleti. Lo statuto può prevedere, altresì, la presenza degli ufficiali di gara negli organi direttivi”.

La legge, quindi, prevede che a tutti i calciatori e gli allenatori in attività, tesserati per la Federazione Italiana Giuoco Calcio, debba essere garantita rappresentatività all’interno del Consiglio Federale, ma dal 2001 così non è stato, in quanto lo Statuto Federale, invece di adeguarsi al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, recepito dal C.O.N.I., ha stabilito che solo i calciatori e gli allenatori iscritti ai sindacati (Associazione Italiana Calciatori ed Associazione Italiana Allenatori Calcio) potessero prendere parte alle assemblee elettorali ed al Consiglio Federale. Per rendere meglio l’idea di quanto accaduto, è come se al referendum per il nuovo corso della Fiat a Mirafiori si fosse deciso di far votare solo i lavoratori iscritti ai sindacati.

In violazione della legge, il comma 1 dell’art. 11 dello Statuto Federale attribuisce il diritto di rappresentatività ai sindacati: “Le associazioni degli atleti e dei tecnici comparativamente più rappresentative per numero di iscritti e articolazione territoriale e di categoria, riconosciute dal Consiglio federale ai fini dei procedimenti elettorali per l’Assemblea federale e per il Consiglio federale, oltre che per le altre funzioni previste dal presente Statuto, costituiscono le “Componenti tecniche”; mentre il comma 4 dello stesso articolo dichiara (come prevede la legge): “Hanno diritto di voto tutti gli atleti in attività tesserati nella FIGC che abbiano compiuto la maggiore età al momento del voto, nonché i tecnici che abbiano compiuto la maggiore età al momento del voto, abilitati dalla FIGC e iscritti presso il Settore tecnico”.

Singolare anche quanto previsto dal comma 5: “Le associazioni rappresentative delle Componenti tecniche, al fine di eleggere gli atleti e i tecnici componenti l’Assemblea e il Consiglio federale, assicurano, con la collaborazione, occorrendo, di Federazione e Leghe, l’organizzazione e l’ordinato svolgimento delle operazioni elettorali e il rispetto del principio democratico, con particolare riferimento alla loro adeguata articolazione territoriale e alla effettiva pubblicità di tutte le candidature, comprese quelle dei non iscritti a tali associazioni”, in quanto tale ipotesi non è contemplata nello Statuto dell’A.I.C. e dell’A.I.A.C.

Lo Statuto dell’A.I.C. prevede, invece, che “il Consiglio Direttivo dell'A.I.C. è eletto dall'Assemblea Generale dei rappresentanti degli associati ed è composto fino ad un massimo di 25 (venticinque) membri, di cui 3 (tre) in rappresentanza dei calciatori non professionisti, scelti tra tutti gli associati. L'Assemblea Generale degli associati è formata da 1 (uno) rappresentante per ogni squadra delle Serie professionistiche, che abbia almeno 9 (nove) componenti regolarmente iscritti all'Associazione, nonché da 1 (uno) rappresentante per ciascuna regione delle squadre delle serie non professionistiche, eletto tra i calciatori tesserati per le squadre con almeno 9 (nove) componenti regolarmente iscritti all'Associazione, riuniti in assemblee appositamente convocate dal Presidente o, per delega, dal Vice-Presidente o dal Segretario Generale dell'A.I.C.. Qualsiasi squadra che abbia meno di 9 (nove) componenti iscritti all'Associazione, se di serie professionistica, non avrà diritto né di partecipazione né di voto in sede assembleare, sia ordinaria che straordinaria, se di serie non professionistica, non avrà, inoltre, diritto di concorrere all'elezione dei rappresentanti regionali nell'Assemblea Generale”.

Ora dovrebbe essere a tutti evidente quale abuso si stia consumando all’interno della F.I.G.C. da circa otto anni: mentre il Decreto Melandri stabilisce che per aver diritto alla rappresentatività è condizione essenziale l’essere tesserato come atleta ad una federazione sportiva, la F.I.G.C. ha stravolto la norma, assegnando tale diritto ai sindacati più rappresentativi dei calciatori e degli allenatori. Questo comporta che l’attività politica della Federcalcio degli ultimi due quadrienni risulta falsata, comprese le assemblee elettive e federali (ove sono stati designati a votare esponenti di un sindacato non eletti dalla base reale degli atleti aventi diritto) ed i consigli federali (ove hanno espresso il loro voto dirigenti che non rientravano nei parametri richiesti dal decreto Melandri, considerato che Sergio Campana, già nel 2001, aveva abbondantemente superato il decennio di inattività come tesserato in veste di calciatore).

Sarebbe interessante vedere cosa potrebbe accadere se un qualsiasi calciatore non iscritto all’A.I.C. (o un allenatore non iscritto all’A.I.A.C.) presentasse un esposto al C.O.N.I. al fine di far valere i propri diritti, sanciti dall’ordinamento legislativo nazionale, essendone stato esautorato a causa di uno Statuto Federale non conforme a quest'ultimo.

Infatti, l’art. 20 dello Statuto del C.O.N.I. (Ordinamento delle Federazioni Sportive nazionali) prevede che “le Federazioni sportive nazionali sono rette da norme statutarie e regolamentari in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale e sono ispirate al principio democratico e al principio di partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di uguaglianza e di pari opportunità.”.

Per di più: “La Giunta Nazionale, nell’approvare, ai fini sportivi, entro il termine di 90 giorni, gli statuti delle Federazioni sportive nazionali, ne valuta la conformità alla legge, allo Statuto del CONI ed ai Principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale. In caso di difformità la Giunta Nazionale rinvia alle Federazioni, entro 90 giorni dal deposito in Segreteria Generale, lo statuto per le opportune modifiche, indicandone i criteri. Trascorso il periodo di 90 giorni senza tale rinvio, lo statuto federale si intende approvato. Qualora le Federazioni sportive nazionali non modifichino lo statuto nel senso indicato, la Giunta Nazionale può nominare un Commissario ad acta, e nei casi più gravi, previa diffida, il Consiglio Nazionale può revocare il riconoscimento”

E per finire: “La Giunta Nazionale vigila sul corretto funzionamento delle Federazioni sportive nazionali. In caso di accertate gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell'ordinamento sportivo da parte degli organi federali, o nel caso che non sia garantito il regolare avvio e svolgimento delle competizioni sportive, ovvero in caso di constatata impossibilità di funzionamento dei medesimi, propone al Consiglio Nazionale la nomina di un commissario”.

Scorrendo sul sito dell’Assocalciatori l’elenco delle azioni sindacali portate avanti dal 1969 ai giorni d’oggi, ci si rende conto di chi abbia grosse responsabilità nella situazione di crisi in cui versa il calcio italiano. Si può constatare che ogni richiesta dell’A.I.C. è stata esaudita dagli ordinamenti sportivi nostrani, non consentendo tutte quelle riforme (modifiche dei campionati con riduzione delle società professionistiche, obbligo per le società di Serie C di impiegare titolari almeno due “giovani”, limitazione delle rose per le squadre della Lega Pro) che oggi avrebbero evitato i recenti e numerosi fallimenti societari e impedito che gli attuali campionati risultassero falsati da continue penalizzazioni di punti a causa di problemi economici di molte società professionistiche della Lega Pro.

A dire il vero viene proprio difficile comprendere l’esigenza di un sindacato, quando i calciatori professionistici, a seguito del libero mercato comunitario, godono di stipendi faraonici e, grazie all’assistenza dei loro procuratori, riescono a garantirsi tutte le tutele già nella stipula dei contratti.

Invece, oggi, abbiamo calciatori (e in minor misura anche tecnici) che hanno contratti e stipendi superiori anche a manager e liberi professionisti e granitiche forme di tutela sulle quali neanche i dipendenti pubblici possono più fare affidamento.

Inoltre, nonostante l’art. 16 del Decreto “Melandri” preveda che la rappresentatività all’interno delle federazioni sportive venga riconosciuta parimenti agli atleti dell’area professionistica e di quella dilettantistica, l’A.I.C. discrimina questi ultimi (che poi sono quelli che potrebbero realmente avere necessità di forme di tutela), considerato che l’Assemblea Generale è composta da 127 calciatori professionisti e da soli 20 calciatori dilettanti, mentre nel Direttivo la proporzione è di 22 a 3; non a caso, nell’elenco delle numerose azioni sindacali dell’Assocalciatori, ben poche riguardano il mondo dilettantistico. L’A.I.A.C., almeno, garantisce l’equilibrio tra le due categorie, prevedendo che nel Consiglio Direttivo siano presenti 6 allenatori professionisti ed altrettanti del mondo dilettantistico.

E’ alquanto singolare che il nucleo investigativo di Via In Selci ed i pubblici ministeri della Procura di Napoli, da circa sei anni, stiano continuando a rivoltare da cima a fondo la politica federale del governo del calcio, pur di trovare qualche puntello a sostegno dell’esistenza di una presunta “Cupola”, intravedendo reati anche laddove il processo di Napoli ha dimostrato non ve ne fossero, e non accorgendosi, invece, delle violazioni di legge ancora tutt’oggi esistenti.


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