Come già avvenuto nel recente passato (e da noi ampiamente documentato), le udienze relative al processo napoletano su Calciopoli non sembrano suscitare grandi interessi nei media.
Sembra pleonastico ricordare quanto in quel procedimento si stia facendo finalmente chiarezza su quello che accadde nella famigerata estate del 2006.
Nell'estate 2006 il contraddittorio tra le parti era stato sostanzialmente impedito; potremmo dire che s'e' svolto in questi giorni a Napoli con i risultati che i lettori possono leggere in dettaglio sul nostro sito; risultati che tutti i gazzettieri hanno dovuto vergognosamente nascondere e si capisce il perchè.
E di come, in un Paese normale, la dignità e la professionalità dei media imporrebbero di dare eguale visibilità ai fatti, sia che fossero tendenti a creare uno scandalo, sia che lo scandalo lo facessero crollare.
L’Italia, almeno mediaticamente, non è un Paese normale.
Forse non è nemmeno un Paese ma un paese.
Nutrivamo dubbi in tal senso da anni, ma in questi mesi i dubbi vanno sciogliendosi e ne abbiamo, purtroppo, quasi quotidianamente la dimostrazione.
I media "ufficiali" montarono il “sentimento popolare”, arrivando a descrivere la vicenda Calciopoli con un’enfasi e una tale violenza verbale che in Italia non si riscontravano dai tempi di Mani Pulite, gli anni dello scandalo che agli occhi del popolo italiano è stato “venduto” come il più grande del dopoguerra.
Forse, nemmeno ai tempi di Tangentopoli si era assistito ad un attacco frontale come quello portato ai danni della Juventus e dei suoi ex dirigenti.
Un attacco nel quale non si è risparmiato nulla, facendo ricorso a tutto l’arsenale bellico-mediatico di cui gli organi d’informazione generalista disponevano, tutti concordi nel fare fuoco contro il nemico da distruggere.
Un fuoco aperto in maniera ancora più ossessiva e feroce da parte di chi nemico non avrebbe dovuto esserlo.
Un classico esempio di quello che in gergo militare si definisce “fuoco amico”.
Lavoro fatto, finito, e confezionato, grazie a tutti e arrivederci, della Verità e della Giustizia non frega niente a nessuno.
A nessuno frega niente di milioni di persone che, in seguito a quella storiaccia, sono state private di qualcosa di più o meno importante, a seconda dei casi, ma comunque significativo.
Il processo GEA, dall’andamento già sufficientemente indicativo per capire come quelle vicende furono orchestrate in un certo modo, sta avendo una replica quasi speculare nel procedimento partenopeo.
Addirittura uno dei due pm titolari dell'importantissima inchiesta contro una "Cupola da combattere come la camorra" (Beatrice, sostituito da Capuano) viene trasferito all’antimafia a processo in corso.
Nessuno se ne scandalizza, nessuno si indigna, pochi ne fanno menzione.
Oliviero Beha alza la voce e chiede perché i media non seguano il Processo sullo “scandalo degli scandali” come si dovrebbe.
Ma resta una voce isolata.
Nessuno evidenzia come i testi chiamati a deporre dall’accusa si rivelino in realtà favorevoli alla difesa; nessuno che davanti ad un tribunale vero confermi quello che dichiarò tre anni fa; tutti o quasi si trincerano dietro la frase più gettonata: “non ho le prove, sono mie sensazioni”.
Cominciano ad essere troppi.
E i media istituzionali tacciono.
Nessuno parla dei pm che in mano non hanno nulla e che vengono sconfessati ad ogni udienza, compresa quella clou, dove Gianluca Paparesta, testimone chiave dell’accusa, smentisce una volta per tutte la leggenda dello spogliatoio chiuso a chiave e dimostra il non possesso di una delle famose sim svizzere.
Non ne ha parlato nessuno.
Eppure il caso Paparesta (e la sua relativa "chiusura a chiave" nello spogliatoio) era stato un fiore all'occhiello prima nello scoop della Gazzetta e, successivamente, nella requisitoria del procuratore Palazzi; nel testo scritto lasciato da Palazzi alla valutazione dei posteri si parlava testualmente di "formidabile portata probatoria"; veniva specificato che si trattava di un fatto "di una straordinaria gravità sotto il profilo disciplinare".
Non ha detto che chiedeva la serie C per questo formidabile "atto delinquenziale" ma un po' l'aveva sottinteso, perché nel suo atto d'accusa il caso Paparesta è stato presentato come la prova provata che Moggi teneva in pugno gli arbitri e con l'aiuto di Bergamo e Pairetto li manovrava come un puparo (arrivando, si vede, a chiuderli nello spogliatoio per punizione).
Nessuno parla dell’accusa che si lamenta per il clima aggressivo creato attorno ai suoi testimoni sui quali gli avvocati difensori si sarebbero accaniti in modo troppo acceso, inducendoli in soggezione.
Che coraggio, da parte di chi ha etichettato come criminali un gruppo di personaggi sulla base di indagini sconclusionate e, in molti casi, ridicole.
I media omettono deposizioni addirittura scagionanti, con (pochi) titoli sibillini a consolidare la farsa, senza addentrarsi nel particolare.
Quasi sempre raccontando solo menzogne.
Poche parole, poco séguito, carta stampata praticamente assente e informazione on line frammentaria e in pochissimi casi ancora sintonizzata sulle onde dell’estate 2006, con commenti improntati al dubbio nonostante l’evidente significato delle parole.
Commenti effettuati da chi, probabilmente, ha solo ripreso quei pochi lanci d’agenzia e ne ha fatto uso secondo il proprio esclusivo istinto da colpevolista.
O da tifoso.
Resta poco da dire, solo una certezza: il 16 giugno doveva essere il giorno della deposizione di Franco Baldini, il Grande Accusatore, il pezzo pregiato della campagna mediatica pro-Calciopoli.
Franco Baldini, l’uomo che ha dimostrato una preoccupante “vicinanza” (seppur inizialmente negata, mentendo) a coloro i quali redassero le informative, ha disertato l’udienza.
Qualcuno ne ha parlato?
Anche Paparesta sgonfia Calciopoli, ma i media tacciono ancora
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