I nostri lettori di lunga durata sanno come, sin dall'inizio della vicenda Calciopoli, il caso di Gianluca Paparesta ci abbia particolarmente interessato. Una lettura attenta degli atti, infatti, rivelava immediatamente la distanza tra il fischietto pugliese e la dirigenza bianconera: in nessun modo Paparesta poteva essere accusato di far parte dell'associazione a delinquere immaginata dai pubblici ministeri napoletani. La sua posizione, infatti, nonostante un'esposizione mediatica forte, sarebbe stata archiviata, un paio di anni dopo (sic), dalla Procura di Napoli.
Ora Paparesta è tornato, ed è una vittima. Dei poteri forti, è ovvio. Ha trovato qualche pulpito da cui parlare, prima da Piroso a La7, poi dalla Ventura su Rai2, e accusare chi lo ha fatto fuori e oggi gli impedisce di ritornare ad arbitrare, indirizzando la propria denuncia verso una telefonata, intercettata a Napoli, tra Antonello Valentini, attuale capo ufficio stampa della FIGC, e Luciano Moggi, in cui il primo paventava una sottomissione della giustizia sportiva ai dettami federali. Della sua questione, oltre a noi, se n'è occupato Oliviero Beha nel suo spazio al Tg3. Infine, roba di questi giorni, il giornalista de L'Espresso Gilioli.
La vicenda è nota, e ne abbiamo scritto. Ferma restando l'indignazione per una possibile subalternità della giustizia sportiva ai gruppi di potere in federazione, subalternità a noi apparsa particolarmente chiara non tanto nel periodo carrariano quanto durante il commissariamento di Guido Rossi, non ci si può indignare così a casaccio.
Paparesta dovrebbe infatti spiegare in che modo la giustizia sportiva ne stia bloccando il reintegro, dato che non sono state le decisioni giudiziarie a decretarne l'accantonamento. Paparesta tornò infatti ad arbitrare dopo Calciopoli, da cui uscì con una breve sospensione per omessa denuncia, ma fu nuovamente fermato dalla giustizia sportiva che lo sospese, non per una questione legata alla figura di Moggi, ma per il dossier Assobiodiesel, da lui fatto recapitare sulla scrivania di Gianni Letta, tramite Milan.
Successivamente, l'arbitro barese fu di nuovo sospeso dall'AIA ("non designato" secondo la definizione di Gussoni), in attesa di chiarire la questione delle cd schede svizzere, per cui patteggiò infine due mesi di inibizione. Innocente davanti alla giustizia ordinaria, Paparesta si aspettava, legittimamente, di essere reintegrato nel gruppo di fischietti di Collina, al termine dell'ulteriore sospensione. Non interpretabile in senso complottistico, visto il patteggiamento.
L'AIA però, mentre Paparesta stava a riposo, introdusse una modifica di regolamento per cui gli arbitri non in attività nell'ultimo anno, sarebbero stati dismessi dal proprio ruolo. Una regola apparsa all'arbitro pugliese, e per la verità anche a noi, appositamente contra personam. L'AIA, i vertici arbitrali, e non la giustizia sportiva, hanno sancito perciò l'allontanamento di Paparesta.
Certo Paparesta ha appellato la decisione. La camera arbitrale del CONI ha respinto il ricorso. Il TAR lo ha accolto, chiedendo una seconda pronuncia da parte dell'AIA. La FIGC ricorre al Consiglio di Stato, contro questa decisione. E, in termini legali, non ha tutti i torti, visto l'andamento della questione.
Secondo indiscrezioni giornalistiche, Paparesta si sentiva ancor più amareggiato, in quanto aveva ottenuto rassicurazioni da Gussoni e Collina, in merito al suo reintegro. Indiscrezioni che, durante una conferenza stampa, misero in grave imbarazzo i due, che optarono per il silenzio.
Diciamocelo: è uno strano perseguitato dalla giustizia sportiva, colui che patteggia. Paparesta lo sa, e farebbe meglio a guardare altrove.
Come farebbe meglio a guardare altrove Alessandro Gilioli, moralista a tutto campo, de L'Espresso. Con il prezioso ausilio del tasto ricerca di Acrobate Reader, il giornalista ha infatti digitato uno dopo l'altro i nomi degli arbitri in attività all'interno dei documenti della Procura di Napoli. Nel suo articolo fa le pulci a Dondarini (1) e Trefoloni, obiettivi tutto sommato facili, sostituendosi ai Pm nell'alludere a chissà quali sconce pratiche, e nell'inanellare prove a loro carico, di debole sostanza. Per fortuna, non glissa, come uso comune, su Rosetti. Ma nel dipingere il fosco quadro di mostri e vittime, si dimentica di spulciare proprio la vittima Paparesta. Non dimenticandosi però di Moggi. Che, questa l'allusione conclusiva dell'articolo, tramite i suoi amici presenti ad ogni livello nel mondo del calcio, starebbe dietro al niet sistemico verso Paparesta. Il quale, per altro, si è più volte martirizzato, sostenendo di pagare le sue denunce al sistema calcio, effettuate in sede giudiziaria.
Va bene così. Paparesta lo spulcio io.
In una telefonata tra Leonardo Meani, addetto agli arbitri del Milan, e l'attuale designatore Pierluigi Collina, il primo, con una buona dose di partigianeria e di luoghi comuni, attribuisce la designazione di De Santis per l'imminente partita della Juventus, ai buoni uffici della dirigenza juventina con i designatori. Però il Milan mica si fa prendere in giro. Dice Meani che se hanno designato un filo-juventino per la Juve, per non fare incazzare il Milan, anche a loro ne hanno mandato uno giusto. Collina si spatacca dalle risate e ripete divertito: "Mi è piaciuto il paragone!". L'arbitro, che funge da contraltare, è Paparesta.
In una telefonata tra l'ex dirigente viola Mencucci e l'ex vicepresidente della FIGC Innocenzo Mazzini, alla vigilia del match tra viola e rossoneri, il secondo confida al direttore sportivo che "quell'altri vogliono Paparesta".
Infine il famoso episodio di Reggio Calabria, deve essere visto per quello che è. La stampa ha voluto dipingere la vendetta di Moggi verso un reietto che non eseguiva gli ordini. Per questo Moggi è tanto arrabbiato. Mentre il ds toscano seguita a ripetere il telefono che "si è vista la volontà" di danneggiare la Juve e che "quello che c'è glielo deve dare". Moggi, insomma, ha la convinzione di essere stato scientemente danneggiato, non di avere assistito a un arbitraggio che doveva essere amico e invece non lo è stato, per correttezza dell'arbitro. Moggi non imputa come peccato a Paparesta l'essere stato corretto, e quindi imparziale anzichè amico, ma proprio l'essere stato scorretto. Niente di più chiaro.
E allora? E allora smettiamola con questo manicheismo.
Ladri e onesti, mostri e vittime.
Paparesta non è una verginella. Legittimamente, e noi lo sosteniamo, pensa di non avere fatto nulla di peggio di chi ancora oggi fischietta e occupa poltrone. Per questo vuole essere reintegrato. Ma non faccia la vittima.
Chi non lo vuole?
Il delirio di Gilioli sembra ingiustificato.
Io mi permetto di segnalare due opzioni: il designatore, già in costante imbarazzo per quella telefonata "milanista", non può permettersi, di fronte, non tanto all'opinione pubblica che sui fatti da me riportati ha sempre taciuto, ma agli elettori della Lega Calcio, di prendere posizione e imporsi per reintegrare un arbitro toccato da allusioni "milaniste". Seconda opzione, più ignorante, una squadra (o più squadre) di potere non vuole un arbitro considerato vicino a un altro potere, e sfrutta la sua influenza presso l'AIA. Perchè tutto parte dall'AIA. Altro che Valentini.
NOTE
(1) Scrive Gilioli: "Paolo Dondarini, che è stato rinviato a giudizio nel processo di Napoli con l’accusa di frode sportiva per aver avvantaggiato la Juventus (in una partita contro la Sampdoria)". Circostanza assolutamente falsa. Dondarini non è stato rinviato a giudizio per Sampdoria-Juventus, caso archiviato dalla Procura di Torino con la celeberrima formula a spiegare la motivazione: "nemmeno nell'ottica della peggiore cultura del sospetto."
Una vittima di Moggi. Oggi
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