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Su questa vicenda infinita e sulle le sue conseguenze in campo sportivo, il presidente del Bologna Gazzoni Frascara ha avuto parecchio da ridire. Il 22 novembre 2003 il Bologna perde 0-4 in casa con la Roma, con i gol di Totti, Montella, Panucci e Cassano. Una batosta che i felsinei non conoscevano da molti anni e che porta i tifosi alla contestazione nei confronti del loro presidente. I rossoblù sono in zona retrocessione (si salveranno a fine anno) e a Gazzoni i conti non tornano: la Roma non doveva nemmeno iscriversi al campionato, compra giocatori con soldi che non ha e non paga i debiti col Fisco. Lui, al contrario, fa le cose per bene e si ritrova cornuto (il fondo classifica) e mazziato (la contestazione dei tifosi):
Lo portano via, quando Cassano fa il quarto gol. Sì, Gazzoni, il padrone del Bologna, se lo porta via la Digos, quando la curva dello stadio diventa acida, rabbiosa, insolente. Tanto da trasformare la protesta in una contestazione aggressiva che ha come sfondo le poltronissime della tribuna vip. Gazzoni, un' ora dopo il minuto di silenzio per le vittime italiane in Iraq, deve andarsene scortato. Dal Dall' Ara che, in fondo, è anche suo, mentre i cinquanta ultrà che hanno invaso la tribuna d' onore lo insultano: vogliono che tiri fuori i soldi, gli urlano che è senza cuore, dopo aver mostrato lo striscione «Compracela, Gazzoni». Riferito alla partita, naturalmente. La Roma l' ha già vinta, intanto. Anche se Gazzoni, all' inizio dell' intervallo, subito prima della contestazione l' aveva attaccata meglio dei suoi in campo: «Se noi non pagassimo l' Irpef come fanno loro, avremmo quattro giocatori in più. E anche buoni. Quattordici milioni di euro di imposte non pagate sono tanti: poi loro sono bravi, sono fortissimi, ma anche noi avremmo potuto esserlo di più stando alle loro regole». Cioè non rispettandole.
L' azionista di maggioranza del Bologna ha visto la frana del 3-0, dopo appena 45 minuti: non avrebbe più voglia di vedere altro, forse. E invece poco dopo quelle frasi, verso la fine dell' intervallo, arriva il resto. Tre ultrà arrivano a pochi metri da lui, prima che intervenga la polizia, evitando che l' invasione - visto il clima - diventi aggressione. Nel respingere la carica, c' è qualche manganellata, ma in 5 minuti, appena ripresa la partita e permesso anche a Cassano di trovare il gol, tutto si chiude. Per sicurezza, Gazzoni viene fatto uscire, con la scorta. E' undici anni che è nel calcio, ma tra collasso economico del sistema e tifosi sempre più contro (a giugno fu aggredito dopo una trasmissione tv, perché sembrava che Signori non restasse), non ne può più. «Prima non era così, ora la situazione è molto critica», aveva detto. Parlava dei bilanci che il Bologna ha in regola:“Lazio e Roma non pagano, si sa”. (Repubblica, 24 novembre 2003)
La fine della storia, per fortuna, vede il presidente Sensi recuperare un po’ di dignità. A novembre 2003 la Roma è indebitata come e più di prima con un passivo di 239 milioni di euro. Sensi avrebbe potuto andarsene, lasciare la società in mano ai curatori fallimentari, invece ha scelto di starsene in poltrona e di salvare la sua squadra, sacrificando una bella fetta del suo patrimonio. Dopo il fallimento delle trattative di vendita con i russi della Nafta Mosca, Sensi decide ripianare completamente il debito di tasca sua: rinuncia a crediti con la Banca d’Italia, salda 47,5 milioni delle vecchie fidejussioni e vende immobili e quote azionarie delle sue società come la Interpetroli e gli Aeroporti di Roma. Il governo dà una mano, consentendo di pagare in tre rate (giugno, settembre, novembre) i debiti previdenziali e così tutto si risolve. Poco importa se per sistemare gli ultimi 20 milioni ci abbia pensato il condono Tremonti. Poco importa se, in tutto questo periodo, la Legge Spalmadebiti sia intervenuta, se non a risolvere, quantomeno a rinviare i problemi. La Roma è salva, si va avanti.
Lo portano via, quando Cassano fa il quarto gol. Sì, Gazzoni, il padrone del Bologna, se lo porta via la Digos, quando la curva dello stadio diventa acida, rabbiosa, insolente. Tanto da trasformare la protesta in una contestazione aggressiva che ha come sfondo le poltronissime della tribuna vip. Gazzoni, un' ora dopo il minuto di silenzio per le vittime italiane in Iraq, deve andarsene scortato. Dal Dall' Ara che, in fondo, è anche suo, mentre i cinquanta ultrà che hanno invaso la tribuna d' onore lo insultano: vogliono che tiri fuori i soldi, gli urlano che è senza cuore, dopo aver mostrato lo striscione «Compracela, Gazzoni». Riferito alla partita, naturalmente. La Roma l' ha già vinta, intanto. Anche se Gazzoni, all' inizio dell' intervallo, subito prima della contestazione l' aveva attaccata meglio dei suoi in campo: «Se noi non pagassimo l' Irpef come fanno loro, avremmo quattro giocatori in più. E anche buoni. Quattordici milioni di euro di imposte non pagate sono tanti: poi loro sono bravi, sono fortissimi, ma anche noi avremmo potuto esserlo di più stando alle loro regole». Cioè non rispettandole.
L' azionista di maggioranza del Bologna ha visto la frana del 3-0, dopo appena 45 minuti: non avrebbe più voglia di vedere altro, forse. E invece poco dopo quelle frasi, verso la fine dell' intervallo, arriva il resto. Tre ultrà arrivano a pochi metri da lui, prima che intervenga la polizia, evitando che l' invasione - visto il clima - diventi aggressione. Nel respingere la carica, c' è qualche manganellata, ma in 5 minuti, appena ripresa la partita e permesso anche a Cassano di trovare il gol, tutto si chiude. Per sicurezza, Gazzoni viene fatto uscire, con la scorta. E' undici anni che è nel calcio, ma tra collasso economico del sistema e tifosi sempre più contro (a giugno fu aggredito dopo una trasmissione tv, perché sembrava che Signori non restasse), non ne può più. «Prima non era così, ora la situazione è molto critica», aveva detto. Parlava dei bilanci che il Bologna ha in regola:“Lazio e Roma non pagano, si sa”. (Repubblica, 24 novembre 2003)
La fine della storia, per fortuna, vede il presidente Sensi recuperare un po’ di dignità. A novembre 2003 la Roma è indebitata come e più di prima con un passivo di 239 milioni di euro. Sensi avrebbe potuto andarsene, lasciare la società in mano ai curatori fallimentari, invece ha scelto di starsene in poltrona e di salvare la sua squadra, sacrificando una bella fetta del suo patrimonio. Dopo il fallimento delle trattative di vendita con i russi della Nafta Mosca, Sensi decide ripianare completamente il debito di tasca sua: rinuncia a crediti con la Banca d’Italia, salda 47,5 milioni delle vecchie fidejussioni e vende immobili e quote azionarie delle sue società come la Interpetroli e gli Aeroporti di Roma. Il governo dà una mano, consentendo di pagare in tre rate (giugno, settembre, novembre) i debiti previdenziali e così tutto si risolve. Poco importa se per sistemare gli ultimi 20 milioni ci abbia pensato il condono Tremonti. Poco importa se, in tutto questo periodo, la Legge Spalmadebiti sia intervenuta, se non a risolvere, quantomeno a rinviare i problemi. La Roma è salva, si va avanti.