Noi Juventini abbiamo vissuto con passione, nella duplice accezione del termine, estremo interesse ma anche partecipazione emotiva, la vicenda della squalifica di Antonio Conte, anche per i riflessi che poteva avere sull'andamento della Juventus. E in questo senso abbiamo sempre proclamato che Conte è stato vittima di una giustizia ingiusta. Sembra lui all'apparenza il grande sconfitto di Scommessopoli: un innocente che non è riuscito a farsi riconoscere tale; e per l'Italia anti-juventina comunque un impuro, un traditore dei valori dello sport; si è perso quattro mesi di profumo dell'erba, quattro mesi di abbracci dei suoi; e la Juve ha probabilmente perso qualche punto. Ma forse lui è solo il dito, mentre la vera sconfitta di Scommessopoli è la luna che è rimasta vittima di un'eclissi totale. E questa luna è la giustizia. Perché come può continuare a definirsi tale una presunta giustizia che ha abdicato ai suoi principi, alle sue fondamenta in base alle quali non si condanna senza prova certa, figuriamoci senza nemmeno uno straccio di prova, in base ad una plausibilità assolutamente soggettiva? Così dunque essa ha condannato un Conte con un triplo salto mortale carpiato e rovesciato arrampicandosi su un 'ma come poteva non sapere?!' (per cui, anche se non avesse davvero saputo, la sua colpa sarebbe diventata quella di non sapere; la sua, solo la sua, perché per gli altri mister, da Mondonico all'ultimo esempio Mazzarri, a nessuno è mai passato per la testa che potessero/dovessero sapere); sapeva perché l'ha detto 'Pippo' Carobbio, quella figura d'atleta tanto limpida e cristallina che Gegic, trafficante internazionale di partite, lo avrebbe addirittura identificato come colui che, assieme a Gervasoni, fissava i prezzi delle partite, e i cui spostamenti da una squadra all'altra portavano ad un ampliamento della rete delle combines; sì, d'accordo, poi questo sarà debitamente vagliato dalla giustizia ordinaria, quella sottospecie per Petrucci così poco rapida e poco chiara che viene sistematicamente sconfitta da quel prodigio che è la giustizia sportiva. Che infatti per il calcioscommesse ha condannato Conte, che non ha mai scommesso nemmeno una caramella con Alessio sul lancio della monetina per il calcio d'inizio. Che ha salvato il futuro sportivo delle mele marce, perché la radiazione è qualcosa da utilizzare solo per i mostri come Moggi. Che sta vedendo tante sue condanne cadere impietosamente sotto i colpi di un Tnas sazio di aver punito Conte: così facendo, arricciare, e non poco, il naso ad Abete: "Tre gradi di giudizio non ce li ha nemmeno il Paese: la Cassazione interviene solo sulla legittimità. È davvero anomalo il fatto che la Figc, per i primi due gradi, ha un ruolo asettico, poi diventa parte in causa"; eh già, la Corte di Giustizia Federale aveva trovato il modo di toglier di mezzo Conte per tutta la stagione e invece se lo ritrovano tutti già tra i piedi, bisognerà accelerare su Bari (se doveva sapere a Siena, essendo sempre stato lo stesso accentratore, deve aver saputo anche a Bari..); in ogni caso il parziale ravvedimento in extremis non laverà mai le colpe iniziali che hanno macchiato tutta la vicenda, visto che questo prodigio di giustizia fa scontare la pena prima che sia definitiva, e dopo, quand'anche sopravvenisse l'assoluzione, non sarebbe tale nei fatti, perché l'innocente certificato avrebbe comunque già pagato: e il tempo non si può restituire alle persone.
Questa débâcle della giustizia trascina inevitabilmente con sé quell'etica a parole tanto cara al duo Petrucci-Abete: perché la giustizia come istituzione non fa che tradurre in leggi ciò che l'etica ci porta a distinguere come buono o non buono. Concetti che non si prescrivono, per la cronaca. Nella loro essenza hanno l'età del mondo.
In definitiva Conte non è più lo sconfitto di Scommessopoli, ma il vincitore morale: perché, pur costretto a pagare colpe non sue, ha portato fuori da questa storiaccia l'immagine intrisa di dignità di qualcuno che, anziché farsene schiacciare, ha vinto una palese ingiustizia dichiarandola e uscendone più forte di prima; di qualcuno che non è stato pagato con la pena accessoria del ripudio da parte del suo presidente che ha tanta fiducia in lui da averne difeso l'immagine davanti ad una platea internazionale, per la disperazione dei media che si son visti stroncato sul nascere il giochino perverso del toto-nuovo-allenatore; di qualcuno che ha incassato la solidarietà di chi lo conosceva davvero e non aveva nel proprio armadio scheletri da trasferire in quello del tecnico salentino; di qualcuno che, se possibile dopo l'ubriacatura dello scudetto, ha visto crescere in maniera esponenziale non tanto l'attaccamento che, fortissimo, già c'era nei suoi confronti da parte della sua gente, ma le manifestazioni di tanto affetto, a sostegno dell'uomo Conte, in un momento difficile sia a livello personale che professionale; di qualcuno infine che ha reso manifesta l'evidenza del fallimento di Scommessopoli, se per darle lustro si è dovuti ricorrere a condannare qualcuno lontanissimo dalle scommesse con la sola motivazione che era più plausibile che sapesse piuttosto che non sapesse, mentre le partite comprate e vendute impallidiscono e si ritirano sempre più sullo sfondo della scena; quando, tanto per fare un esempio, un calciatore pesantemente indagato dalla magistratura ordinaria calcia beato il pallone sui prati verdi della serie A e dell'Europa League, senza che la cosiddetta giustizia sportiva lo abbia non dico condannato, per carità, quello sarebbe il passo successivo, ma nemmeno deferito. Che bisogno ha di aspettare gli esiti della giustizia ordinaria, visto che essa stessa si ritiene superiore per rapidità e chiarezza, come recita il verbo di Petrucci, che peraltro stavolta ha avuto almeno la decenza di non citare l'equità tra i requisiti della 'giustizia' sportiva?
All'atto degli esiti pratici i vincitori sembrerebbero i 'pentiti' che, giustizia ordinaria a parte, l'hanno in qualche modo scampata; ma nello sport non si può vincere uccidendone i princìpi e le loro azioni li inchioderanno per l'eternità al ruolo di chi ha tradito tutto: maglia, tifosi, sport, giustizia.
Equità e giustizia calpestate qui come in Calciopoli, perché tra le due questioni le analogie sono 'agghiaccianti'. Anche là si badò al dito e non alla luna: il dito fu la Juve, e la luna, anche là debitamente eclissata, fu la giustizia sportiva, che 'corse dietro', per dirla à la Casoria, solo a Moggi e alla Juve, e dormì un sonno profondissimo sugli illeciti altrui (ma siamo sempre lì: come si poteva nuocere a quel mecenate di Moratti che tanti soldi aveva profuso nel calcio, senza ricavarne granché, lui ignaro che gli scudetti si assegnano, dice la legge dello sport, sul campo e non tavolino?!) sinché fu svegliata dal campanello dell'intervenuta prescrizione. Via libera! Ora si poteva anche sussurrare, ma ormai la palla passava agli incompetenti. Sconfitta da una 'giustizia a due facce e a due velocità', la Juve non solo pagò un debito non suo, perché non aveva alcun illecito e dovettero inventarsene uno, l'ambientale, perché 'non poteva non pagare', ma, con l'innata fierezza e superando un difficile periodo di attesa di un presidente gobbo, seppe anche rialzarsi, fino a ritrovare un presidente e un mister con la Juve nel cuore e non nel portafoglio: e tornò a respirare aria di alte vette.
E tra Calciopoli e Scommessopoli vige pure una sorta di dissonanza per incoerenza logica: nel 2006 la giustizia sportiva considerò che la classifica di un campionato fosse stata alterata pure senza alcuna alterazione dei risultati dello svolgimento o del risultato di singole gare; e addirittura uno scudetto di un torneo nemmeno sotto inchiesta venne tolto ad una squadra e assegnato ad un'altra, illibata solo perché non se ne cercarono le magagne (e si lasciarono nel dimenticatoio anche quelle passate); in Scommessopoli si son scoperti concretamente alterati i risultati di numerose partite (comprate e vendute), ma l'attenzione della giustizia sportiva non si è focalizzata tanto, ad esempio, sulla classifica di una serie B massacrata dai maneggi dei vari Doni, Carobbio e Gervasoni, ha preferito concentrare le sue attenzioni sul nome che dava lustro, che avrebbe esportato lo Scandalo (da noi sono fiori all'occhiello, in mancanza di meglio) in Europa, il contraltare del Moggi che fu: con il surplus di evidenziare la redenzione di molti taroccatori.
E la ciliegina sulla torta ce l'ha messa Gianni Petrucci: quasi il testamento sportivo del numero uno uscente del Coni, che si gloria del fatto che la giustizia sportiva sia stata in grado di condannare, a velocità supersonica, dei 'malfattori' che ora, grazie al crollo di cupole e castelli di cartone, stanno piano piano, un grado di giudizio dopo l'altro, sfuggendo alle maglie della giustizia ordinaria. La sua massima è: "Il calcio non assolve tutti". Si è scordato di aggiungere: "Alcuni però li prescrive". Non gli passa nemmeno per l'anticamera del cervello che le assoluzioni da parte della giustizia ordinaria passano attraverso quelle prove, quelle intercettazioni, che la giustizia, ordinaria e sportiva, aveva deciso non interessassero. Prove che sono emerse grazie all'impegno, finanziario e di staff, di uno degli accusati, che non ci è stato, e non ci sta, a recitare il ruolo del mostro. Ma nel frattempo non solo le carriere sportive, ma anche le esistenze di molti tesserati e delle loro famiglie, hanno subito un vero e proprio tsunami. Grazie alla fretta del 2006, quel 2006 cui Figc e Coni rimangono ancora incollati, incapaci come sono di ammettere che siano stati commessi errori, che quelle frodi sportive non esistevano. Esisteva invece un illecito, grosso come una casa: è ancora lì, nella relazione di Palazzi, arrivata con quella rapidità che è propria delle giustizia sportiva, giusto in tempo per essere prescritta.
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