ConteManca ormai meno di una settimana di giorni al ritorno di Conte in panchina e c'è chi comincia a preoccuparsi. Evidentemente. Ohibò, ma non erano meglio i 15 mesi iniziali? A quel punto col filone di Bari si poteva rallentare... Invece ora, sotto con il mantice... Il fuoco del sentimento popolare va riattizzato senza por tempo in mezzo.

Anche perché s'è visto che la mossa ha pagato: l'assenza di Conte in panchina ha fatto male alla Juve; prestazioni come quella di Firenze o quella in terra di Danimarca, la gara contro lo Shakhtar, le due sfide con le milanesi probabilmente sarebbero andate diversamente, come atteggiamento in campo e non solo e non tanto come esito, col mister in panchina: non è uno svalutare l'opera di chi lo ha sostituito, ma tra il mite Alessio e furia Conte, con il suo animus pugnandi, il mordente su chi sta in campo è diverso e le correzioni di rotta su come muoversi sul rettangolo d'erba arrivano all'istante. Ma era prevedibile: lo scudetto dell'anno scorso porta inciso a fuoco il marchio di Conte non solo per le soluzioni tattiche adottate, ma per lo spirito indomito che ha saputo infondere ai suoi, con puntualissimi rabbocchi ogniqualvolta vedeva un attimino scemare la fame.

Era dunque necessario riprovare. Chi ha ricominciato a menare il primo colpo? Il duo Foschini-Mensurati: due habitués, che ci avevano provato in anteprima con il flop sul giornalista Raimondo, sin da aprile si erano spinti a ipotizzare una bufera che soffiasse Conte lontano dalla panchina per questa stagione, avevano raccolto i turbamenti di un 'redento' Carobbio, e poi erano esplosi in un titolo liberatorio 'Conte indagato: associazione a delinquere'. Appena spuntati i nuovi refoli da Bari, avevano poi ridato fiato alla bufera, diventata infinita (quando di infinito dal 2006 c'è invece solo l'accanimento verso tutto ciò che profuma di bianconero). E si era ancora ai primi di agosto, prima che la cosiddetta 'giustizia' sportiva entrasse in azione. Tranquillizzati per un paio di mesi dalla sentenza esemplarmente 'agghiacciante' della Corte di Giustizia Federale si risvegliarono proprio in corrispondenza con la pronuncia del Tnas, quando cercarono di estrarre l'asso dalla manica con lo spiffero che un giocatore avrebbe ammesso di sapere che Conte sapesse; e comunque si mettevano anche al riparo dietro un nuovo 'non poteva non sapere', entrando nella testa degli investigatori per leggervi/suggerirvi come potesse essere possibile che "un allenatore noto per la sua attenzione maniacale ai dettagli non si sia accorto - per due volte, a Bari e a Siena - che i suoi spogliatoi erano diventati un suk? E perché scegliere sempre Stellini come vice?": dimenticando peraltro che a Bari Stellini non era suo vice, era solo un giocatore, nemmeno capitano (era Gillet, con Stellini vice); ma sappiamo come Stellini in questa faccenda sia stato usato come grimaldello, anche a sproposito: e le motivazioni del Tnas ne sono un esempio che non può non scandalizzare chi ha a cuore la Giustizia vera, soprattutto in ragione di chi componeva il Collegio giudicante (il pensiero va al curriculum professionale di quel Guido Calvi, arbitro scelto da Conte, che non ha trovato il coraggio per rompere almeno il muro dell'unanimità).
Il giocatore adombrato, come avrebbe poi rivelato il Corsera, avrebbe dovuto essere Vitali Kutuzov, il quale aveva provveduto a smentire tutto di persona, in collegamento telefonico con Antenna 3, sconcertato anche di come poteva essere che un interrogatorio secretato fosse stato rivelato, per di più, disse, travisandone le affermazioni; e preoccupato di cosa avrebbe ora pensato di lui Conte, che egli stimava assai; e il sospetto che non il tutto fosse così ingenuo come poteva apparire sfiorò pure lui: 'Qualcuno voleva mandare la Juve giù, prima di Juve-Napoli: non so se sia un caso o se sia stato fatto in maniera un po' sporca'. E le cose sporche, in questa vicenda, non sono finite qui, ci torneremo tra poco.

E arriviamo al presente: Conte sta per tornare, Scommessopoli deve ripartire: no, non col filone di Cremona, quello di Mauri, per intenderci: lì bisogna aspettare la chiusura delle indagini, meglio non disturbare il campionato, se ne parlerà col solleone, sotto l'ombrellone... C'è un altro bocconcino appetitoso in quel di Bari: Antonio Conte. Indagini chiuse, con 20 indagati: Conte non c'è. Non è un problema, davvero: infatti, suggerisce il duo Foschini-Mensurati, Palazzi, esaminando le carte, potrebbe scoprire ugualmente "un paio di particolari che, ininfluenti dal punto di vista penale, potrebbero costare all'allenatore della Juventus un nuovo deferimento per omessa denuncia". Non importa se i giocatori, da Kutuzov a Gillet, hanno precisato "che il mister non sapeva niente della combine". Dov'è il problema? Starebbe "nelle pieghe dei loro discorsi", perché "le due dichiarazioni fanno intendere quindi che Conte sapesse che c'era qualcosa che non andava in quella partita": infatti chiese a Kutuzov di impegnarsi particolarmente. I calciatori hanno smentito? Sembra quasi sia peggio per loro perché, scrive il duo di 'La Repubblica', "i verbali sono però depositati. Appena Palazzi li riceverà riconvocherà tutti i giocatori: toccherà a loro poi precisare, spiegare meglio e in questo caso, eventualmente, dire il contrario di quanto detto ai magistrati penali con tutto quello che una scelta del genere comporta". Quindi, in buona sostanza, per non aver problemi, sarebbe consigliabile accusare Conte, uscirsene con il bollino blu di chi ha collaborato e offrire alla Procura Federale la testa di Conte su un piatto d'argento.
Anche se l'allenatore, ascoltato come testimone, ha spiegato di aver chiesto particolare impegno ai suoi solo per scongiurare il rischio di una partita di 'fine stagione'.

E nella sua mente passa forse come un flashback, il film di quella Juve-Spezia, finita 2-3, del 10 giugno 2007. Rivediamolo insieme a lui: fu la partita che condannò l'Arezzo di Antonio Conte alla retrocessione in serie C. La cosa ai tempi era stata fonte di grande amarezza e rabbia per il tecnico, che se la prese assai. Fu la prima grossa delusione, psicologica e morale tanto quanto concreta, della sua carriera da allenatore: ma quella era una Juve ormai scarica, che aveva perso anche la gara precedente a Bari e che era stata 'lasciata', appena raggiunta la promozione quindici giorni prima, dal tecnico che l'aveva guidata con temperamento combattivo e polso fermo, nella risalita verso la A, Didier Deschamps, basco dal cuore bianconero, un mix niente male, orgoglio e grinta: troppa roba per la dirigenza di allora; le divergenze con Blanc, e più ancora con Secco, sul piano di rafforzamento lo indussero ad andarsene sbattendo la porta con un 'prenderanno uno che si accontenta'. Ed era già chiaro, alla vigilia di quella partita finale, che il cuorcontento sarebbe stato Ranieri, anche se forse Conte un pensierino alla Juve l'aveva fatto già da allora; invece la squadra del suo cuore l'aveva tradito due volte: non solo non sarebbe stato su quella panchina ma 'per colpa della' Juve sarebbe retrocesso col suo Arezzo. Ebbe parole polemiche e avvelenate allora il mister salentino, uno che parla sempre col cuore in mano: "Si parla tanto di calcio pulito, poi succedono queste cose. Nel calcio sono tutti bravi a parlare, sembrava che i cattivi fossero fuori. Ho rispetto per i tifosi bianconeri, non certo per la squadra". Non voleva certo adombrare una combine tra la Juve e lo Spezia, era solo l'amara constatazione di una realtà di fatto, che nessuna Farsopoli aveva costruito e che nessuna Farsopoli può eliminare: quella delle partite di fine campionato, che mettono di fronte a volte una squadra famelica (come era lo Spezia alla caccia dei playout) e una allo sbando sul piano psicologico, assolutamente demotivata, che non ha più nulla da chiedere e si sente praticamente in vacanza. Aveva vinto la fame spezzina sulla rilassatezza di una Juve che si sentiva già lontana da quella serie B che in cuor suo non aveva mai giocato. Succede.
Una partita questa che sicuramente è ben impressa nella testa di Conte, che sa cosa può accadere ai suoi giocatori e in queste occasioni li sprona, ricordando loro che sa di questo rischio di sottovalutare l'impegno, e anche di tirare indietro la gamba per non farsi male. Ma poi alla fine in campo vanno i giocatori e se, oltre alla scarsa fame, c'è dell'altro come in quel Bari, poco davvero può l'allenatore.

Uscendo dal flashback, torniamo ad oggi, all'ultima, per ora, in ordine di tempo, cosa sporca della vicenda: la rivelazione, fatta da Gegic alla Gazzetta, in attesa di vedere se il serbo confermerà il fatto negli interrogatori in corso a Cremona. C'era una tv che gli avrebbe offerto 5.000 euro per un'intervista in cui facesse il nome di Conte. Una situazione che squarcia il velo ipocrita dietro il quale la realtà della vicenda Conte è stata collocata sin dall'inizio, per mettere in home page solo la sua faccia e il suo nome (che trascina con sé quello della Juve). Situazione che in qualche modo spiega perché, quando in un futuro si parlerà di Scommessopoli, il primo nome che verrà in mente a chiunque sarà quello di Conte, che non ha mai scommesso ma ha pagato per chi l'ha fatto. E acclara un tassello importante di tutta la vicenda, che i tifosi juventini avevano individuato da subito, tacciati da complottisti, magari proprio da quelli stessi media che rincorrevano Gegic e le altre mele marce perché inguaiassero Conte: perché quel nome serviva. Serviva a tutti, mass media e istituzioni per dar lustro ad un calcioscommesse che rischiava di appassire prima di sbocciare. E per far comprendere che Calciopoli in realtà non dorme mai, tanto meno potrà morire.

Contiamo che davvero da Cremona esca il nome di quell'emittente, di chi era interessato non alla verità a 360° gradi, ma solo a sparare lo scoop col nome di Conte: senza badare alle conseguenze sulla vita di una persona, probabilmente badando però a quelle sulle sorti di una squadra e di un club, ben sapendo che quest'ultima 'attenzione sarebbe stata gradita a molti, preventivamente ben 'orientati'. E se Gegic si fosse lasciato tentare che sarebbe successo? Dove saremmo ore? Se lo è chiesto il legale di Conte e ce lo chiediamo anche noi, mentre un brivido ci corre lungo la schiena.
Conte, come riferiscono l'avvocato De Rensis e Beppe Marotta, ha molto sofferto di questa vicenda e non è difficile crederlo, visto come per indole vive profondamente le situazioni; in ciò ha avuto almeno il conforto e la fortuna che la società gli è stata accanto, condividendo con lui tutti lati negativi della situazione, perché per Agnelli prima viene l'uomo 'Antonio' in cui crede come persona e poi il professionista che ha firmato un contratto che si potrebbe anche stracciare; anche se ciò ha suscitato più di una volta la finta indignazione di presunti benpensanti, che avrebbero preferito una dirigenza come quella del 2006, che ha buttato via la sua dirigenza, e la Juve insieme ad essa. In fondo la situazione era paragonabile; nell'un caso come nell'altro a muovere gli accusatori era una forma di invida sublimata in una forma di accanimento estremo: chi non sa vincere sul campo lo fa a tavolino, chi vede deluse, in realtà per suoi limiti, le proprie aspirazioni di carriera, cerca vendetta su chi non ha fatto che metterlo di fronte alla realtà.

Per intanto però da Cremona è uscita invece la notizia che la Procura ha chiesto una proroga di sei mesi per archiviare le posizioni di 33 indagati 33: e tra essi Bonucci (in modo un po' sorprendente, perché pareva che gli atti che lo riguardavano fossero stati trasmessi a Bari) e Antonio Conte. La richiesta è precedente all'arrivo di Gegic in Italia ed è motivata dal fatto che l'attività istruttoria è ampiamente in atto e devono essere approfondite posizioni sinora esaminate solo superficialmente. Ora l'ultima parole spetta al Gip; ma al di là del fatto che la cosa, oltre ad apparire incongrua visti gli sviluppi delle situazioni dei due, è piuttosto inaspettata, il duo Foschini-Mensurati ha preso la palla al balzo per sparare subito, su repubblica.it, il titolo: "Calcioscommesse, niente archiviazione. Proroga indagine per Bonucci e Conte ". Nel titolo: Bonucci e Conte, solo Bonucci e Conte, il primo addirittura assolto dalla giustizia sportiva, due specchietti per le allodole; gli altri da Criscito a Vieri e a Sculli, da Mezzaroma a Perinetti, non 'tirano' e possono stare nelle retrovie.

E adesso, mentre il Tnas procede a cassare, una dietro l'altra, le sentenze dei primi due gradi della giustizia sportiva, dimostrando che buona parte del castello di Palazzi era di cartone, il procuratore federale è pronto a rimettersi al lavoro; siamo certi che entrerà nelle 'pieghe' delle deposizioni e allungherà l'osso anche ai vari Kutuzov e Gillet. Dignità vorrebbe invece che lui e quanti sinora non hanno saputo che regalare mesi d'inferno ai vari, non dico solo Conte, ma Gheller, Fontana e quanti devono ancora passare per il Tnas (e sono parecchi: Pesoli, Terzi, Vitiello...) si dimettano, riconoscendo il fallimento non solo loro, ma anche di questa giustizia sportiva da medioevo (come ha detto Marotta) e da chi tuttora continua a difenderla, nominalmente in nome del fantasma dell'etica, in realtà solo come strumento di conservazione dello status quo e delle proprie comodissime poltrone.

 

Twitter: @carmenvanetti1