Chi come il sottoscritto sta seguendo passo dopo passo quello che ha combinato la giustizia sportiva dall’estate del 2006 in poi, immagino che provi il mio stesso fastidio nel vedere certi media sguazzare nella palude del calcio sporco accomunando 'Calciopoli' a 'Scommessopoli'.
Da Calciopoli. E’ forse comodo, ma sbagliato. Sempre facendo riferimento al processo sportivo non mi stancherò mai di di ricordare, con una pressoché nulla possibilità di essere smentito, che Calciopoli è stato un processo frettoloso, viziato all’origine dall’amputazione di un grado di giudizio e la nomina ad hoc del collegio giudicante a processo iniziato. Risultato? Per fabbricare l’illecito i giudici si sono inventati che più telefonate ritenute eticamente “sleali” costituivano un illecito strutturato. Aberrante. Si sostenne nella sentenza che “le classifiche sarebbero state alterate senza alterare le singole partite”. I giudici si erano sintonizzati sull’onda colpevolista del sentimento popolare, come se dai tempi di Gesù e Barabba non fossero passati 2000 anni. Partite truccate? Nemmeno una. Ça va sans dire.
A Scommessopoli. Questa delle scommesse è tutta un’altra storia, anche se il processo sportivo è ancora di là da venire. Qui di money ce n'è. Partite alterate sembra ce ne siano a bizzeffe. Nel girone dantesco che parte da Singapore e, passando per il cosiddetto “gruppo degli zingari”, arriva al calcio nostrano, i PM di Cremona si sono fatti accompagnare, fra gli altri, dal calciatore Gervasoni, che di nome non fa Virgilio, ma sembra orientarsi a meraviglia fra i meandri della bolgia di questo nuovo calcioscommesse. Ma attenzione alle 18 partite di serie A e B, e ai 43 nomi di presunti complici confessati ai giudici. C’è tanto “per sentito dire” nella confessione “passata” ai giornali in spregio a qualsivoglia segreto istruttorio. Una nemesi che fa tornare alla mente l’estate in cui scoppiò Calciopoli, quando il processo di condanna fu prima mediatico che sportivo. Anche questa fuga di notizie sembra quasi “tattica”. Come il gatto gioca con il topo, certe news sembrano esche per far abboccare qualche pesciolino del calcio di provincia. Notizie date in pasto ai media, come per esempio quella relativa alla presunta combine per Albinoleffe-Padova, lasciano esterrefatti. Gervasoni che avrebbe fatto i nomi dei fratelli Cossato (ex Chievo), che a loro volta avrebbero in Italiano (pure ex Chievo, ora al Padova) il confidente in grado di soffiare che il Padova avrebbe comprato la partita con l’Albinoleffe del 2009/10. Un’informazione di “quarta mano” che deve valere meno di niente anche per la giustizia sportiva in assenza delle opportune verifiche. Comunque sia, finisce tutto sui giornali quasi fossero una discarica della fase istruttoria. A chi può giovare una fuga di notizie del genere in piena fase istruttoria? Il messaggio può essere che “qualcuno sta parlando”. Sembra ci si aspetti qualche mossa falsa, una strategia che, ad esempio, con Doni, inciampato in intercettazioni compromettenti, ha pagato. Ma intanto la gogna pubblica va da sé per chi è stato nominato e per le società. Su qualche canale televisivo che fa sport 24 ore su 24 si invitano i giudici a “fare presto”. E già. L’importante è “fare presto”, chissenefrega se poi, “nella fretta”, si condanna qualche innocente. Il baraccone deve andare avanti. Su qualche giornale già nei giorni scorsi sono iniziate le esercitazioni con studio di tabelle sulle penalizzazioni che rischierebbero le società invischiate nella melma di certe dichiarazioni in un processo che deve ancora iniziare. Si andrebbe da -3 a -8 punti in classifica quale ulteriore danno per società, da considerare semmai parti lese dai comportamenti dei propri tesserati. Non mi piace questo tipo di giornalismo.
Oltre il calcio sporco. Spero almeno che le frodi sportive che stanno emergendo in questa fase possano essere lo stimolo per tirare fuori dai cassetti una riforma complessiva del calcio italiano che rivisiti anche l’istituto della responsabilità oggettiva. Certo che nel nuovo filone del calcioscommesse potrebbe essere provato il coinvolgimento di qualche società, ma nella stragrande maggioranza dei casi è evidente che le società stesse siano in tutto e per tutto parti lese. Ma una riforma complessiva del calcio italiano serve per ridefinire il quadro complessivo del sistema. Si tratta di una legge che sta chiusa, chissà perché, nei cassetti della politica da anni. Si parta dal ridefinire il numero di squadre professionistiche restringendolo. Meno partite “a rischio” combine vorrebbe dire campionati almeno potenzialmente più sani. E poi, per un calcio più in salute, ci vuole indubbiamente una legge sugli stadi che stimoli la costruzione di impianti “per il calcio”. Impianti adeguati alle esigenze di un’industria, qual è quella del calcio italiano, che dev’essere innanzitutto competitiva a livello europeo. Poi ci sarebbe l’esigenza di tutelare i marchi, con la possibilità per le società di calcio di trarre risorse maggiori dal merchandising, come succede nei campionati dei paesi che ci hanno sopravanzato nel ranking UEFA. Non si può più tollerare, solo per fare l’esempio più immediato, di trovare già fuori dagli stadi gli ambulanti che vendono le maglie contraffatte di Totti e Del Piero. Non è possibile che in Italia si acquisti in merchandising un terzo di quello che si acquista in Inghilterra! Magari quegli stessi ambulanti potrebbero essere coinvolti nella vendita di merchandising doc.
Giudici e riforme. Riforma dell’ordinamento giudiziario, stadi e marketing sono giusto tre fra i temi più gettonati che attenderebbero risposte davvero urgenti che consentano una maggiore competitività di un calcio italiano che negli ultimi anni ha discusso soprattutto di diritti televisivi, quasi fossero l’unica mammella da succhiare. Se si continua a sonnecchiare salvo poi lamentarsi dovremmo farci tutti una ragione che a mettere ordine nel calcio nostrano possono essere solo i giudici. Non ci si potrà però stupire se tutt’intorno continueremo a ritrovarci circondati da quelle stesse macerie prodotte da un sistema malato.
Se a riformare il calcio ci pensano i processi
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