Il potere mediatico milanista è così diffuso che nel 1992 riesce persino a far vincere a Van Basten un discusso pallone d’oro: non certamente per il valore del giocatore, che era altissimo, ma perché l’olandese non aveva partecipato alle coppe europee di quell’anno e aveva disputato un deludente europeo a fronte però, va detto, di un grande inizio della stagione 1992/93 (tanti gol in campionato e un poker al Goteborg in coppa).
Il 31 ottobre 1993, 10° giornata di campionato, il Milan perde 3-2 con la Sampdoria dopo essere stato in vantaggio per 2-0. A siglare il gol decisivo è Gullit, che poco tempo prima aveva lasciato i rossoneri per trasferirsi a Genova. È proprio questa rete, segnata in fuorigioco, a scatenare le proteste dei milanisti. Negli studi di Pressing (condotto da Vianello), a rappresentare la rabbia rossonera è presente capitan Baresi. Dopo il servizio sulla partita comincia una patetica sceneggiata che vuole far passare il Milan come vittima di un complotto. Il capitano piange (lacrime vere) per la terribile ingiustizia che ha dovuto subire, dal momento che quel gol consente alla Sampdoria di superare il Milan in classifica. Di fronte a quella maschera di dolore, un giornalista presente in studio osa una considerazione «Siamo solo alla decima giornata, si può sempre rimontare», alla quale Baresi, frignante come un bambino a cui hanno sottratto un giocattolo, replica: «sì, l’anno prossimo…». Lo scudetto lo vincerà poi il Milan.
Intanto, i programmi delle tre reti del Capo vengono disseminati di immagini di calciatori rossoneri, quasi tutti mostrati nell’atto di festeggiare un gol: il Milan è gioia, è vincente, è bello tifare Milan perché comunica i valori positivi dello sport. La tattica è subdola e sottile e penetra le coscienze della massa vedente, rabbonita a colpi di culi e seni scoperti all’ora di cena. In fondo, al Milan, ci sono anche delle belle donne. Ogni tg contiene un’immagine del Milan, ad esempio nelle sigle compaiono un Massaro esultare indemoniato, oppure un Van Basten che conclude a rete. Addirittura si arriva a finezze di sublime livello: i milanisti non vengono inseriti solo nelle sigle ma, addirittura, nei fondali di studio. Mentre i giornalisti leggono le notizie del giorno i televisori collocati sullo sfondo propongono immagini relative a fatti di cronaca tra le quali, ogni tanto, spuntano azioni da gol o festeggiamenti dei magnifici rossoneri. È un appostamento martellante alla coscienza dello spettatore. Persino i programmi di costume e di approfondimento, tra una foto del Papa e una di Arafat trovano lo spazio per un Sacchi o un Donadoni. La vetta assoluta viene toccata quando, a fine 1993, il Milan vende Gullit alla Sampdoria: l’olandese, che era ritratto nell’ultima inquadratura della sigla di Studio Sport, viene prontamente sostituito da Panucci che festeggia un suo gol all’Aek Atene.
Le trasmissioni sportive sono un ricettacolo di giornalisti ed opinionisti al servizio del regime mediatico in rossonero: domenica 17 gennaio 1992, il Milan batte il Foggia per 3-1 ma sul vantaggio milanista pesa un rigore inesistente (trasformato da Van Basten), procurato da un tuffo olimpionico di Gullit. In serata, a Pressing viene sistemato strategicamente il team manager rossonero, Silvano Ramaccioni. Scorrono le immagini del presunto rigore e appare nettissimo il salto che il trecciolone spicca senza neanche incocciare la gamba del difensore foggiano. Secondo Ramaccioni è rigore perché «Gullit stava per toccare la gamba del difensore avversario, ma salta prima perché è stato appena infortunato al ginocchio e ha paura di farsi di nuovo male. Comunque il rigore è da assegnare perché se Gullit non avesse saltato avrebbe comunque subito fallo». Attimi di silenzio in studio poi qualcuno rompe gli indugi complimentandosi per il ristabilimento della verità. Incredibile ma vero.
Il 1993 vede la nascita della prima tv a pagamento italiana, Tele+, sulla quale mette le mani Berlusconi, che vi partecipa con un’importante quota azionaria: la trattativa per la cessione dei diritti del campionato alla nuova emittente è gestita da Adriano Galliani che vi prende parte nella quadrupla veste di dirigente milanista, dirigente della Lega (sarà poi presidente), membro del cda di Tele+ e consigliere di Mediaset. Il Presidentissimo cerca di sfruttare al massimo i possibili vantaggi di questo nuovo mezzo televisivo e impone che una partita venga anticipata al sabato e un’altra posticipata alla domenica sera. È l’inizio del can can di anticipi e posticipi, e delle conseguenti polemiche, tutte in nome del dio denaro delle televisioni.
Nell’estate del 1994 si svolgono i Mondiali di calcio negli Stati Uniti. Per preparare l’evento le tv trasmettono servizi rievocativi, vecchie partite della Nazionale e interviste ai protagonisti. Fra queste si distingue Rete4, con una serie di puntate dedicate alle precedenti edizioni dei Campionati: in quella del 1962, lo speaker commenta le grandi giocate del brasiliano Garrincha: «Garrincha è imprendibile e sulla fascia sembra il Donadoni della finale di Atene (riferendosi alla finale di un mese prima, Milan-Barcellona, nda)». Non si tratta di un programma live ma di puntate registrate, dei piccoli dossier per ripercorrere la storia dei Mondiali. Emergono in modo ancor più chiaro i subdoli metodi Fininvest per infiltrare il Milan dappertutto.
A luglio, la finale dei Mondiali americani vede l’Italia battuta ai rigori dal Brasile: i tempi regolamentari si erano conclusi con un noiosissimo 0-0, che aveva retto anche nei supplementari. I rigori beffano l’Italia costretta a fare i conti con gli errori di Baresi, Massaro e Roberto Baggio. Per i media l’errore dello juventino (il tiro finisce sopra la traversa di Taffarel) viene presentato come quello decisivo, che condanna alla sconfitta. In pochi però ricordano che non sarebbe bastata la trasformazione di quel rigore perché, anche solo per pareggiare, l’Italia avrebbe dovuto sperare in un errore brasiliano nell’ultimo tiro dal dischetto. Infatti, gli azzurri erano sotto 3-2 “grazie” alle mancate trasformazioni dei milanisti Baresi e Massaro, ovviamente dimenticati dalle tv del Biscione.
Il 31 ottobre 1993, 10° giornata di campionato, il Milan perde 3-2 con la Sampdoria dopo essere stato in vantaggio per 2-0. A siglare il gol decisivo è Gullit, che poco tempo prima aveva lasciato i rossoneri per trasferirsi a Genova. È proprio questa rete, segnata in fuorigioco, a scatenare le proteste dei milanisti. Negli studi di Pressing (condotto da Vianello), a rappresentare la rabbia rossonera è presente capitan Baresi. Dopo il servizio sulla partita comincia una patetica sceneggiata che vuole far passare il Milan come vittima di un complotto. Il capitano piange (lacrime vere) per la terribile ingiustizia che ha dovuto subire, dal momento che quel gol consente alla Sampdoria di superare il Milan in classifica. Di fronte a quella maschera di dolore, un giornalista presente in studio osa una considerazione «Siamo solo alla decima giornata, si può sempre rimontare», alla quale Baresi, frignante come un bambino a cui hanno sottratto un giocattolo, replica: «sì, l’anno prossimo…». Lo scudetto lo vincerà poi il Milan.
Intanto, i programmi delle tre reti del Capo vengono disseminati di immagini di calciatori rossoneri, quasi tutti mostrati nell’atto di festeggiare un gol: il Milan è gioia, è vincente, è bello tifare Milan perché comunica i valori positivi dello sport. La tattica è subdola e sottile e penetra le coscienze della massa vedente, rabbonita a colpi di culi e seni scoperti all’ora di cena. In fondo, al Milan, ci sono anche delle belle donne. Ogni tg contiene un’immagine del Milan, ad esempio nelle sigle compaiono un Massaro esultare indemoniato, oppure un Van Basten che conclude a rete. Addirittura si arriva a finezze di sublime livello: i milanisti non vengono inseriti solo nelle sigle ma, addirittura, nei fondali di studio. Mentre i giornalisti leggono le notizie del giorno i televisori collocati sullo sfondo propongono immagini relative a fatti di cronaca tra le quali, ogni tanto, spuntano azioni da gol o festeggiamenti dei magnifici rossoneri. È un appostamento martellante alla coscienza dello spettatore. Persino i programmi di costume e di approfondimento, tra una foto del Papa e una di Arafat trovano lo spazio per un Sacchi o un Donadoni. La vetta assoluta viene toccata quando, a fine 1993, il Milan vende Gullit alla Sampdoria: l’olandese, che era ritratto nell’ultima inquadratura della sigla di Studio Sport, viene prontamente sostituito da Panucci che festeggia un suo gol all’Aek Atene.
Le trasmissioni sportive sono un ricettacolo di giornalisti ed opinionisti al servizio del regime mediatico in rossonero: domenica 17 gennaio 1992, il Milan batte il Foggia per 3-1 ma sul vantaggio milanista pesa un rigore inesistente (trasformato da Van Basten), procurato da un tuffo olimpionico di Gullit. In serata, a Pressing viene sistemato strategicamente il team manager rossonero, Silvano Ramaccioni. Scorrono le immagini del presunto rigore e appare nettissimo il salto che il trecciolone spicca senza neanche incocciare la gamba del difensore foggiano. Secondo Ramaccioni è rigore perché «Gullit stava per toccare la gamba del difensore avversario, ma salta prima perché è stato appena infortunato al ginocchio e ha paura di farsi di nuovo male. Comunque il rigore è da assegnare perché se Gullit non avesse saltato avrebbe comunque subito fallo». Attimi di silenzio in studio poi qualcuno rompe gli indugi complimentandosi per il ristabilimento della verità. Incredibile ma vero.
Il 1993 vede la nascita della prima tv a pagamento italiana, Tele+, sulla quale mette le mani Berlusconi, che vi partecipa con un’importante quota azionaria: la trattativa per la cessione dei diritti del campionato alla nuova emittente è gestita da Adriano Galliani che vi prende parte nella quadrupla veste di dirigente milanista, dirigente della Lega (sarà poi presidente), membro del cda di Tele+ e consigliere di Mediaset. Il Presidentissimo cerca di sfruttare al massimo i possibili vantaggi di questo nuovo mezzo televisivo e impone che una partita venga anticipata al sabato e un’altra posticipata alla domenica sera. È l’inizio del can can di anticipi e posticipi, e delle conseguenti polemiche, tutte in nome del dio denaro delle televisioni.
Nell’estate del 1994 si svolgono i Mondiali di calcio negli Stati Uniti. Per preparare l’evento le tv trasmettono servizi rievocativi, vecchie partite della Nazionale e interviste ai protagonisti. Fra queste si distingue Rete4, con una serie di puntate dedicate alle precedenti edizioni dei Campionati: in quella del 1962, lo speaker commenta le grandi giocate del brasiliano Garrincha: «Garrincha è imprendibile e sulla fascia sembra il Donadoni della finale di Atene (riferendosi alla finale di un mese prima, Milan-Barcellona, nda)». Non si tratta di un programma live ma di puntate registrate, dei piccoli dossier per ripercorrere la storia dei Mondiali. Emergono in modo ancor più chiaro i subdoli metodi Fininvest per infiltrare il Milan dappertutto.
A luglio, la finale dei Mondiali americani vede l’Italia battuta ai rigori dal Brasile: i tempi regolamentari si erano conclusi con un noiosissimo 0-0, che aveva retto anche nei supplementari. I rigori beffano l’Italia costretta a fare i conti con gli errori di Baresi, Massaro e Roberto Baggio. Per i media l’errore dello juventino (il tiro finisce sopra la traversa di Taffarel) viene presentato come quello decisivo, che condanna alla sconfitta. In pochi però ricordano che non sarebbe bastata la trasformazione di quel rigore perché, anche solo per pareggiare, l’Italia avrebbe dovuto sperare in un errore brasiliano nell’ultimo tiro dal dischetto. Infatti, gli azzurri erano sotto 3-2 “grazie” alle mancate trasformazioni dei milanisti Baresi e Massaro, ovviamente dimenticati dalle tv del Biscione.