Petrucci, Abete e Matarrese dicono delle gran belinate quando cercano di rassicurare che la nostra serie A sta meglio della Premier e che la torta dei soldi da dividersi sarà ancora più grande dal 2010 con la nuova vendita dei diritti Tv. Il fatto che i bilanci nel 2008 abbiano complessivamente registrato un passivo inferiore all'anno precedente, di cui sembrano menar vanto come per il nuovo calcio pulito, è una rassicurazione per finta visto che le società hanno finito per far ricorso ad ogni sorta di trucco contabile per imbellettarli; basti pensare che la sola pratica della finta vendita del marchio, avviata dall'Inter a fine 2005 e benedetta dal suo ex-consigliere, commissario Guido Rossi dopo la bocciatura della Covisoc, ha coinvolto successivamente quasi tutta la serie A, producendo in totale utili di carta (e altri debiti veri) per non meno di 500 milioni; aggiungiamoci che, sempre sull'esempio dell'Internazionale, tante società anche medio-piccole hanno proceduto a "rimodernare" la struttura societaria con scorpori e rivalutazioni, fusioni e incorporazioni, holding a monte della squadra e società controllate a valle, e si ottiene che il risultato di bilancio è ormai solo uno specchietto per le allodole che non inganna più nessuno.
Se, poi, parliamo di debiti, è difficile censirli perché, per la complessità della struttura societaria, possono stare nella società di calcio, ma stanno anche nella holding di controllo e pure nelle controllate inventate ad hoc; Abete e Matarrese si guardano bene dal fare conferenze stampa come in Inghilterra per dire quanti sono, ma non dovrebbero essere meno di 1,5 miliardi, visto che ad un miliardo ci arrivano Inter, Milan e Roma. Quanto ai diritti tv, i punti sui quali far chiarezza sono ancora tali e tanti (e qualcuno, come abbiamo documentato, potrebbe essere roba da denuncia) che forse è meglio ripetere l'invito alla prudenza brevettato da Trapattoni (non dire gatto se..). No, la serie A non sta meglio della Premiere e risentirà della crisi, l'intero carrozzone del nostro calcio è traballante assai, e i motivi sono tanti.
Ha provato a illustrarli la Repubblica, che in una preoccupata inchiesta ("Il pallone sgonfio", del 5 dicembre) ha previsto che nel 2010 gli incassi complessivi del calcio nazionale potranno essere inferiori a quelli attuali (1450 milioni rispetto a 1500), pur aumentando i ricavi da diritti tv, per effetto delle minori sponsorizzazioni e della riduzione degli altri ricavi (merchandising e stadio); sotto tale ipotesi l'inchiesta prevedeva una riduzione del monte-ingaggi (-20%), evidenziando che in serie B parecchie società erano già inadempienti rispetto alla regolarità dei pagamenti, mentre per la Lega Pro era lo stesso presidente Macalli a prevedere che "tanti club falliranno e non riusciranno ad iscriversi al prossimo campionato". La crisi dell'economia, quindi, già si sente, si sentirà ancora di più nei prossimi due-tre anni, obbligando a rivedere comportamenti singoli e modelli societari.
Scrivono tutti che il difetto maggiore del nostro modello di calcio professionistico è di dipendere troppo dai diritti televisivi (per Juve, Milan, Inter e Roma la media è del 65% rispetto al totale dei ricavi), ma la faccenda è più complicata e grave. Il vero guaio del nostro calcio è che ha sempre prodotto delle grandi perdite (superiori a quelle degli altri Paesi) e che dalla seconda metà degli anni '90 lo scenario di fondo è cambiato: in precedenza la campagna acquisti delle grandi squadre faceva da cassa di compensazione per l'intero sistema e ogni anno i loro proprietari si facevano carico di pareggiare i bilanci con risorse personali; dal 1996, dopo la "legge Bosman", con la più libera circolazione dei giocatori e l'assimilazione delle società di calcio a quelle per azioni con fini di lucro, il meccanismo è saltato, si acquista di più all'estero e a parametro zero e a fine anno la quadratura dei bilanci, che prima era assimilata al mecenatismo, è diventata roba da prestigiatori finanziari, con presidenti all'apparenza mecenati come quelli di prima, ma attenti ad ogni possibilità di lucrare. Così ognuno ha cercato e cerca di arrangiarsi (dalle finte plusvalenze in serie A alle fidejussioni, fino agli assegni post-datati nelle serie inferiori); la legge, a dire il vero, di questo si era preoccupata ed aveva previsto meccanismi di controllo che dovevano garantire bilanci sani e corretti, ma l'inganno dei prestigiatori finanziari di quella legge s'è fatto un baffo, determinando, causa la compiacenza degli organismi di controllo dalla Figc al Coni, un circolo vizioso che adesso dovrebbe mettere paura.
Perché adesso, come diceva l'inchiesta di Repubblica, si tratta di ridurre a livello di sistema il monte-ingaggi di un 20%, ma, contemporaneamente, bisogna riuscire a restare competitivi con le squadre di vertice, quelle che fanno immagine a livello internazionale. Un obiettivo difficile, anche perché se consideriamo le quattro più importanti, si vede subito che si presentano all'appuntamento con la crisi in ordine sparso, con situazioni societarie differenti, con qualche luce ma tante ombre, prima fra tutte la riduzione degli introiti da diritti tv nel caso la nuova legge entrasse in vigore. La Roma, per quanto può sembrare strano, sembra la più pronta a convivere con le difficoltà del momento, perché già da anni la sua amministrazione, controllata amorevolmente prima da Capitalia e adesso da Unicredit, s'è fatta prudente, con la vendita di giocatori importanti che non è andata a scapito della competitività nel campionato e una spesa da ingaggi più oculata; sembra strano ma per i giallorossi le ombre potrebbero arrivare proprio dalla situazione del tutor Unicredit, che in pessime acque è già di suo. Quanto al Milan, c'è stato il richiamo di Matarrese che, visti i tempi cupi, ha detto "Anche lo stesso Berlusconi non potrà esagerare col calcio: è una questione di moralità" (Repubblica del 5 dicembre); lasciando stare la moralità, la questione del Milan potrebbe essere diversa e riguardare i mugugni della presidentessa Marina Berlusconi perché i continui passivi del pallone appesantiscono il bilancio della suo fiore all'occhiello che è la Fininvest. Un più convincente invito alla prudenza, cioè, potrebbe arrivare dalla figlia del presidente Berlusconi, che ha più ascendente rispetto al Matarrese che fa il papà dei presidenti di A e B.
E' convinzione generale (in questi giorni l'ha sostenuto anche la società di consulenza Deloitte nel suo rapporto annuale Football Money League) che in questa fase di difficoltà risulterà meno esposto alla crisi generale il modello societario della Juve che, da sempre, ha i bilanci in regola con la normativa Figc e pochi debiti; questo ha consentito di arrivare, in anticipo sulle altre big nazionali, all'approvazione del progetto del nuovo stadio, con la prospettiva di aumentare i futuri ricavi e distribuirli meglio. Si diceva prima che ci sono luci e ombre: le ombre, nel caso della Juve, vanno riferite da un lato alle difficoltà che riguardano il gruppo Fiat (che, tra l'altro, è lo sponsor principale) e dall'altro alla gestione sportiva; nella gara della correttezza dei bilanci la società continua ad arrivare prima, e per distacco, ma per il campionato il discorso è diverso e i tifosi e gli opinionisti qualche motivata riserva continuano ad averla.
E per finire c'è l'Inter. L'Inter dalla rosa esagerata (compresi i due tecnici più pagati e pagati contemporaneamente), dalle perdite esagerate (327 milioni negli ultimi due anni) e dalle plusvalenze esagerate (i famosi illeciti tollerati del prof. Boeri, l'ultimo superiore ai 150 milioni con la rivalutazione dell'intera società); si può avanzare qualche previsione sull'Inter, la crisi e i problemi di bilancio? Ci vorrebbe il mago Otelma, perché negli ultimi due anni è successo che l'Internazionale Holding (varata nel 2006 dentro un tourbillon di modifiche societarie sul quale speriamo possa fare chiarezza l'Agenzia delle Entrate) ha prima rivalutato la sua partecipazione nell'Inter per più di cento milioni, per poi svalutarla di altrettanto nel 2008; come sta davvero l'Inter quanto a bilancio, quindi, non sanno dirlo neppure i suoi amministratori. Quanto ai dati del 2008, vanno comunque segnalate due perle: un apporto di capitali che viene definito prima "versamento infruttifero in conto capitale" e qualche pagina dopo "finanziamento infruttifero", col dubbio se Moratti i soldi li regala da mecenate o li presta per poi riaverli indietro; le stessa holding, inoltre, per consentire all'Inter di fare la campagna acquisti 2008-09, è dovuta ricorrere alle fidejussioni di due banche di cui una (la Banca Popolare di Garanzia di Padova) ha come presidente Ernesto Paolillo, che è anche l'amministratore delegato dell'Inter. Due ombre, insomma, e forse neppure tanto piccole.
Quando c'è una grande crisi, come quella attuale, si dice che ci sono dei rischi, ma anche delle opportunità; con riferimento al sistema calcio, l'opportunità sarebbe quella di avere delle nuove regole, dei bilanci in ordine e dei controlli rigorosi; proviamo a chiudere con questa speranza riferita non tanto alle idee che potranno avere i vari Petrucci, Abete e Matarrese, quanto a quelle che potrebbero arrivare dagli organismi internazionali, in particolare dall'Uefa.
Il calcio e la crisi: fallimenti annunciati e illeciti tollerati /2
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