La condanna di tre anni inflitta ad Antonio Giraudo dal GUP De Gregorio ha destato grande sorpresa nella nostra redazione, è inutile negarlo. Per quanto "abbreviata", una giustizia che condanna in tale deserto probatorio non può che generare riflessioni amare.
"Le sentenze non si commentano, si appellano" ha detto l'avvocato Krogh, difensore di Giraudo. Noi ci siamo permessi di commentare, e criticare duramente, la sentenza emessa. Perché le sentenze, in democrazia, si commentano. Perché giustizialismo (che è diverso da colpevolismo) è, prima di tutto, prescindere dagli atti e rifarsi solamente al verdetto, sbandierando con orgoglio l'ignoranza di tutto quello che sta dietro.
Altra cosa è rispettarle le sentenze, giuste o sbagliate che vengano reputate. Ma fatta salva questa facoltà.
Del resto, abbiamo criticato anche la strategia difensiva di Giraudo (e di Lanese e Pieri): perché affrontare un processo con le stesse deboli garanzie di quello sportivo? E' stata, ora è chiaro, l'extrema ratio del tentativo fallimentare di separare la posizione dell'amministratore delegato della Juve da quella del suo direttore sportivo, Luciano Moggi.
Così diceva Krogh nella sua requisitoria: "(...)In ogni caso Giraudo e Moggi avevano ognuno una propria autonomia d’azione e nei due processi si deve dare a Cesare quel che è di Cesare. Giraudo era un uomo del sistema Agnelli prestato per un po’ al calcio."
Tredici anni, più o meno.
Questo approccio si è rivelato perdente.
Giraudo si è messo a disposizione del Pm Narducci per essere interrogato, ma il magistrato napoletano ha deciso di non avvalersi nemmeno di tale facoltà, ha deciso di lasciare che a parlare fossero solo gli atti. Quegli atti che sin dall'inizio dello scandalo abbiamo definito frutto di una visione parziale e fuorviata, avanzando dubbi che hanno trovato, nel corso di questi tre anni, più di un riscontro.
Nonostante tutto questo, tra una sentenza incredibile e l'incredibile racconto giornalistico della vicenda Calciopoli, c'è lo stesso una certa distanza. Nonostante la rapidità, le scarse garanzie, la grossolanità del giudizio con rito abbreviato, ancora una volta alcuni "miti" giornalistici si sono rivelati per quello che sono: favole partorite da una fervida fantasia ma senza alcun fondamento. E almeno queste non le vogliamo sentire più. Mai più. Eccole di seguito.
LA COMBRICCOLA ROMANA NON ESISTE PIU'
Con l'assoluzione di Marco Gabriele nel processo con rito abbreviato, cade uno dei capisaldi mediatici della Calciopoli della prima ora: la famigerata combriccola romana, la terribile cellula deviata di arbitri al servizio della GEA, con sede nel "distretto" arbitrale di Roma Due. I nomi dei pericolosi truffatori? Luca Palanca, Marco Gabriele, Massimo De Santis. Bene, Palanca è uscito subito dall'inchiesta, ancora nella fase investigativa. Oggi anche Marco Gabriele può vantare una piena assoluzione, che lo scagiona in pieno dalle accuse mossegli.
Considerato che Massimo De Santis non può ovviamente rappresentare da solo un'intera combriccola, non è più possibile sostenere quindi che esercitasse la sua nefasta influenza sugli arbitri più giovani che si appoggiavano a lui per fare carriera. Nessuna centrale del crimine arbitrale, nessuna Banda Bassotti della frode sportiva.
Le sensazioni di Dal Cin sulla "combriccola romana", che nel 2004 fecero scattare l'inchiesta Off Side, capitanata dai Pm Narducci e Beatrice, si sono rivelate dunque infondate. Non solo erano affermazioni senza riscontro e senza base fattuale, come ha notato Dal Cin nella sua testimonianza al processo, ma - oggi lo afferma un tribunale - erano affermazioni sbagliate. Così, teniamo a ricordare, è nata Calciopoli.
LE SCHEDE SVIZZERE NON RAPPRESENTANO LA PISTOLA FUMANTE
Gli arbitri Gabriele e Cassarà, infatti, che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, erano in possesso di una sim svizzera tra quelle presuntamente distribuite da Luciano Moggi, sono stati assolti.
Sono stati invece condannati Antonio Giraudo e l'arbitro Paolo Dondarini, a cui non è attribuita alcuna tra le utenze considerate sospette. Il caso di Tiziano Pieri si colloca invece a metà, essendo l'unico tra i condannati a rientrare nella ricostruzione delle "schede svizzere", immaginata dalla Procura di Napoli. Non possiamo escludere, in attesa delle motivazioni, che il possesso di una sim elvetica, come suggerito dalle informative, abbia concorso alla condanna di Pieri. Con ragionevole sicurezza però, possiamo oggi escludere che le sim abbiano una rilevanza tale da essere bastanti per una condanna, date le assoluzioni sopraccitate.
Il processo con rito abbreviato, come più volte ricordato, tiene conto soltanto degli atti prodotti, senza dibattimento. Ebbene: il giudizio sui soli atti non ha affatto indicato le cosiddette schede svizzere come "pistola fumante", prova inconfutabile dell'esistenza di un sistema. Le testimonianze zoppicanti e imprecise che, sino ad ora, hanno offerto gli inquirenti chiamati a deporre nel processo principale, e le ottime controdeduzioni espresse dagli avvocati difensori ci portano a pensare che, a maggior ragione, le schede svizzere non rappresenteranno un elemento di accusa così importante, come sottolineato dalla stampa in questi tre anni, nemmeno nel processo a carico di Moggi.
CONCORRENZA SCORRETTA? NON SI PUO' DIRE
L'assoluzione del guardalinee Duccio Baglioni e di Antonio Giraudo, in merito a una presunta frode sportiva realizzatasi nell'incontro Siena-Milan, con annullamento fraudolento di una rete all'attaccante del Milan Shevchenko, restringe il numero di partite addebitate come aggiustate dalla Cupola, ma soprattutto segna un preciso limite. La dirigenza della Juventus non si interessava di condizionare le partite del suo diretto avversario; per chi ha memoria corta l'unico diretto avversario per la vittoria dello scudetto. Rifacendoci alle intercettazioni, Moggi e Giraudo protestavano per quelli che venivano ritenuti errori a favore del Milan, così come Meani protestava per quelli che riteneva errori a favore dei bianconeri, ma nessuno, stando agli atti, ha cercato di condizionare le partite altrui. Non si può più dire. Questa era l'unica partita a sostegno della tesi, e gli imputati sono stati assolti.
Le parole in libertà sul potere di Moggi, che Meani al telefono scambiava con i "suoi" guardalinee, allora? Paranoia, ecco cosa. Come, del resto, più di una testimonianza (Copelli e Babini) ha già messo in evidenza. Un ulteriore elemento che potrebbe risultare in maniera simile nel processo principale, nel riconoscimento di un sistema in cui i dirigenti delle varie squadre si impegnavano in forme più o meno aggressive di lobbyismo: ma una Cupola non esisteva affatto.
Giraudo risulta inoltre scagionato dalle accuse rivoltagli per Lecce-Juventus 0-1, arbitrata da De Santis. Una barzelletta da cui non ci saremmo aspettati esito diverso. Anche se, dopo aver letto della condanna per Brescia-Udinese, ci si poteva aspettare di tutto.
Marco Gabriele risulta scagionato riguardo alle accuse rivoltegli per Roma-Juventus 1-2, dove era presente come quarto uomo. Un altro caposaldo di Calciopoli che pian piano va sgretolandosi. Non tutto è perduto.
Sentenza di Giraudo: cosa c'è di positivo
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