Oggi compie 44 anni ed è ancora protagonista tra i professionisti con l’entusiasmo degli esordi.
Massimo Carrera, difensore centrale, è nato a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, il 22 aprile 1964.
Ha disputato 24 stagioni da professionista, di cui la metà in serie A, per un totale di 624 presenze nei soli incontri di campionato. Aggiungendo gli incontri di coppa Italia e delle coppe europee, si arriva quasi alle 900 partite.
La sua carriera è stata lunghissima e ricca di soddisfazioni. Dopo due stagioni in D (siamo all’inizio degli anni Ottanta) con la Pro Sesto, la squadra del paese della provincia di Milano in cui è nato, gioca in C2 ad Alessandria con i vari Camolese, Sgarbossa e Gregucci, poi esordisce in B con il Pescara. Nel 1986 si sposta al Bari, sempre in cadetteria, con cui disputa cinque stagioni, le ultime due in A. Si mette in mostra, tanto che nel 1991-92 viene acquistato dalla Juventus. La squadra bianconera ripresenta Trapattoni in panchina, dopo il disastroso campionato del duo Montezemolo-Maifredi.
«Ad un certo punto ho pensato che avrei concluso la carriera con la squadra barese. Sentivo parlare di possibili cessioni a grandi club, però alla fine non se ne faceva nulla. Credo che la Juventus abbia rappresentato davvero l’ultima chance, ma anche la migliore possibilità».
Carrera è schierato come terzino destro, ruolo che ricopriva anche al Bari ed offre sempre buone prestazioni, culminate anche con una convocazione nella Nazionale di Sacchi.
«Forse ho dato il meglio di me come libero, nel ruolo che continuo a preferire. Però, Trapattoni, mi ha quasi sempre impiegato in marcatura e mi sembra di essermela cavata. Non ho problemi neppure come terzino di fascia, posizione che tra l’altro mi consente di realizzare qualche goal. E, se c’è bisogno, non mi trovo male neanche a centrocampo».
Parole pronunciate senza presunzione, anche perché si tratta di rilievi quasi cronistici. La versatilità di Carrera è infatti fuori discussione e non si limita alle incombenze tattiche: perché questo difensore-camaleonte passa con facilità pure da uno schema di gioco all’altro. Efficacissimo nel modulo tradizionale del “Trap”, a proprio agio nella “zona”. Questione di gavetta.
«Il gioco a zona lo conosco bene perché l’ho praticato per alcuni anni agli ordini di Catuzzi nel Pescara. Ritengo fondamentali quelle stagioni per la mia crescita professionale e umana, e pensare che gli inizi furono piuttosto difficili: restavo spesso in panchina e temevo di perdere la fiducia in me stesso. Invece l’allenatore mi ripeteva di non scoraggiarmi, così ho tenuto duro e sono diventato titolare».
Con l’arrivo di Lippi, Massimo viene schierato da libero anche se, inizialmente è la riserva di Fusi, il quale, però, denuncia molte incertezze e Lippi butta nella mischia il già esperto difensore lombardo. Carrera entra stabilmente in squadra e comanda la difesa da vero leader, contribuendo all’esaltante stagione culminata nell’accoppiata Campionato-Coppa Italia, tanto da essere definito da Lippi un vero fuoriclasse.
Nelle stagioni successive, arrivano Vierchowod e Montero e Carrera parte quasi sempre dalla panchina ma, tutte le volte che è chiamato in causa, offre ottime prestazioni.
Nell’estate del 1996, viene ceduto all’Atalanta, dopo aver totalizzato 166 presenze con un goals ed un palmares di tutto rispetto: 1 scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Champions League, 1 Coppa Uefa ed 1 Supercoppa Italiana. «Insomma, mi sono tolto la voglia».
A 32 anni suonati, ad un’età in cui molti colleghi pensano alla pensione, Carrera passa all’Atalanta: e sono altre sette stagioni (cinque in massima serie) ricche di soddisfazioni. Arriviamo nel 2003. Massimo ha 39 anni, ma non ancora la pancia piena di calcio: ecco allora due tornei in B, prima con il Napoli e poi con il Treviso, a cui fa seguito il trasferimento a Vercelli. «A quest’età verrà a fare panchina o tribuna», pensano i tifosi. Invece no: il difensore lombardo non molla il ruolo da protagonista, e scende in campo con impressionante regolarità. Manco avesse vent’anni.
Intervistato in questo periodo da alcuni giornali, ribadisce ai cronisti concetti e valutazioni che non si sentono più nel calcio moderno.
«Non lo faccio per stabilire un record, ma soltanto perché sono innamorato del pallone e continuo a divertirmi. E poi mi piace imparare sempre qualcosa di nuovo dagli allenatori: più dal punto di vista umano che da quello tecnico, anche perché dopo 24 stagioni qualche cosina l’ho imparata pure io…», spiega il Re del recupero in scivolata.
Forse nel lontano passato c’è stato qualche oscuro giocatore che per sfizio è sceso in campo ad un’età ancora più avanzata, ma nessuno, nella storia del calcio italiano, ha mai fatto come lui. Un discorso a parte vale per i portieri: si veda l’esempio del coetaneo Ballotta, ancora titolare in serie A nella Lazio. Ma anche Massimo si difende bene: nella stagione in corso ha già messo insieme ben più di 20 presenze con la maglia della Pro Vercelli, girone A della serie C2.
«In allenamento cerco di stare davanti al gruppo per dare l’esempio e per far capire ai compagni l’atteggiamento di un professionista serio, anche se un po’ datato. Rispetto ai tempi della serie A, per fortuna non ho perso molto: la tecnica, la grinta e l’elevazione sono quelle di un tempo. Certo, uno di vent’anni mi va via in velocità, e sui mille metri i compagni corrono a 3’ e 30” mentre io sto sopra ai 4 minuti. Però con un po’ di palestra e con l’esperienza riesco a sopperire a certe piccole defaillance. Gli avversari con me non hanno comunque vita facile, e non dimostrano né rispetto, né pietà: se c’è da tirare una scarpata, fanno esattamente quello che faccio io. Cioè la mollano senza problemi».
E quando gli si chiede, a quale delle squadre in cui ha giocato è rimasto più affezionato, Massimo non ha dubbi.
«Alla Juve, sicuramente. Per me, tifoso juventino, era il sogno della vita indossare quella maglia. Non solo l’ho fatto per 5 anni, ma ho pure vinto lo scudetto, la Coppa Campioni, la Coppa Uefa, la Coppa Italia e la Supercoppa. Insomma, quel periodo è davvero difficile da dimenticare».
C'è un calciatore del passato che hai cercato di imitare?
«Si, era Scirea. Mi piaceva come uomo e come calciatore. E poi giocava nella Juve…»
Quale è stata la soddisfazione più grande che ti sei tolto in questi anni?
Massimo Carrera, difensore centrale, è nato a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, il 22 aprile 1964.
Ha disputato 24 stagioni da professionista, di cui la metà in serie A, per un totale di 624 presenze nei soli incontri di campionato. Aggiungendo gli incontri di coppa Italia e delle coppe europee, si arriva quasi alle 900 partite.
La sua carriera è stata lunghissima e ricca di soddisfazioni. Dopo due stagioni in D (siamo all’inizio degli anni Ottanta) con la Pro Sesto, la squadra del paese della provincia di Milano in cui è nato, gioca in C2 ad Alessandria con i vari Camolese, Sgarbossa e Gregucci, poi esordisce in B con il Pescara. Nel 1986 si sposta al Bari, sempre in cadetteria, con cui disputa cinque stagioni, le ultime due in A. Si mette in mostra, tanto che nel 1991-92 viene acquistato dalla Juventus. La squadra bianconera ripresenta Trapattoni in panchina, dopo il disastroso campionato del duo Montezemolo-Maifredi.
«Ad un certo punto ho pensato che avrei concluso la carriera con la squadra barese. Sentivo parlare di possibili cessioni a grandi club, però alla fine non se ne faceva nulla. Credo che la Juventus abbia rappresentato davvero l’ultima chance, ma anche la migliore possibilità».
Carrera è schierato come terzino destro, ruolo che ricopriva anche al Bari ed offre sempre buone prestazioni, culminate anche con una convocazione nella Nazionale di Sacchi.
«Forse ho dato il meglio di me come libero, nel ruolo che continuo a preferire. Però, Trapattoni, mi ha quasi sempre impiegato in marcatura e mi sembra di essermela cavata. Non ho problemi neppure come terzino di fascia, posizione che tra l’altro mi consente di realizzare qualche goal. E, se c’è bisogno, non mi trovo male neanche a centrocampo».
Parole pronunciate senza presunzione, anche perché si tratta di rilievi quasi cronistici. La versatilità di Carrera è infatti fuori discussione e non si limita alle incombenze tattiche: perché questo difensore-camaleonte passa con facilità pure da uno schema di gioco all’altro. Efficacissimo nel modulo tradizionale del “Trap”, a proprio agio nella “zona”. Questione di gavetta.
«Il gioco a zona lo conosco bene perché l’ho praticato per alcuni anni agli ordini di Catuzzi nel Pescara. Ritengo fondamentali quelle stagioni per la mia crescita professionale e umana, e pensare che gli inizi furono piuttosto difficili: restavo spesso in panchina e temevo di perdere la fiducia in me stesso. Invece l’allenatore mi ripeteva di non scoraggiarmi, così ho tenuto duro e sono diventato titolare».
Con l’arrivo di Lippi, Massimo viene schierato da libero anche se, inizialmente è la riserva di Fusi, il quale, però, denuncia molte incertezze e Lippi butta nella mischia il già esperto difensore lombardo. Carrera entra stabilmente in squadra e comanda la difesa da vero leader, contribuendo all’esaltante stagione culminata nell’accoppiata Campionato-Coppa Italia, tanto da essere definito da Lippi un vero fuoriclasse.
Nelle stagioni successive, arrivano Vierchowod e Montero e Carrera parte quasi sempre dalla panchina ma, tutte le volte che è chiamato in causa, offre ottime prestazioni.
Nell’estate del 1996, viene ceduto all’Atalanta, dopo aver totalizzato 166 presenze con un goals ed un palmares di tutto rispetto: 1 scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Champions League, 1 Coppa Uefa ed 1 Supercoppa Italiana. «Insomma, mi sono tolto la voglia».
A 32 anni suonati, ad un’età in cui molti colleghi pensano alla pensione, Carrera passa all’Atalanta: e sono altre sette stagioni (cinque in massima serie) ricche di soddisfazioni. Arriviamo nel 2003. Massimo ha 39 anni, ma non ancora la pancia piena di calcio: ecco allora due tornei in B, prima con il Napoli e poi con il Treviso, a cui fa seguito il trasferimento a Vercelli. «A quest’età verrà a fare panchina o tribuna», pensano i tifosi. Invece no: il difensore lombardo non molla il ruolo da protagonista, e scende in campo con impressionante regolarità. Manco avesse vent’anni.
Intervistato in questo periodo da alcuni giornali, ribadisce ai cronisti concetti e valutazioni che non si sentono più nel calcio moderno.
«Non lo faccio per stabilire un record, ma soltanto perché sono innamorato del pallone e continuo a divertirmi. E poi mi piace imparare sempre qualcosa di nuovo dagli allenatori: più dal punto di vista umano che da quello tecnico, anche perché dopo 24 stagioni qualche cosina l’ho imparata pure io…», spiega il Re del recupero in scivolata.
Forse nel lontano passato c’è stato qualche oscuro giocatore che per sfizio è sceso in campo ad un’età ancora più avanzata, ma nessuno, nella storia del calcio italiano, ha mai fatto come lui. Un discorso a parte vale per i portieri: si veda l’esempio del coetaneo Ballotta, ancora titolare in serie A nella Lazio. Ma anche Massimo si difende bene: nella stagione in corso ha già messo insieme ben più di 20 presenze con la maglia della Pro Vercelli, girone A della serie C2.
«In allenamento cerco di stare davanti al gruppo per dare l’esempio e per far capire ai compagni l’atteggiamento di un professionista serio, anche se un po’ datato. Rispetto ai tempi della serie A, per fortuna non ho perso molto: la tecnica, la grinta e l’elevazione sono quelle di un tempo. Certo, uno di vent’anni mi va via in velocità, e sui mille metri i compagni corrono a 3’ e 30” mentre io sto sopra ai 4 minuti. Però con un po’ di palestra e con l’esperienza riesco a sopperire a certe piccole defaillance. Gli avversari con me non hanno comunque vita facile, e non dimostrano né rispetto, né pietà: se c’è da tirare una scarpata, fanno esattamente quello che faccio io. Cioè la mollano senza problemi».
E quando gli si chiede, a quale delle squadre in cui ha giocato è rimasto più affezionato, Massimo non ha dubbi.
«Alla Juve, sicuramente. Per me, tifoso juventino, era il sogno della vita indossare quella maglia. Non solo l’ho fatto per 5 anni, ma ho pure vinto lo scudetto, la Coppa Campioni, la Coppa Uefa, la Coppa Italia e la Supercoppa. Insomma, quel periodo è davvero difficile da dimenticare».
C'è un calciatore del passato che hai cercato di imitare?
«Si, era Scirea. Mi piaceva come uomo e come calciatore. E poi giocava nella Juve…»
Quale è stata la soddisfazione più grande che ti sei tolto in questi anni?
«Potrei dire la vittoria della coppa dei Campioni, oppure l’unica partita disputata in Nazionale. Invece no, sarebbe troppo facile: la cosa che mi ha reso in assoluto più felice è stata quella di aver fatto ciò che volevo, ossia il calciatore. Ho iniziato a cinque anni all’oratorio, e non ho ancora smesso».
Però prima o poi una decisione del genere dovrai pur prenderla…
Però prima o poi una decisione del genere dovrai pur prenderla…
«In linea di massima questa dovrebbe essere la mia ultima stagione, anche se è così tanto tempo che lo dico, che non ci credo più neppure io. Vorrei fare l’allenatore, sperando di aver altrettanta fortuna che da calciatore: a meno che la Pro non salga in C1, e la società mi chieda di continuare».
Carrera lo ricordiamo presente, in prima fila, alla marcia "civile" dei tifosi juventini del 1 luglio 2006, per amore della Juventus.
Massimo Carrera, un grande uomo e uno juventino vero.