Il momento più importante nella storia della carriera di Paolo Rossi avvenne un giorno di maggio, durante il campionato 1981-82.
Si stava giocando Udinese Juventus, quando, al minuto 48, Rossi andava ad incornare il pallone che s’infilò nella porta alle spalle del portiere friulano Borin.
Era il ritorno alla vita per questo velocissimo ed agile centravanti, dopo la squalifica per l’incredibile vicenda del calcio scommesse, alla fine del campionato 1980.
Il ragazzo, amato da tutta l’Italia calcistica, rientrò nel suo mondo, quello del pallone, nel modo che conosceva meglio: realizzando un goal.
Quel mondo che riscopriva un campione e soprattutto un uomo che, durante quei due anni di castigo, dovette costruirsi una realtà nuova, fatta di rinunce e sacrifici, attendendo con ansia il ritorno in campo, con la maglia che lo aveva visto crescere: quella bianconera.
La storia di questo giocatore è straordinaria, come il suo intuito e la sua genialità calcistica, solcata, appunto, da amarezze e immensa gloria.
Esploderà nel Vicenza, mentre era in comproprietà con la Juve, che lo perse definitivamente grazie ad una busta dove Farina, presidente vicentino, aveva infilato tanti e tanti soldi. Quella busta, purtroppo, causò per Rossi gli immensi problemi che lo avrebbero condotto alla squalifica. Molto probabilmente, se fosse ritornato alla corte di Madama non sarebbe diventato l’attore negativo del calcio scommesse, che lo vide protagonista, addirittura, con la maglia del Perugia.
Ecco che Rossi approderà di nuovo alla Juve nel 1981, da squalificato, e il suo ritorno sarà talmente clamoroso da cancellare in un sol colpo i dubbi, le incertezze e le perplessità di tecnici e tifosi.
La vera esplosione di Rossi avvenne nei giorni del Mondiale d’Argentina 1978, dove, grazie alle sue prestazioni e alle sue reti fulminee, si meritò il soprannome di “Pablito”. Fu merito anche suo se per quella Nazionale si aprirono spiragli di grandezza, che andarono a cancellare le molte preoccupazioni, prima della partenza per il ritiro di Vigo.
Bearzot, aveva grande memoria e non poteva lasciarlo a casa nel 1982, in vista del Mondiale in Spagna: sapeva bene quanto sarebbe stato importante averlo in squadra.
C’era una sola possibilità per collaudarlo, durante un’amichevole premondiale con la Svizzera. La figura fu modesta come la sua forma ed il suo tono muscolare, arrugginiti dal lungo stop.
Poi ebbero inizio le vere partite, e la storia di quel Mondiale la conosciamo tutti, e resterà indelebile nelle nostri menti. Pablito realizzerà tre reti al Brasile, due alla Polonia e quella apripista nella finale contro i bianchi di Germania.
Alla fine di quel campionato mondiale sarà considerato il miglior giocatore del torneo e alla fine del 1982 riceverà il Pallone d’Oro, registrando il suo nome tra i grandi di tutti i tempi.
Intanto avrà tempo, con la sua amata maglia della Juve, di vincere uno Scudetto, una Coppe delle Coppe, una Coppa Campioni ed una Coppa Italia durante le tre stagioni da bianconero, segnando reti a grappoli, che accesero la fantasia dei tifosi.
Caro Pablito, ho avuto la fortuna d’incontrarti alcuni giorni fa, durante una cena di beneficenza e ti confermai che il goal più bello che segnasti nella Juve, per me, fu quello allo Standard Liegi in Coppa Campioni.
Quella sera, con una finta mandasti il tuo avversario a cozzare nei cartelloni pubblicitari, prima d’insaccare tra palo e portiere, mentre sembrava venisse giù il Comunale per il gran boato che seguì al tuo incredibile gesto tecnico.
“ E’ vero, come fai a ricordare?”, mi chiedesti.
“ Caro Paolo, facevo la bellezza di novecento chilometri per vederti giocare. Come potrei dimenticare?”, ti risposi.
Facesti una gran risata, con i tuoi occhi ancora giovani e brillanti, che mi ricordò quella identica che accompagnò il tuo sguardo verso il cartellone luminoso del Bernabeu, durante la magica serata di Madrid, che ti eleggeva “Miglior giocatore del Mundial 1982”.
Riccardo Gambelli - Tratto dal libro "I nostri campioni" edito dalla Bradipolibri.
Pablito
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