“Lei sarà l’ala della Nazionale”, così si racconta abbia detto a Franco Causio Armando Segato, allenatore della Reggina, che sarebbe prematuramente scomparso quattro anni dopo, primo ex calciatore professionista vittima della SLA. Era la stagione 1968-69 e Causio alla Reggina era stato mandato in prestito dalla Juve, perché facesse esperienza. Ebbe ragione, Causio divenne l’ala della Nazionale e molto di più. Divenne anzitutto ‘il Barone’ e ‘Brazil’, i suoi nomi di battaglia: sembra amasse più il primo (datogli da Fulvio Cinti de ‘La Stampa’), che ne sottolineava l’eleganza nel vestire (giacca e cravatta) e nelle movenze in campo; Brazil, come lo nomò Vladimiro Caminiti di Tuttosport, era un omaggio doveroso al suo palleggio sopraffino, alla sua bravura nel controllo della palla e nel dribbling a rientrare, ma forse metteva in gioco una sfumatura di scarsa concretezza da giocoliere, in un’epoca in cui, tanto per dirne una, il competitor cui tolse il posto in Nazionale (e la ‘staffetta’ si materializzò il 29 aprile 1972, tra il primo e il secondo tempo di Italia-Belgio 0-0) era quell’Angelo Domenghini, generoso maratoneta che correva correva e tirava, ma il cui palleggio mancava di quello stile innato che il figlio del Sud Franco Causio aveva nel suo Dna.
Sì, perché Causio è un figlio del Sud, nato a Lecce il 1° febbraio 1949 e cresciuto nelle giovanili della sua città: lì debutta in serie C nel 1964-65, poi comincia a girovagare: Sambenedettese, Juve di Heriberto Herrera, su scelta di Moggi, osservatore per la Juve di Allodi (dopo che il Toro lo ha già scartato): qui fa il suo esordio in serie A, ma il suo carattere orgoglioso e un po’ permaloso, e il suo individualismo, che la gioventù ancora non gli consente di integrare al meglio nella manovra collettiva, lo pongono in conflitto col sergente di ferro HH2, e col suo gioco tutto basato proprio sul collettivo; quindi Reggina e Palermo. Poi il ritorno alla Juve, la Juve di Armando Picchi, che non gli regalerà molto spazio, ma che ha il merito di evitargli un’altra stagione in prestito (avrebbe dovuto essere la Lazio), facendolo giocare il 25 ottobre per dieci minuti contro il Milan, cosicché in base alle regole di allora non sarà più possibile cederlo nel mercato di novembre. Perché c’è da dire che Boniperti si diceva gli preferisse Titti Savoldi, caratterialmente meno esuberante e tatticamente diligente, ma senza l’estro e i piedi del Barone; e pur tuttavia anch’egli innamorato del pallone, tanto che Allodi diceva:”Quando li inseriamo tutti e due in squadra, ci vorrebbero tre palloni: uno per Franco, uno per Titti e uno per la Juve”. Scomparso il povero Picchi, arriva Vycpalek, che crede molto in lui e, col contributo determinante dell’intelligenza del ragazzo, ne accelera la maturazione, persuadendolo ad eliminare qualche virtuosismo circense fine a se stesso e a trasformarsi da interno di rifinitura ad ala di raccordo, ala tornante, si diceva.
E Franco Causio brilla sui campi di calcio: professionista serio negli allenamenti, la fantasia al potere in campo: rimangono impressi negli occhi di chi l’ha potuto ammirare i suoi agganci volanti, i suoi pallonetti beffardi, le sue invenzioni da goal, i suoi disarmanti surplace, i suoi assolo, i suoi guizzi in grado di avviare azioni mai banali, i suoi dribbling risolutori, i suoi cross di esterno destro pennellati (spesso destinati alla testa di Bobbygoal), l’irrisoria facilità con cui saltava gli avversari, le sue sgroppate sulla fascia e i suoi affondi.
E certe sue prestazioni, impreziosite da certi suoi goal,, rimangono indimenticabili; una per tutte: 23 aprile 1972, Juventus-Inter 3-0, tripletta di Causio che darà il la allo scudetto bianconero, il primo per il Barone. E arriveranno altri sei scudetti, una coppa Uefa e una coppa Italia.
Poi la Nazionale, con 63 presenze, tre partecipazioni al Mondiale: nel 1974 gioca poco, è protagonista invece nel Mondiale argentino del 1978, in cui, nella finalina col Brasile, realizza uno dei suoi sei goal in azzurro. Dal 1981 Causio non veste più la maglia bianconera: viene ceduto all’Udinese, dove rimane tre anni, per poi vivere un’anonima stagione all’Inter, poi un anno al Lecce, cui non riuscirà ad evitare la retrocessione, per terminare la carriera alla Triestina nel 1988.
Di questi anni senza Juve la sola cosa importante è la partecipazione ai Mondiali del 1982: Bearzot lo porta in Spagna, ma Causio, ormai trentatreenne, non è più titolare, su quella fascia c’è il più giovane Bruno Conti; due le presenze per il Barone, il secondo tempo contro il Perù, e gli ultimi due minuti della vittoriosa finale, un regalo del ct, segno della sua grande stima.
E insieme a Bearzot Causio vince la loro ultima partita insieme, non una partita di calcio stavolta, ma di scopone, sull’aereo che riporta a casa i campioni del mondo: da una parte Bearzot-Causio, dall’altra Pertini- Zoff. E il Barone cala il 7 (guarda caso, il suo numero…), pur avendone uno solo; la furbata disorienta Pertini, che lascia passare, e Bearzot si fa il settebello; così i due soci vincono la partita. Ancora una volta il nostro ha uccellato il suo avversario, che non è un terzino, ma il Presidente della Repubblica!
Ritratti: Franco Causio
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