Gianni Dragoni è nato a Fusignano (Ravenna) il 26 ottobre 1957. Si è laureato in giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma. È inviato de «Il Sole 24 Ore», dove lavora dal 1985. Ha cominciato l’attività giornalistica all’agenzia Ansa, nel 1982, all’archivio elettronico, poi come cronista parlamentare. Giornalista specializzato in economia, in particolare su temi legati all’industria pubblica, alle privatizzazioni, ai bilanci delle società di calcio; su «Il Sole 24 Ore» cura tra l’altro la rubrica «Pay watch», che analizza le retribuzioni dei manager delle società quotate. Insieme a Giorgio Meletti, è autore del libro "La paga dei padroni" (Chiarelettere, 2008)
- Partiamo dall'attualità: la polemica Platini-Inter. Paolillo dice che l'Inter non ha debiti. E' la verità?
L’Inter di debiti ne ha, eccome. Secondo il bilancio dell’esercizio terminato il 30 giugno 2009, in sostanza l’ultima stagione sportiva, alla data del 30 giugno scorso l’Inter aveva 431,55 milioni di debiti complessivi, aumentati rispetto ai 395 milioni del 30 giugno 2008, considerando l’esposizione complessiva, verso banche, fornitori, altre squadre per la campagna acquisti e verso società controllate. Si può parlare di debiti lordi, perché in bilancio ci sono anche dei crediti. Ma questi sono appena 66,34 milioni, quindi anche immaginando per semplificazione una compensazione tra debiti e crediti, senza entrare in dettagli tecnici, la montagna dei debiti si ridurrebbe di ben poco. Tra i debiti al 30 giugno ci sono circa 100 milioni che l’Inter deve ad altre squadre per l’acquisto di calciatori, poiché di solito il pagamento è spalmato in almeno tre anni. E ci sono 48,1 milioni di debiti verso banche, per cui non è esatta l’affermazione dei vertici dell’Inter quando dicono, come hanno fatto replicando a Michel Platini, “non abbiamo debiti verso banche”.
- E quando Platini si domanda chi sarebbe così stupido da voler comprare un club con la situazione economica dell'Inter, ha ragione?
L’Inter ha una gestione in perdita strutturale da almeno una decina d’anni, con uno squilibrio molto forte tra costi e ricavi. Ogni anno, anzi più volte durante l’anno, Massimo Moratti deve intervenire con iniezioni di capitale per valori elevati, anche 50-100 milioni all’anno, per ricostituire il patrimonio eroso dalle perdite e dotare la società della liquidità necessaria a pagare stipendi, debiti in scadenza e rispettare i parametri per l’iscrizione al campionato, o alle coppe. Sono interventi a fondo perduto, nel senso che non c’è un ritorno economico. C’è la soddisfazione dell’azionista di ottenere delle vittorie, quando queste ci sono. Una soddisfazione pagata a caro prezzo. Credo che Platini si riferisca a questo. Infatti alcuni azionisti dell’Inter, mi riferisco alla Pirelli e alla famiglia Giulini, hanno smesso di seguire Moratti in questi aumenti di capitale e la loro quota si è quasi azzerata.
- Le normative sulle società calcistiche (Figc ed Uefa) pongono vincoli ben precisi in tema di indebitamento e patrimonio netto, il tutto a garanzia di una sana e corretta gestione, anche alla luce del fatto che le società non detengono più materialmente i cartellini dei giocatori, ma possono iscrivere a bilancio e ammortizzare solo i "diritti pluriennali alle loro prestazioni sportive". Come la vedi: dovrebbe esserci più libertà o ancora più regole?
In sostanza le normative introdotte da alcuni anni dicono che, oltre a rispettare certi parametri o coefficienti patrimoniali, le squadre devono essere in regola con il pagamento degli stipendi, delle tasse e contributi, dei debiti da calciomercato verso altri club. In un sistema in cui è diffuso il caos contabile, queste regole pongono alcuni punti fermi, ma sono insufficienti. Ad esempio credo non basti dire che alla data X non ci deve essere debito scaduto verso i tesserati, se poi successivamente a quella data, una volta ottenuta l’iscrizione al campionato o alla coppa, una società riprende a pagare in ritardo gli stipendi ecc., salvo rimettersi in regola alla successiva “rilevazione” per gli adempimenti con la Figc o con la licenza Uefa. Questo non accade all’Inter, che malgrado lo squilibrio, proprio grazie agli interventi di Moratti, paga puntualmente stipendi e debiti, ma avviene ad esempio alla Roma, dove gli stipendi dei tesserati sono pagati con almeno due mesi di ritardo. In generale, sarebbe opportuna una maggiore trasparenza sui bilanci. Eccetto le tre società di calcio quotate (Juventus, Roma, Lazio), che presentano rendiconti trimestrali, quasi tutte le altre (con qualche eccezione) rendono pubblici solo il bilancio annuale, e con forte ritardo rispetto alla scadenza dell’esercizio, a distanza di sei-sette-otto mesi, quando ormai i fatti contabili sembrano lontani. Dovrebbe essere la stessa Figc a pretendere che i bilanci siano realmente disponibili entro tre mesi (come fanno le tre quotate), quattro al massimo, dalla conclusione dell’esercizio. La Figc dovrebbe rendere pubblici sia i bilanci sia i riscontri della Covisoc, la commissione di controllo sui conti dei club, ma non mi sembra avere alcuna intenzione di farlo. Una buona riforma dovrebbe imporre ai club di non spendere più di quanto incassano, in modo da evitare forme di concorrenza sleale tra Paperoni dotati di patrimoni senza fondo e imprenditori o associazioni di tifosi che cerchino una gestione più sana. Sarebbe questo un modo di rispettare di più i valori sportivi, la crescita dei giovani, l’attenzione ai vivai.
- Nell'estate 2006 il prof. Guido Rossi, commissario Figc, aveva sostanzialmente approvato l'operazione di sale and lease back del marchio tra l'Inter e la propria controllata Inter Brand, in precedenza bocciata dalla Covisoc. Secondo te, questo tipo di operazione (che ha consentito all'Inter di realizzare un'apparente plusvalenza di quasi 160 milioni e di trasferire alla propria controllata debiti finanziari per 120 milioni) è legittima e rispetta i principi della sana e corretta gestione cui è ispirata la normativa sui controlli?
Tutte le operazioni di cessione del marchio fatte da Inter, Milan, Roma e Lazio, per citare i casi più rilevanti, sono forme di cosmesi contabile. Cioè sono servite ad abbellire i conti e a far apparire il patrimonio della società più elevato di quello reale. Le plusvalenze generate dallo scorporo del marchio, e dal conferimento o vendita a una società controllata, non esistono. E’ come se una famiglia, bisognosa di denaro, vendesse la casa a una società di cui la stessa famiglia è proprietaria e continuasse ad abitarci pagando l’affitto alla sua società. Tutti comprendono che questa è una finzione e che quella famiglia non risolverebbe i suoi problemi. Invece nel calcio è stato consentito di fare pericolose acrobazie contabili. Alcuni anni fa la Covisoc aveva stabilito che le plusvalenze da scorporo del marchio andavano neutralizzate ai fini dei requisiti patrimoniali per l’iscrizione al campionato. Ma non mi risulta che Lazio e Roma abbiano fatto una ricapitalizzazione: entrambe le squadre continuano a dichiarare nel patrimonio netto civilistico la plusvalenza da cessione del marchio (cessione fatta a società controllate, non a terzi), solo nel bilancio consolidato la plusvalenza è cancellata. Ma ai fini dell’iscrizione al campionato la Covisoc guarda al bilancio separato, il vecchio civilistico, non al bilancio consolidato.
- Incredibilmente l'operazione dell'Inter è stata finanziata da Interbanca S.p.A (all'epoca gruppo Antonveneta) che vedeva nel suo cda lo stesso Massimo Moratti. Un inno al conflitto d'interesse? A chi farne una colpa? Moratti, Interbanca o la Vigilanza della Banca d'Italia?
Anche questo è un caso di conflitto d’interesse, un peccato che abbonda nel capitalismo italiano, non solo tra i Paperoni del calcio. Non credo che la Banca d’Italia abbia responsabilità in questa vicenda.
- Il sale and lease back del marchio, curiosamente, è stato utilizzato da quelle stesse società (oltre all'Inter, anche Milan, Roma e Lazio) che in precedenza si erano distinte in negativo nell'era delle plusvalenze gonfiate sugli scambi di giocatori per poi fare ricorso al cd decreto spalmadebiti o spalmasvalutazioni. E' solo un caso o un vero e proprio modello di gestione: il "modello italiano"?
Le squadre che più avevano speso, senza badare all’equilibrio tra costi e ricavi, hanno utilizzato la cessione fittizia del marchio per coprire il buco contabile che prima volevano spalmare in dieci anni con la legge salvacalcio. La UE è intervenuta e il periodo in cui spalmare le perdite, per circa un miliardo di euro, è stato dimezzato a cinque anni. A quel punto le squadre più esposte avrebbero dovuto fare ingenti ricapitalizzazioni, ma questo non è avvenuto, tranne che, in parte, per Inter e Milan. Direi che è un modello italiano, favorito dal fatto che il proprietario di uno dei club con i maggiori problemi, Silvio Berlusconi, era anche presidente del Consiglio e, quindi, ha favorito l’adozione di norme di cui anch’egli era beneficiario con il Milan. Non sono a conoscenza di vicende simili in Inghilterra. In Spagna c’è stata una legge a favore dei ricchi del calcio, la cosiddetta legge Beckham, che ha ridotto le tasse per gli stranieri residenti con stipendio annuo superiore ai 600mila euro lordi, di fatto una norma speciale per i calciatori (e allenatori) stranieri. Adesso Zapatero vuole abolirla.
- Sul Sole 24 Ore, hai giustamente osservato che una società può considerarsi solida se i debiti finanziari non eccedono il patrimonio netto. I rappresentanti istituzionali del calcio italiano continuano a dirsi tranquilli al riguardo. Come si presenta, a tuo avviso, la situazione della nostra serie A? Una classifica di "solidità" chi vedrebbe in testa e chi in coda?
Una classifica di solidità basata sugli ultimi dati disponibili vedrebbe in testa Juventus e Fiorentina, in coda Inter (ultima), Milan, Lazio e Roma. La Juventus ha un patrimonio netto intorno a 100 milioni di euro, ricostituito con l’aumento di capitale di alcuni anni fa e i debiti complessivi, al lordo dei crediti, al 30 giugno erano sui 109 milioni di euro, secondo un’elaborazione fatta dal Sole 24 Ore. Per la Juve va ricordato che le azioni dell’ultimo aumento di capitale sono state vendute a 1,3 euro, mentre in Borsa valgono meno di un euro, per cui chi le ha sottoscritte (oltre all’Exor degli Agnelli, ex Ifil, che ha il 60%) ci ha rimesso i soldi. Potremmo dire che i piccoli azionisti della Juventus sono come tanti piccoli Moratti, hanno messo mano al portafoglio per ridare un patrimonio alla squadra. La differenza rispetto all’Inter, però, è che i risultati economici della Juventus sono assai migliori dell’Inter, c’è più attenzione all’equilibrio dei conti, quindi quel patrimonio c’è ancora, non è necessario ricostituirlo ogni anno come invece è costretto a fare il patron nerazzurro. La Fiorentina, l’ultimo bilancio disponibile è al 31 dicembre 2008, aveva un patrimonio netto di 78 milioni e debiti complessivi per 80 milioni. - L’Inter al 30 giugno scorso aveva un patrimonio netto negativo per 28,3 milioni, il Milan al 31 dicembre 2008 un patrimonio netto negativo per 64 milioni e 364 milioni di debiti. La Lazio al 30 giugno 2009 aveva un patrimonio netto consolidato di 2,22 milioni e 129 milioni di debiti, la Roma alla stessa data un patrimonio netto consolidato di 8,81 milioni e 100 milioni di debiti.
- Il prof. Boeri in un articolo su Repubblica, e nella sua ricerca sul calcio, ha parlato in riferimento ai bilanci delle società di calcio e della regolarmente elusa normativa sui controlli, di un sistema di "illeciti tollerati". Sei dello stesso avviso?
Sono d’accordo con l’elegante definizione di Tito Boeri. Il calcio è un sistema di caos contabile in cui nessuno vuole davvero mettere ordine, penso che sarebbe opportuno verificare anche la provenienza dei capitali di molte squadre e dove vanno veramente i soldi. Molte operazioni sul calciomercato sono fatte all’estero, anche per calciatori di dubbio valore.
- Data l'identità, anche di uomini, tra la dirigenza Inter e la precedente dirigenza Telecom (Moratti, Tronchetti, Buora), di cui il caso Vieri è solo una delle tante espressioni, non è da considerarsi come concorrenza "intollerabile" lo spionaggio a carico di concorrenti od organi di controllo, quali tesserati della Juventus, dell'AIA, della FIGC?
E’ un fatto che le intercettazioni telefoniche sugli ex dirigenti della Juventus siano state fatte dalle strutture Telecom, all’epoca in cui la società era controllata dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera, socio di Massimo Moratti nell’Inter e consigliere di amministrazione della squadra. Ma Moratti è anche socio di Tronchetti nella Pirelli ed è nel consiglio di amministrazione. Poi c’è il doppio o triplo ruolo di Carlo Buora in Pirelli, Telecom e Inter. C’è chi può pensare che queste siano solo coincidenze, oppure chi pensa che le intercettazioni siano state mirate sui dirigenti del club rivale dell’Inter. Non ci sono prove però per dimostrarlo. Comunque, anche a considerarla solo una coincidenza, è sorprendente.
- Hai seguito le indagini sulla Saras? Secondo te, potrà continuare a essere il polmone dell'Inter negli anni a venire?
Con i dividendi della Saras Moratti paga tranquillamente i costi del giocattolo Inter. Quest’anno i risultati della Saras sono peggiorati, in linea con le aziende di raffinazione, ma credo che quest’azienda continuerà ad alimentare il patrimonio di Moratti e quindi, se vorrà, anche a sostenere le spese folli dell’Inter.
- La situazione più critica tra le società di serie A sembra quella della Roma, visto che sono stati emessi addirittura dei decreti ingiuntivi nei confronti della controllante diretta (Roma 2000) e di Italpetroli, che è la holding di controllo; eppure la società ha presentato un piano per un nuovo stadio assai impegnativo. Le indicazioni sono contraddittorie e fanno sorgere una domanda: a tuo avviso le sorelle Sensi riusciranno a conservare la proprietà della Roma?
Le sorelle Sensi stanno resistendo con ogni mezzo alle pressioni che arrivano da UniCredit perché vendano la Roma. Per il momento, malgrado il gruppo Italpetroli non stia rispettando i termini di pagamento dei debiti, tra cui spiccano i 325 milioni verso UniCredit, non ci sono offerte per la Roma del livello di quello che si aspettano sia le sorelle Sensi sia, immagino, la banca. Oggi in Borsa il 100% della squadra vale circa 110 milioni. Certo nessuno è arrivato a offrire i 283 milioni che aveva offerto per il 100% della Roma, un anno e mezzo fa, la proposta dei mediatori di Inner Circle, che venne attribuita (senza smentite ma neppure conferme ufficiali) a George Soros. Vinicio Fioranelli aveva fatto una proposta improbabile, coperta da una società svizzera che non rendeva trasparente l’operazione né la provenienza dei fondi. Negli ultimi mesi assistiamo al balletto di dichiarazioni dell’imprenditore della Tachipirina, Francesco Angelini, che lancia proposte a mezzo stampa per un prezzo intorno ai 130 milioni, ma non ha fatto una vera offerta. Mi sembra che per ora la Roma non si venda, anche perché non ci sono offerte vere, solo voci e qualche avvoltoio. Se però Italpetroli continuerà a non rispettare i termini di pagamento dei debiti, credo si arriverà a una vendita forzata del patrimonio del gruppo. UniCredit sta cercando di aggredire il patrimonio con la richiesta di decreti ingiuntivi. Ci vorrà tempo, ma a quel punto la Roma cambierebbe padrone. E a prezzi da saldo.
- Quotazioni in borsa. In Inghilterra il "delisting" prosegue e le società quotate sono ormai rimaste davvero poche. Famosa la definizione del Prof. Victor Uckmar, all'epoca responsabile della Covisoc, che a proposito delle azioni delle società di calcio quotate, disse che erano da vietare "a vedove e orfani". Concordi? Ritieni ci siano delle differenze tra la situazione attuale della Juventus, e quelle di Lazio e Roma?
La differenza principale nella situazione delle tre squadre italiane quotate è che solo una, la Juventus, sta attuando un progetto immobiliare, imperniato sul progetto stadio, per diversificare i ricavi. Ed è anche l’unico progetto di una squadra di serie A autofinanziato. Tutte le altre cercano o il regalo dallo Stato o di costruire, col pretesto dello stadio, una maxi speculazione immobiliare per costruire migliaia di appartamenti, negozi, e altro, su aree agricole, come hanno fatto nella recente proposta sia la Roma sia la Lazio. Tuttavia anche l’esperienza della Juventus in Borsa è negativa per chi ha investito, che ha visto scendere il valore delle azioni. Il progetto immobiliare e il piano stadio dell’attuale gestione comunque è peggiorato rispetto a quello che era stato proposto agli investitori con la quotazione nel 2001 dalla precedente gestione, guidata da Antonio Giraudo, poi travolto dallo scandalo detto Calciopoli che, peraltro, è andato solo in alcune direzioni, che sembravano l’obiettivo iniziale delle indagini (e delle intercettazioni fatte da Telecom).
L’esperienza di Roma e Lazio in Borsa si è risolta destinando i proventi della quotazione o alle tasche degli azionisti che hanno venduto azioni (soprattutto il caso della Roma) o utilizzando il denaro per comprare calciatori, un errore fatto soprattutto dalla Lazio di Sergio Cragnotti, che in un primo tempo aveva avuto risultati positivi e anche un forte incremento del valore in borsa delle azioni. L’esperienza del calcio in borsa, quindi, in Italia non è stata positiva, ma non credo sia da bocciare definitivamente. Ad esempio ha contribuito a una maggiore trasparenza dei conti e delle situazioni aziendali. Credo che con adeguati progetti di sviluppo immobiliare o in altre direzioni (come l’entertainment) la quotazione potrebbe ancora essere una via per le società per ottenere mezzi per lo sviluppo. In Inghilterra ha dato risultati positivi per diversi club. Il Manchester United aveva bilanci in attivo fino a quando è stato comprato dai nuovi padroni americani alcuni anni fa: questi hanno poi scaricato il costo dell’acquisizione, fatta a debito, con una fusione tra la società veicolo dell’acquisizione e la squadra di calcio. Per questo lo United è indebitato, non perché abbia una gestione passiva, a differenza dei maxi costi di u na squadra come il Chelsea, che assomiglia di più alla gestione dell’Inter. Il Manchester che era in Borsa era una società sana, il Manchester post-acquisizione non è più quotato e ha un bilancio appesantito dai debiti. Quindi il problema non è quotazione sì o no, ma come è fatta la gestione.
- Proprietà del club. Il modello spagnolo (o tedesco) dell'azionariato popolare potrebbe essere una buona soluzione per il calcio italiano in crisi? Oppure ritieni sia ad altissimo rischio demagogia e fregature nel paese di Masaniello?
Credo che trasferire in Italia il modello dell’azionariato popolare sarebbe deleterio, ad altissimo rischio, anzi direi che è una certezza, di truffe o altre fregature per i tifosi.
- Costo del lavoro. Ancora su livelli altissimi in rapporto al fatturato, pressoché ovunque. Solo il salary cap sul modello NBA può aiutare il calcio a diventare azienda e rimanere sport?
Il salary cap da solo ingesserebbe la situazione, una piccola squadra con fatturato di 30-40 milioni di euro non potrebbe mai sperare di potenziare la rosa anche con investimenti corretti per avvicinarsi a chi fattura 150 o 200 milioni, se ci fosse per tutti un rigido limite degli ingaggi, per esempio, pari al 50-60% dei ricavi. Credo che siano opportune misure per contenere il costo del personale (non solo giocatori, anche allenatori), ma vanno accompagnate da misure che migliorino la mutualità: ad esempio perché non istituire un premio (consistente) per chi ha i bilanci migliori, facendolo pagare a chi ha i bilanci peggiori? Sarebbe un incentivo a cercare gestioni più sane.
- Dalla trimestrale della Juventus approvata in questi giorni rileviamo che la posizione finanziaria netta scende (effetto della campagna acquisti estiva) ma resta ancora positiva (più 5,9 milioni), mentre il patrimonio netto aumenta nel trimestre da 101 a 107 milioni. Cosa dovrebbe fare la Juve a gennaio quando si riapre la campagna acquisti? Meglio investire, nonostante l'aria di crisi generale, o restare alla finestra nonostante la solidità patrimoniale della società?
Non basta investire, bisogna anche investire bene e diverse scelte della Juventus dopo Calciopoli sono state sbagliate, da Almiron e Tiago in poi. Come, del resto, è stata una svendita la cessione di Ibrahimovic all’Inter per circa 24 milioni di euro. Forse la società, nell’anno della retrocessione in B, avrebbe potuto dare in prestito il calciatore per un anno e verificare la situazione una volta tornata in serie A. Se si cerca il colpo a effetto, si rischia di spendere male. La Juventus ha anche diversi giovani da valorizzare che faticano a trovare spazio con acquisti altisonanti ma, finora, poco produttivi. Il capitale e la liquidità disponibile devono servire anche a pagare l’investimento nel nuovo stadio, quindi consiglierei prudenza nell’impiego delle risorse.
- Da esperto degli assetti di potere del capitalismo italiano, una domanda sulla Famiglia Agnelli ti tocca per forza. A che punto è la guerra interna? Calciopoli ha dato una mano a determinare vincitori e vinti?
La temperatura all’interno della famiglia sta salendo in parallelo con l’avanzare della causa in Tribunale promossa da Margherita Agnelli contro la madre Marella e Giovanni Gabetti e Franzo Grande Stevens per l’eredità dell’Avvocato. A parte i profili tecnico-legali, che lascio agli avvocati in una materia intricata, la causa muove sostanzialmente da un assunto: che ci fosse una parte consistente in nero del patrimonio di Gianni Agnelli trasferita all’estero. E’ un’accusa grave verso quello che è stato il capo del principale gruppo industriale italiano. L’altra causa di tensione è il processo contro Gabetti, Grande Stevens e l’ex Ifil, ora Exor, per l’equity swap del 2005 che consentì alla famiglia di mantenere il 30% della Fiat senza lanciare un’Opa, nonostante la diluizione al 22% dellla partecipazione conseguente alla scadenza del prestito convertendo. Secondo la Consob il comunicato del 24 agosto 2005, con il quale l’ex Ifil e l’accomandita Giovanni Agnelli Sapaz dicevano di non essere al corrente di iniziative per riacquistare azioni Fiat, è falso, perché era già stata commissionato a Merrill Lynch il riacquisto delle azioni che servivano all’Ifil per risalire dal 22 al 30 per cento. E Gabetti e Grande Stevens sono stati rinviati a giudizio per questa vicenda, il processo è in corso a Torino. Penso che la vicenda Calciopoli, esplosa poco dopo quegli episodi, abbia distratto molti da queste vicende poco commendevoli interne alla famiglia. Forse non è stata una coincidenza.
La parola all'esperto. Gianni Dragoni: "L'Inter di debiti ne ha eccome"
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