Il 29 aprile 2006, dopo le misteriose imbeccate di Ruggiero Palombo, i quotidiani sportivi cominciano a parlare dell’esistenza di intercettazioni compromettenti sul mondo del pallone. Pochi giorni dopo vengono pubblicate le trascrizioni delle prime telefonate per il giubilo del popolino, felice di vedere finalmente la Juventus alla berlina. Ma, nel tripudio collettivo, nessuno si accorge di quello che sta accadendo: la pubblicazione delle intercettazioni è illegale perché viola l’art.15 della Costituzione: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». E, in questo caso, non c’è “atto motivato” dell’autorità giudiziaria perché i contenuti delle conversazioni sono stati resi noti addirittura prima ancora dell’emissione degli avvisi di garanzia, quindi prima dell’inizio dei processi. Ma non si infrange solo la Costituzione Italiana, ma anche l’art.8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: «Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale». Viene inoltre violato l’art.7 della legge sulla frode sportiva (introdotta nel 1989 dopo gli scandali del Totonero): «Gli organi di disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale, fermo restando il divieto di pubblicazione». La diffusione e l’utilizzo degli atti comportano, a livello amministrativo, la nullità dell’atto. Ma non basta, la pubblicazione infrange anche l’art.270 del Codice di Procedura Penale («I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza») e gli articoli 618 («Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 616, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo rivela, in tutto o in parte, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione. Il delitto è punibile a querela della persona offesa») e 621 («Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa di lire duecentomila a due milioni») del codice penale. Di fronte a tante violazioni stupisce la leggerezza con la quale i giornali hanno trattato l’argomento.