Una volta montato lo scandalo, con i media nella parte del fedele scudiero, Guido Rossi si mette subito all'opera per organizzare l'iter processuale. Innanzitutto urge sistemare l'Ufficio Indagini, fino ad allora presieduto dal generale Italo Pappa, numero due della Guardia di Finanza. Il 23 maggio i giornali annunciano il suo allontanamento in favore della nomina del nuovo capo il cui nome lascia stupefatti: è Francesco Saverio Borrelli, ex responsabile del pool di Mani Pulite all'epoca di Tangentopoli. Borrelli di calcio non sa nulla ma il nuovo assetto di potere appena formatosi lo ritiene l'uomo ideale, forse perché in sintonia politica con l'argonauta Rossi che lo ha scelto personalmente. Per sicurezza il commissario straordinario decide di affiancare al nuovo arrivato il colonnello Federico Maurizio D'Andrea, 47enne comandante provinciale della Guardia di Finanza di Bergamo, ovviamente interista. Non stupirà poi apprendere, nel gennaio 2007, del passaggio di D'Andrea all'auditing Telecom, chiamato all'incombenza, guarda caso, proprio dal neo-presidente Guido Rossi. Ma via un interista, eccone un altro: a sostituire D'Andrea nel ruolo di vicecapo dell'Ufficio Indagini verrà prontamente sistemato l'ultrà Gian Michele Corona, il quale sarà chiamato all'arduo compito di investigare sui bilanci della Beneamata. L'arrivo di Borrelli mette sull'attenti Berlusconi, il quale torna a sfoderare la sua arma di difesa preferita, il vittimismo politico: «Spero che il calcio mantenga la sua indipendenza dalla politica, come è successo durante i cinque anni del mio governo. Stanno tornando le Toghe Rosse». Peccato che a "cassare" il teorema borrelliano che vedeva il Milan sullo stesso piano della Juventus ci penserà il solerte Palazzi, il quale si limiterà ad incolpare i rossoneri per una sola partita, anziché per la vastissima rete di relazioni dirette tra Leonardo Meani, gli arbitri, i designatori e i guardalinee. Mentre Borrelli si appresta a rispolverare il suo "resistere, resistere, resistere", Guido Rossi non perde tempo e si adopera per fare piazza pulita in tutti i gradi di giustizia sportiva. Il presidente del Genoa, Preziosi, spara a zero contro il giudice Caf Cesare Martellino, accusandolo di aver scritto due giorni prima la sentenza che ha spedito i grifoni in serie C (curioso constatare come questa sarà la medesima accusa mossa ai giudici protagonisti delle sentenze di Calciopoli). Il commissario "straordinariamente" interista coglie la palla al balzo e in un amen silura anche Martellino. Al suo posto, un altro "vergine" di calcio, ovvero Cesare Ruperto, 81enne calabrese ex giudice della Corte Costituzionale. Il disegno è chiaro: formare nuovi collegi giudicanti e investigativi composti da personaggi autorevoli (contro le cui decisioni è difficile schierarsi) che non conoscono nulla di calcio. Faccendoli poi affiancare da persone di rodata fiducia diventa facilissimo indirizzarli. Il 16 giugno Ruperto è ufficialmente presidente della Caf e deve fare tutto di fretta dato che cinque giorni più tardi Borrelli gli fa recapitare la sua relazione. Come può un giudice appena insediatosi, imparare da zero il diritto sportivo, studiarne i casi fondamentali, leggere le migliaia di pagine della relazione e le memorie difensive degli avvocati in meno di un mese? Mission impossible: il 3 luglio iniziano i dibattimenti in aula. È francamente impensabile che un ultraottantenne possa occuparsi di tutto questo in soli 16 giorni!! Eppure è accaduto...