Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli, con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.
Con il presente pezzo terminiamo la serie di quattro articoli relativi al capo d’imputazione A, l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Nei precedenti tre avevamo scremato l’accusa, introdotto e poi dettagliato le motivazioni di condanna. Ora ci resta soltanto da esporre i motivi addotti dai giudici per ritenere l’ex dirigente il capo della fantomatica associazione. Le ragioni in questo caso sono sostanzialmente tre.
La prima, legata alla famosa partita del “sequestro di Paparesta” a Reggio Calabria, quando l’ex-arbitro fece perdere i bianconeri con una serie interminabile di decisioni tutte a sfavore della squadra torinese, riguarda il fatto che l’ex direttore di gara barese decise di omettere dal referto la veemente protesta dei dirigenti juventini al termine della partita. Infatti “va valutata la reazione di Paparesta a quella che era pur sempre stata una protesta fuori misura del Moggi per gli errori dell’arbitro, di non inserimento cioè del comportamento furioso nel referto arbitrale, reazione che, ad avviso del collegio, va quantomeno interpretata come un effetto del timore reverenziale nei confronti della persona, pur se il Paparesta nel dibattimento non ha confermato quanto dichiarato in sede di indagini, cioè di essere incorso in omissione per paura che ne sarebbe derivata una consistente compromissione delle sue aspettative di carriera, e si è trincerato dietro la giustificazione più decorosa, di averlo cioè fatto per non acuire ulteriori tensioni” (pag. 428, nelle motivazioni della sentenza).
Ricordando il contesto, l’ex arbitro era stato verosimilmente indotto dalla propria coscienza sporca, di chi sa di averla combinata grossa in campo, a non infierire, probabilmente decidendo di assorbire una comprensibile reazione di chi aveva appena perso una importante partita per colpa dell’arbitro, comportamento umano, benché scomposto, ma non insolito, come ben si sa, al termine di partite finite in polemica. D’altronde questo l’ha dichiarato, evidentemente non creduto, lo stesso Paparesta in aula. Rimane comunque un comportamento in nessun modo indotto da Moggi e ricorda piuttosto una mancata espulsione di un giocatore famoso, e ci chiediamo se questo comportamento possa realmente integrare un reato penale. Sembra in realtà una motivazione piuttosto campata in aria. Ci consola parzialmente il fatto che i giudici abbiano deciso, almeno dal punto di vista giudiziario, di mettere esplicitamente la parola fine alla bufala del “sequestro”, scrivendo che “è risultato non vero quello che lo spavaldo Moggi andava dichiarando in giro, e per telefono, cioè di aver chiuso l’arbitro Paparesta nello spogliatoio alla fine della partita Reggina-Juventus del 7/11/04, come da dichiarazione del teste Paparesta Gianluca all’udienza del 16/6/09” (pag. 428). In questo caso, per fortuna, hanno creduto al teste.
La seconda è carica di un surrealismo tale da far invidia ad opere di artisti della notevole levatura quali Dalì o Giacometti. In pratica, la colpa qui sarebbe legata al fatto che l’allora presidente della Federcalcio, Carraro, abbia voluto sfruttare a beneficio della Nazionale di calcio l’enorme capacità e le conoscenze calcistiche dell’ex direttore bianconero, costruite in più di trent’anni di carriera da dirigente in varie realtà importanti, una su tutte, la Juventus, ma anche Torino, Napoli, Lazio e Roma. Quelle dell’ex mago del mercato, con operazioni del calibro di Nedved, Ibrahimovic e Davids, non erano però soltanto, così, conoscenze generiche, bensì tali da risultare preziose in ambito federale proprio per il fatto che appartenevano all’uomo che con il suo lavoro nella squadra torinese aveva contribuito in modo determinante a mettere assieme, con Camoranesi, Del Piero, Buffon, Zambrotta e Cannavaro, l’ossatura della Nazionale di allora, che di lì a poco avrebbe vinto il Mondiale 2006, e che, oltretutto, dell’allenatore di quella squadra, Marcello Lippi, conosceva pregi e difetti, avendolo chiamato nel 1994 a dirigere con successo la squadra bianconera, portando la società a vincere, nelle successive cinque stagioni, tre campionati nazionali e i maggiori trofei internazionali, dalla Champions all’Intercontinentale; e l'aveva poi richiamato nuovamente alla guida della Juve nel 2001, dopo la sfortunata parentesi del viareggino nella squadra nerazzura di Milano: vincitore di due scudetti nelle tre stagioni bianconere del secondo ciclo, ciclo vincente che poi gli avrebbe aperto appunto le porte della Nazionale.
Infatti, con riferimento a questa seconda ragione il tribunale scrive: “Il rapporto disinibito con i rappresentanti della FIGC, che pure deve essere tenuto in conto, dal momento che Moggi non rivestiva cariche all’interno della Federazione, e che è stato ben rappresentato dal teste Carraro Franco, il quale, in sede di interpretazione autentica di una sua telefonata con Moggi del 12/10/04, ha fornito l’alto livello dell’invadenza nelle soluzioni tecniche, quelle cioè destinate a produrre effetto sul campo di gioco, acquisito da Moggi, allorché così si è espresso: sul piano tecnico, sapendo che Moggi capisce di calcio, sapendo che con Lippi aveva lavorato, io ero molto interessato a capire quali fossero le opinioni di Moggi e mi faceva piacere del fatto che Moggi parlasse con Lippi... mi relazionasse sulle sue idee, su come faceva Lippi nell’ambito della nazionale... il 12/10/04 Lippi era allenatore della nazionale... lavorava dall’agosto... certo, le conversazioni potevano prevedere anche la possibilità di discutere sulle scelte che Lippi avrebbe fatto (vedi esame ud. 15/12/09)” (pag. 428-429). Siamo, dunque, al paradosso che non solo nessun rappresentante ufficiale delle istituzioni politiche o calcistiche abbia ringraziato Luciano Moggi per il lavoro di cui di riflesso ha goduto anche la Nazionale di calcio, ma che, anzi, ciò abbia portato addirittura ad una condanna in sede penale perché, interpellato, avrebbe influito sulle “soluzioni tecniche, quelle cioè destinate a produrre effetto sul campo da gioco”.
La triade di motivazioni che, ad avviso del collegio giudicante, fanno di Moggi il capo della presunta associazione per delinquere, termina con “la capacità acquisita da Moggi di costituire anche nei confronti di un nemico giurato, come il Baldini, passaggio obbligato per una raccomandazione di soggetto destinato ad operare su campo di calcio, anche può essere utilizzata per configurare il potere di capo. Viene in rilievo il contenuto della conversazione telefonica tra Baldini e Mazzini, di cui al progr. 8222 del 4/4/05, ore 17,41 sull’utenza xxx936, che se da un lato svilisce la genuinità del discorso intavolato tra Baldini e Auricchio agli albori dell’indagine, e in questa direzione infatti è comparsa nel dibattimento (vedi controesame avv. Prioreschi teste Auricchio ud. 23/3/10), dall’altro è indicativa quantomeno di una creata apparenza di ampia possibilità di manovra di Moggi, utile a impressionare, tra altri, gli arbitri; e non rileva che, così come alla fine ha dovuto ammettere il teste Auricchio, ad Arezzo il Castagnini non ci sia andato neppure a fine anno” (pag. 429). La telefonata, quindi, è quella del “ribaltone” ed "è significativa anche perché presenta la comunanza di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pubblico ministero ha tratto elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in Moggi" (pag. 437). Premesso che anche il collegio giudicante si è reso conto del rapporto poco chiaro tra Auricchio e Baldini tanto da ricordarlo esplicitamente nella sentenza, e prima di entrare nel merito di questa contorta logica, va subito evidenziato l’uso spavaldo da parte del tribunale di associazioni, generalizzazioni e sillogismi. Anche in questo caso si sono spinti ad un livello veramente discutibile e piuttosto rudimentale:
Il sillogismo di campo, cioè campato...in aria
Premessa maggiore: La telefonata dimostra che Moggi ha “ampio potere su chi deve operare su campo di calcio”
Premessa minore: Gli arbitri operano su campo di calcio
Conclusione: Moggi ha potere su arbitri
Detto ciò, che già da solo dovrebbe far arrossire i giudici, facciamo rilevare che la premessa minore è sicuramente un fatto pacifico ed incontestabile, e ci mancherebbe, mentre la premessa maggiore, invece, è il frutto di una generalizzazione a sua volta molto rozza. Come può una telefonata che testimonia di una presunta ed eventuale entratura di Moggi presso una società sportiva privata della sua regione di provenienza essere presa a riferimento per generalizzare un potere sull’intero sistema operante "su campo di calcio”? L’arrampicata dei giudici qui ci sembra notevole, soprattutto se hanno avuto a propria disposizione varie telefonate che dimostrano chiaramente la posizione di estrema debolezza di Moggi e della Triade in generale. Ascoltando quelle conversazioni si può comprendere benissimo non solo la mancanza di potere, ma persino la subalternità di Moggi rispetto a Baldini e non il contrario; Baldini che per volere di Montezemolo, a detta di Sandreani, starebbe addirittura per subentrargli nel prestigioso ruolo di direttore generale della Juventus.
Tralasciamo di commentare le altre due telefonate inserite dai giudici praticamente per "assonanza", le 4201 del 7/4/05, tra Nucini e Meani, e la 5610 del 18/4/05, tra Collina e Meani, che contengono solo dicerie e chiacchiere senza fondamento senza il benché minimo riscontro durante il dibattimento, ma che ai giudici "non sembra inopportuno riprodurre" (pag. 437) semplicemente perché il pubblico ministero le ha additate "per la dimostrazione dell'esistenza dell'associazione" (pag. 437), quindi nemmeno per la prova che Moggi ne fosse a capo.
La logica di condanna del tribunale passa, dunque, in questo caso attraverso tre esempi estemporanei ed estratti dal proprio contesto, i quali poi vengono in modo surreale ed artificiale generalizzati in chiave colpevolista. Stiamo parlando di percezioni e di comportamenti umani, individuali e personali, di parti dell’ambiente del calcio, le cui ragioni d’essere sono state spiegate in modo esauriente proprio dalle persone coinvolte in quelle circostanze. E così, nella stessa aula di tribunale nella quale è stato chiarito il contesto, viene condannato l’ex direttore generale della Juventus per essere a capo di una fantomatica cupola calcistica, formata attualmente da undici persone, essendo altre nove persone, in origine accusate, già state scagionate nei vari giudizi fin qui succedutisi.
Con questo articolo abbiamo completato il percorso di analisi dei dieci capi d’accusa per i quali Luciano Moggi è stato ritenuto colpevole dal tribunale di Napoli in primo grado e che ricordiamo sono i nove relativi alla frode sportiva, capo B, capo F, capo G, capo I, capo M, capo O, capo Q, capo Z e capo A5, oltre al capo A per l’accusa di associazione per delinquere, che per la mole abbiamo dovuto spezzare in quattro parti: parte prima, parte seconda, parte terza, e infine quest’ultima.
Per completare il quadro in vista delle prossime udienze che, date le premesse si preannunciano molto calde, restano ancora alcune considerazioni di carattere generale sull’intera sentenza e la sua logica, che vi presenteremo nella prossima, conclusiva puntata di questo speciale calciopoli.
Puntate precedenti:
SPECIALE CALCIOPOLI: A5, Il "salvataggio" della Fiorentina
SPECIALE CALCIOPOLI: Z, La Roma-Juventus dei "traditori"
SPECIALE CALCIOPOLI: O, La partita di Abeijon
SPECIALE CALCIOPOLI: M, Vuoi mettere Kakà
SPECIALE CALCIOPOLI: B, Il pugno di Jankulovski
SPECIALE CALCIOPOLI: F, Juve-Lazio con effetto farfalla
SPECIALE CALCIOPOLI: G+I /1, la "dottrina Meani"
SPECIALE CALCIOPOLI: G+I /2: il 'fai da te'
SPECIALE CALCIOPOLI: Q, "grigliata" ad effetto in Juventus-Udinese
SPECIALE CALCIOPOLI: A /1: un'accusa molto mediatica
SPECIALE CALCIOPOLI: A /2: AA associazione cercasi
SPECIALE CALCIOPOLI: A /3: un'associazione fondata su spavalderia e sarcasmo