La mattina del 25 luglio 2006, giorno della sentenza della Corte Federale di Sandulli, a pagina 2 de La Gazzetta c'è un interessante articolo dal titolo "Pene moderate o è rischio Ue", sottotitolo "Una sentenza della Corte di giustizia europea chiarisce i rapporti tra diritto comunitario e federazioni. Le possibili conseguenze sui verdetti di Moggiopoli": in esso è riportato un intervento di Juan De Dios Crespo, avvocato di Valencia con specializzazione in diritto sportivo, che commenta una sentenza della Corte di Giustizia Europea di pochi giorni prima. L'avvocato, in pratica, mette in guardia anche la FIGC sulle possibili conseguenze in caso di una sentenza sportiva troppo dura su "Calciopoli".
Il 18 luglio 2006 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (CGCE) aveva emesso una sentenza che fa chiarezza sul rapporto tra il diritto europeo e le federazioni sportive, nazionali e internazionali. L'avvocato nel suo intervento definisce questa sentenza "fondamentale" e si meraviglia perché "non ha suscitato come dovrebbe l’interesse e l’attenzione dei media".
Testo della sentenza Meca Majcen (da: www.rdes.it)
Il caso è quello dei nuotatori Meca e Majcen, difesi dall’avvocato Jean Louis Dupont, divenuto famoso per aver difeso Bosman. I due nuotatori ribattevano che alcune norme antidoping del CIO violavano il diritto comunitario alla concorrenza, mentre il CIO sosteneva che la normativa antidoping era basata su regole "puramente sportive", estranee al campo economico e, quindi, al di fuori del diritto comunitario. In parole povere il CIO sosteneva che, essendo di natura puramente sportiva, la regolamentazione non doveva sottostare al diritto comunitario e non spettava alla CGCE metterci becco e valutare se la regolamentazione e le sanzioni rispondessero o meno agli obiettivi che si prefiggeva.
Con la sentenza del 18 luglio, invece, la CGCE ritiene, come riporta De Dios Crespo, "che anche una regolamentazione antidoping è totalmente soggetta al diritto comunitario e che occorre dimostrare caso per caso che le restrizioni da essa indotte sono inerenti e proporzionate rispetto agli obiettivi sportivi che si prefigge". L'avvocato scrive che è un concetto "rivoluzionario nei rapporti tra sport e diritto comunitario". In parole povere anche un regolamento puramente sportivo "ricade nel campo di applicazione del diritto europeo, e dunque del diritto comunitario alla concorrenza, nel momento in cui influisce sulle attività economiche transnazionali di terzi", che siano atleti o società sportive.
Perché è fondamentale questa sentenza, secondo Crespo? Perché è stata respinta la pretesa delle federazioni internazionali di sfuggire al diritto comunitario appellandosi alla "eccezione sportiva", alla "specificità sportiva" o al "regolamento puramente sportivo".
Leggete bene l'articolo sulla Gazzetta nella parte che segue alla domanda "E PER MOGGIOPOLI?" (che crediamo aggiunta dal giornale più che scritta da Crespo, ndr). L'avvocato prima ricorda che è ormai acclarato che regolamenti e sanzioni devono tener conto del diritto comunitario alla concorrenza e devono essere imperativamente proporzionati, poi scrive che, alla luce della nuova giurisprudenza figlia della sentenza, la Federazione dovrebbe porsi le domande giuste, come queste:
Le prove apportate sono sufficienti per concludere che sono state commesse delle gravi infrazioni?
Sono state condotte indagini sufficienti per assicurarsi che solo i club perseguiti si comportassero in quel modo?
I club sono stati responsabili in quanto tali (proprietari, consigli di amministrazione) oppure i loro dipendenti (dirigenti, manager) hanno preso delle decisioni personali?
Se sì, è giustificato sanzionare duramente le imprese, i club nella fattispecie, per delle mancanze commesse da certi loro dipendenti, nel momento in cui altri regolamenti si fanno carico di sanzionare queste persone?
In caso affermativo, non sarà eccessivo retrocedere questi club in serie B sapendo che tale sanzione potrebbe essere sinonimo di bancarotta o quanto meno di danni quantificabili in centinaia di milioni d euro?
L'avvocato Crespo invita le autorità sportive a darsi anche le giuste risposte e dare prova di moderazione, "anziché perseverare nella giustizia spettacolo", perché corrono due grossi rischi:
1. che un tribunale ordinario invalidi le loro sentenze rifacendosi alla sentenza Meca-Majcen;
2. dover rifondere ai club il danno economico e sportivo causato.
L'avvocato Crespo chiude il suo intervento mettendo ulteriormente in guardia le Federazioni ricordando loro che "il diritto comunitario alla concorrenza ha effetto diretto, può essere invocato direttamente dai cittadini e dalle imprese davanti ai giudici nazionali, e questi hanno il dovere di farlo rispettare, accordando alle parti lese indennizzi e interessi adeguati".
Un parere quello dell'avvocato Crespo che non viene recepito. La FIGC del commissario straordinario Guido Rossi sanziona la Juventus in modo durissimo, provocando danni calcolabili in almeno 150 milioni di euro ad una società quotata in borsa. La FIGC si comporta in maniera diametralmente opposta rispetto a quanto aveva fatto nel 2001, sotto il commissario straordinario Gianni Petrucci, per il caso dei passaporti falsi. Allora la FIGC usò la mano di velluto nel sanzionare, accogliendo il parere del professor Caianiello, che invitava a "prudenza e buonsenso" per i possibili intrecci tra magistratura ordinaria e giustizia sportiva, che avrebbero potuto portare a gravi conseguenze economiche ed a richieste di risarcimenti.
Cosa aveva detto tra le altre cose il professor Caianiello nel 2001? Anche questo, tra le altre cose:
"In astratto l’ordinamento sportivo, in quanto autonomo, potrebbe anche decidere di procedere per proprio conto; però dovrebbe tenere conto che quello del calcio è un mondo in cui girano molti soldi e quindi può avere riflessi sull’ordinamento statale. Una squalifica ad un grosso giocatore, una penalizzazione ad un club importante produrrebbe riflessi sulla Borsa, sulla valutazione del giocatore, cioè un danno economico sui rapporti sociali, di lavoro, di credibilità. E’ soprattutto in tali situazioni che si rischia di esporsi a richieste di danni. Se la falsità del passaporto non è accertata, ricorrere alla responsabilità oggettiva è comunque un rischio".
Nel 2001 il professor Andrea Manzella (con Cardia e Traversa, ndr) faceva parte dell'Authority della FIGC che si interessò del caso passaportopoli. Lo stesso professor Manzella dopo le sentenze sportive, il 28 agosto, dirà in un'intervista concessa a La Stampa: "Dalle cose che ho letto, mi sembra che la pena data alla Juventus sia abnorme e sproporzionata, perché le condotte contestate e le prove raccolte, a mio avviso, possono provare la violazione dell’articolo uno del codice di giustizia sportiva, quello sulla lealtà, non quello dell’articolo sei, l’illecito".
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