Le vicende giudiziarie di Farsopoli sono spesso analizzate sotto due diverse prospettive, quella che fa riferimento ai processi della “giustizia” sportiva e quella riguardante i processi della giustizia ordinaria.
Personalmente ho un’opinione piuttosto netta in argomento, dal momento che a mio parere l’ordinamento giuridico statale sta all’ordinamento sportivo come Sir Laurence Olivier sta a Bombolo. Senza offesa per l’indimenticato Franco Lechner, in arte Bombolo, s’intende.
Ciò non tanto perché il diritto sportivo non possa essere considerato come un sistema normativo caratterizzato da un certo grado di coerenza interna, bensì per il fatto che un ordinamento giuridico non è identificabile soltanto nelle norme che lo compongono, ma anche nelle strutture organizzative deputate, oltre che a codificare quelle norme, ad applicarle, garantendone l’effettività.
Beninteso, non si afferma qui che nell’ambito dell’ordinamento sportivo italiano tali strutture organizzative non vi siano, ma a chi scrive è parso evidente che, proprio con riguardo alle vicende di Farsopoli, il loro funzionamento sia stato (e sia tuttora) guidato verso approdi che nulla hanno a che vedere con la garanzia dell’effettività - in una parola, con il rispetto - del diritto sportivo.
Gli esempi li conosciamo bene: l’illecito “strutturato” (e l’aborto giuridico dell’inflizione alla Juventus di una pena prevista da una norma accertata dalle sentenze sportive come non violata, a fronte di - presunte e comunque discutibili - violazioni di una norma che prevede ben altra e più mite pena), la radiazione “implicita” (c’è ma non si vede) di Luciano Moggi, la discutibile prassi di adattare l’organizzazione ed i tempi della “giustizia” sportiva a seconda… delle contingenze (a volte i processi durano due settimane e spariscono magicamente gradi di giudizio, altre volte occorrono anni per istruirli).
Insomma, so bene che la doverosa revoca dello scudetto di cartone, e l’altrettanto doverosa restituzione del 28 e del 29 passeranno per quel sistema, ma quel sistema troverà la strada per la revoca e la restituzione se i rapporti di forza politici ed economici in seno al mondo del pallone si saranno modificati in maniera tale da indicargliela.
La mia modesta opinione è che, fino ad allora, l’analisi delle acrobazie giuridiche della “giustizia” sportiva sia un’operazione utile solo a svelare che il re (o meglio, in coerenza con il ragionamento appena fatto, il ciambellano del re) è nudo.
Ed allora, come si modificano i rapporti di forza a cui ci siamo sopra riferiti?
Certamente per effetto di un cambio di rotta della società Juventus. In tal senso l’esposto per la revoca del cartone lascia ben sperare, anche se a breve la FIGC dovrà pur essere sollecitata dalla Juventus a prendere una decisione che per la verità avrebbe già potuto prendere da tempo.
Ed è altrettanto certo che una azione incisiva a livello mediatico, specie facendo valere il peso dell’azionista di riferimento della Juventus in occasione delle riunioni dei consigli di amministrazione di certi editori, farebbe piuttosto comodo.
Ma non sono questi gli aspetti che ci interessano qui, dove abbiamo la pretesa di occuparci di Giustizia: non c’è dubbio, infatti, che un certo esito del processo di Napoli costituirebbe un potentissimo catalizzatore di fenomeni che i tifosi juventini auspicano da tempo.
Napoli, dunque.
Ne abbiamo già parlato tante volte e tante altre volte ne parleremo; in attesa di tornare a commentare quanto emergerà dalle prossime udienze (la ripresa del processo è prevista per ottobre), ci interessa qui fare alcune riflessioni muovendo da un articolo del codice di procedura penale e precisamente dall’art. 358, che così recita: “Il pubblico ministero […] svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”.
Se ricorderete l’esistenza di quella norma agli avvocati penalisti probabilmente vi sentirete ribattere che le Procure italiane non abbondano di pubblici ministeri bramosi di andare alla ricerca di prove a discarico degli indagati.
Eppure quella norma c’è e c’è per un motivo ben preciso, che ha a che fare con il ruolo assegnato al pubblico ministero dal nostro ordinamento giuridico: non un “avvocato dell’accusa”, ma un Magistrato della Repubblica, il cui compito è quello di contribuire all’accertamento della verità (tanto è vero che il PM, una volta svolte le indagini, può tranquillamente richiedere l’archiviazione del procedimento laddove non ritenga fondata la notizia di reato).
Quella norma mi è immediatamente tornata alla mente quando qualche tempo fa è salito alla ribalta, per merito della difesa di Luciano Moggi, il tema delle intercettazioni trascurate da chi curò le indagini.
Inutile dilungarsi qui sulle varie falle del teorema accusatorio (vi rinviamo ben volentieri alla lettura dell’utile “compendio” di Emilio Cambiaghi), basti dire che tra le intercettazioni stranamente non considerate rilevanti dai Carabinieri e dalla Procura della Repubblica di Napoli figurano colloqui (più o meno border line) di pressoché tutti i Presidenti e dirigenti di squadre di Serie A con i designatori, se non con arbitri in attività. Nemmeno ci interessa stabilire qui se certi colloqui intercettati siano peggiori di altri.
Quel che è certo, secondo il modesto parere di chi scrive, è che quei colloqui trascurati configurano (o più esattamente avrebbero configurato, laddove considerati) “fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”, in quanto idonei a svelare l’esistenza di un sistema di lobbies contrapposte ed allo stesso tempo a confutare la tesi dell’esistenza di un’unica lobby criminosa, quella facente capo a Moggi, addirittura paragonata, con giudizio davvero severissimo, ad un'associazione mafiosa ed alla P2.
Peraltro, non stiamo discutendo della valenza scriminante delle intercettazioni trascurate, perché quella è valutazione che spetterà in primo luogo al Tribunale di Napoli. Qui ci interessa affrontare ben altra questione, ossia appunto quella del perché quelle intercettazioni siano state trascurate e non considerate elementi a favore dell’indagato, data la loro oggettiva rilevanza “difensiva”.
E’ il paradosso del “Piaccia o non piaccia agli imputati non ci sono mai state telefonate tra Bergamo o Pairetto con il signor Moratti o con il signor Sensi o con il signor Campedelli, presidente del Chievo”, frase ormai celeberrima pronunciata dal PM, dott. Giuseppe Narducci, in occasione dell’udienza preliminare e clamorosamente smentita nel prosieguo del processo.
Le interpretazioni degli “studiosi” di Farsopoli sul narducciano “piaccia o non piaccia” divergono: secondo alcuni il PM sarebbe stato una “vittima” del Colonnello Auricchio (a fondamento della tesi si adduce il dato di comune esperienza per cui i PM spesso aderiscono alle conclusioni della Polizia Giudiziaria cui hanno delegato in tutto o in parte il compimento delle attività investigative), secondo altri il PM era a conoscenza delle intercettazioni in questione, ma non le avrebbe considerate rilevanti sotto alcun profilo.
A favore della prima tesi militano le stesse dichiarazioni del dott. Narducci (quel “piaccia o non piaccia” pare in effetti essere stato pronunciato in maniera un po’ troppo affrettata), a favore della seconda tesi militano invece le dichiarazioni di “fonti interne” (sic!) della Procura di Napoli, che. a proposito delle “nuove” intercettazioni, hanno parlato di “disinformazione allo stato puro” (abbiamo a suo tempo affrontato l’argomento qui).
Non intendiamo entrare nella disputa, ma, data la rilevanza della questione, riteniamo che chiunque sia interessato agli esiti del processo di Napoli (e non per il fatto di essere tifoso della Juventus, ma per il fatto di essere cittadino attento a come la Giustizia viene amministrata nel nostro Paese) abbia il diritto (e forse anche il dovere) di chiedere al dott. Narducci (e non alle “fonti interne della Procura”) di fornire in prima persona una risposta alle seguenti domande:
1. perché, in merito alle intercettazioni di dirigenti di società sportive diversi dagli imputati, fu da Lei pronunciata la famosa frase del “piaccia o non piaccia”?
2. quando la frase suddetta fu pronunciata, Lei era già a conoscenza dell’esistenza delle intercettazioni “scoperte” dalla difesa di Luciano Moggi?
3. nel caso in cui Lei fosse stato già a conoscenza delle intercettazioni “scoperte” dalla difesa di Luciano Moggi, per quale motivo esse non sono state preventivamente valutate dalla Procura ai sensi dell’art. 358 del codice di procedura penale, quali “fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”?
4. nel caso invece in cui Lei non fosse stato già a conoscenza delle intercettazioni “scoperte” dalla difesa di Luciano Moggi, può confermare che furono a suo tempo espressamente richieste alla Polizia Giudiziaria (cui fu delegata dalla Procura l’attività investigativa) informazioni relative all’eventuale esistenza di intercettazioni riguardanti dirigenti di società sportive diversi dagli imputati?
Attendiamo fiduciosi le Sue risposte, dott. Narducci, consapevoli che in altre occasioni Lei ha mostrato lodevole disponibilità nel conferire con i mezzi di comunicazione riguardo al procedimento penale in corso di svolgimento.
La nostra testata (che, sia chiaro, nulla ha da invidiare a “L’Espresso” o a “La Repubblica” o a “Sky Sport 24”) sarebbe ben lieta di ospitare le sue pregiate risposte.
PS: sempre a proposito del dott. Narducci, il lettore avrà notato che, volendo circoscrivere le nostre osservazioni a un piano eminentemente tecnico, abbiamo evitato, nell’articolo che precede, riferimenti all’episodio della recente presentazione di un libro da parte del PM alla presenza del Colonnello Auricchio e del Presidente dell’Inter Moratti (ossia il presunto danneggiato vittima della“disinformazione allo stato puro”, secondo le “fonti interne” della Procura, nonché prossimo testimone della difesa al processo di Napoli), con cui tanto Auricchio quanto il dott. Narducci si sono intrattenuti a margine della suddetta presentazione.
Senza esprimere alcun giudizio sul caso di specie, la nostra opinione, per quello che conta, è che simili comportamenti rilevino, più che sul piano giudiziario, su quello del cosiddetto comportamento pubblico.
Ciò detto, ognuno di noi ha il diritto di valutare la correttezza di certe condotte pubbliche.
Quattro domande al dott. Narducci
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