Il 16 gennaio Mastella alla Camera dei Deputati si dimette pronunciando, tra le altre, queste parole: "Mi dimetto riaprendo la questione delle intercettazioni a volte manipolate, a volte estrapolate ad arte assai spesso divulgate senza alcun riguardo per la riservatezza dei cittadini".
Sono dichiarazioni gravissime, il Ministro della Giustizia parla
Sono dichiarazioni gravissime, il Ministro della Giustizia parla
di intercettazioni manipolate, estrapolate ad arte e dell'irrisolto problema della fuga di notizie.
Il 18 gennaio una fonte autorevole come l'ex Presidente della Repubblica Cossiga dichiara ad Andrea Cangini, per il Quotidiano Nazionale:
Cangini: Si spiegano così le intercettazioni?
Cossiga: Naturale. Vede, quella legale è la parte minore delle intercettazioni. Succede infatti che, avendo noi commesso il grave errore di fare le sezioni di polizia giudiziaria, che ormai non obbediscono più ai propri superiori, i magistrati chiamano il funzionario di turno e gli dicono: ‘Lei intercetti Tizio e metta da parte i nastri. Se c’è qualcosa di utile per la mia inchiesta, ho già lasciato lo spazio in bianco negli atti. In caso contrario, conserviamo le registrazioni perché possono sempre servire'.
Il sistema denunciato da Cossiga, politico che ben conosce certe cose, è di una gravità inaudita!
Questa è la verità di Cossiga un autorevole politico che è stato Presidente della Repubblica, più volte Ministro dell'Interno ed ha ricoperto molteplici ruoli istituzionali. Un politico, quindi, che ha avuto modo di conoscere le cose dall'interno.
Non ci risultano rettifiche dello stesso ne richiesta di rettifica, o atti, della parte chiamata in causa dall'ex Presidente.
Allora, da cittadini, vogliamo capire come funziona questa giustizia. Vorremmo una parola chiara che smentisca lo scenario inquietante presentatoci da Cossiga. Vorremmo altri riscontri su quanto abbiamo appreso sia possibile fare, come "lasciare dello spazio in bianco negli atti".
La memoria, allora, torna indietro ad una notizia contenuta in un articolo di Repubblica del 15 giugno 2006, una notizia sulla quale si è fatta pochissima attenzione e che se vera sarebbe uno scandalo. Nell'articolo "La fuga di notizie "dolosa" che ha affossato l'inchiesta", i giornalisti Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo scrissero:
"A questo servivano anche gli arresti. Sarebbero stati domiciliari. Senza possibilità di comunicare con l'esterno. L'accusa voleva isolare Moggi, Pairetto e Bergamo dal loro ambiente. Da pressioni, complicità, magari ricatti. I pm falliscono. E tuttavia il peggio deve ancora affacciarsi.
Giorno dopo giorno, in tranche, in parziali segmenti, in intercettazioni singole, in sequenza temporale, il materiale raccolto nelle indagini si sversa in pubblico con la potenza del getto di un geyser. Vengono pubblicate anche intercettazioni mai trascritte e colloqui mutilati o manipolati per sottrazione. Conversazioni scherzose, e per questa ragione eliminate dai pubblici ministeri, sono offerte come "prove che inchiodano" (è il caso della conversazione tra Lorenzo Toffolini, team manager dell'Udinese e Leonardo Meani, delegato per gli arbitri del Milan).
Addirittura, appare un atto di indagine che non risulta agli atti. Il contenuto è soltanto verosimile, riguarda il rapporto tra il Milan e gli arbitri. Il numero di protocollo è un falso (Borrelli è venuto a capo del trucco, appena l'altro giorno). E' un modus operandi che abbiamo già visto in azione nell'estate del 2005, quando intercettazioni ancora non agli atti dell'inchiesta di Milano e neppure mai trascritte (colloquio Consorte-Fassino) sono offerte ai giornali."
Oggi, apprese le parole di Cossiga, ci piacerebbe sapere qualcosa di più anche su quanto asserito dai due giornalisti di Repubblica su quell'atto falso scoperto da Borrelli.
Come ci piacerebbe avere qualche informazione su come procedono le indagini per la fuga di notizie (atti veri ed anche falsi come quello scoperto da Borrelli?) che hanno portato allo scoppio di Calciopoli. Nello stesso articolo di Repubblica Bonini e D'Avanzo scrissero:
"La novità è che a Napoli, l'ufficio del pubblico ministero individua il luogo e le persone che, uniche, hanno potuto violare il segreto. I nomi sono ora, nero su bianco, negli atti trasmessi alla Procura di Roma. C'è un'accusa grave in queste carte. La fuga di notizie, sostengono a Napoli, è stata così imponente e distruttiva che deve essere stata "autorizzata dal comando del Nucleo Provinciale dei carabinieri di Roma e da alti ufficiali dell'Arma da cui gerarchicamente dipende quella struttura.
Soltanto qualche falso ingenuo oggi può credere che la fuga di notizie sia un lavoretto storto che si consuma tra pubblici ministeri e cronisti. Si scorge un'altra realtà, più raffinata. Aree infedeli delle istituzioni utilizzano la fuga di notizie per mutilare il lavoro dei pubblici ministeri confidando nell'ansiosa competizione dei media. L'eterogenesi dei fini fa il resto. Ne sortisce un "vietnam" politico-giudiziario-informativo in cui ognuno ci mette del suo per colpire sotto la cintola l'avversario".
Ricordiamo che le intercettazioni furono pubblicate, per primo, da "Il Romanista", mentre l'Espresso (stesso gruppo editoriale di Repubblica) pubblicò il "Libro nero del calcio" con tutte le intercettazioni e tutti i giornali le pubblicarono prima che queste fossero a conoscenza degli interessati e dei loro avvocati.
Gli avvocati Giuseppe Fonisto (difensore del designatore Gennaro Mazzei e del guardalinee Duccio Baglioni) e Giacomo Mungiello (difensore dell’arbitro Salvatore Racalbuto) andarono dai pm Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice, portando con loro copia dell’estratto delle informative dei carabinieri pubblicato dall’Espresso: «La procedura va rispettata, non è giusto che per apprendere qualcosa sui nostri assistiti si debba andare in edicola».
Allora si dette in pasto all’opinione pubblica un cocktail processual-giornalistico con ipotesi investigative miscelate ad intercettazioni.
Quando questa pratica, che nulla ha a che fare con il diritto ad informare dei giornali, riguarda i politici, la "casta" si indigna e rilascia fiumi di dichiarazioni garantiste. Giusto essere garanisti ma per essere credibili agli occhi della gente avrebbero dovuto svegliarsi quando nell'estate 2006 si è fatto scempio del calcio e della dignità delle persone, innocenti fino a prova contraria.
Assistettero muti, o in molti casi plaudenti, a pesantissime violazioni dei diritti fondamentali di ogni individuo e del diritto di difesa. Politici che allora ragionarono in base alla convenienza della propria fede sportiva.
Si scoprirà mai in questo paese di chi è la manina che passa gli atti ancora coperti da segreto istruttorio alla stampa? Davide Giacalone, giornalista "dossierato" dal "tonno team", è perentorio nel suo pessimismo al riguardo. A parte la variante sulla casa da cui furono fatte uscire le intercettazioni nel caso "calciopoli", il suo articolo lo sottoscriviamo in toto:
Le notizie non fuggono
A Roma i carabinieri hanno reso visita, non proprio di cortesia, all’agenzia di stampa Apcom, da dove era stata diramata la notizia degli arresti disposti dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, naturalmente assai prima che fossero eseguiti. A Palermo la procura indaga due giornalisti, de La Repubblica, accusandoli di avere favorito la mafia con la pubblicazione di articoli dove si riportava il contenuto di materiale sequestrato dalla magistratura. In tutte e due i casi, come in tanti altri, da una parte s’invoca la libertà di stampa e dall’altra s’intende far luce sulla fuga di notizie. Allora, chiudiamo subito questa seconda questione: le notizie non fuggono, sono diffuse dalle procure. La ragione per cui i magistrati non “trovano” mai il responsabile sta nel fatto che è un loro collega. Punto e a capo.
Non mi convinve, però, l’invocazione della libertà. Non mi convince perché la libertà di diffondere informazioni giudiziarie non dovrebbe esistere, o dovrebbe essere fortemente limitata. Pubblicando le carte di un’inchiesta giudiziaria, come a tonnellate se ne sono stampate in Italia, non si “informano” i lettori, ma si agisce da velinari delle procure e si danneggiano in modo irreversibile cittadini che non potranno mai essere risarciti del loro diritto calpestato.
Da anni si è sostituita la giustizia con la pubblicazione dell’accusa. Il giudizio è emesso all’inizio, al punto che, con rara inciviltà, gente come Borrelli e Maddalena hanno potuto sostenere che il processo in aula era da considerarsi un dettaglio. In questo modo capita che il marasma informativo può divenire un effettivo elemento di vantaggio per i colpevoli, mentre è un’ingiusta ed intollerabile gogna per gli innocenti. Ancora oggi delle maestre d’asilo pagano la propria difesa da un’accusa fin qui dimostratasi infondata, non solo impoverendosi, ma dovendo risalire l’ondata di melma che su di loro si è abbattuta a causa dello sfruttamento mediatico del loro caso. Fu diritto di cronaca? Fu libertà dell’informazione? No, fu barbarie. Inoltre, i giornalisti non facciano le finte mammole. Sanno benissimo che pubblicare delle intercettazioni telefoniche scegliendo i brani e mettendo l’accento su questo o quel passaggio significa usare quelle carte per rappresentare realtà di comodo. No, non complotti, ma semplicemente la preparazione di piatti che siano più appetibili, più commercialmente attraenti, più utili a vendere. Chi, all’opposto, a questo costume s’oppone (e qui lo si è fatto in tutti i casi e sempre, anche quando gli oggetti erano indifendibili) è bollato di “garantismo”. Altro equivoco dell’incultura: senza le garanzie non esiste giustizia, non esiste processo, non esiste giudizio.
Sarebbe bello non dovere sempre e solo proibire, ma anche affidarsi alla deontologia professionale ed al senso del diritto. In difetto, però, non si può lasciare che il malcostume sia considerato la normalità.
Davide Giacalone
Dopo l'articolo di Giacalone, sempre in tema di giustizia e fuga di notizie dalle procure, di materiale probatorio coperto da segreto istruttorio che poi viene pubblicato molto spesso in anteprima su L'Espresso, La Repubblica o sui giornali RCS, riportiamo le parole pronunciate in una recente requisitoria davanti al CSM dal Dottor Vito D'Ambrosio: "Il mestiere del magistrato deve avere come fine il controllo della legalità. Il magistrato non è un missionario. Il magistrato è soggetto a tutte le leggi, comprese quelle che che gli sembrano sbagliate. Il magistrato ha poteri immensi, a partire da quello enorme di decidere della libertà del cittadino. Il magistrato deve esercitare questa sua funzione in modo tranquillo, affinchè la società si senta rassicurata. Luigi De Magistris ha un modo distorto ed errato di interpretare il suo ruolo e la sua figura non corrisponde al modello di giudice designato dalla Costituzione. Tale atteggiamento rappresenta un pericolo per la Democrazia ordinaria. De Magistris adotta provvedimenti e comportamenti al di fuori delle previsioni del codice. Ha rapporti anomali con i mezzi d'informazione. Fa appello alle piazze. Usa la stampa per farsi pubblicità".
Il CSM ha accolto queste richieste, ristabilendo il rispetto delle regole democratiche in Italia. Gli artt.15-111 della Carta Costituzionale non sono mere clausole di stile. E' stato ristabilito il principio che i processi e soprattutto le indagini si devono svolgere in SILENZIO, senza deroga alcuna.
La libertà di informazione e il diritto dei cittadini ad essere informati, del resto, è sancito nello stesso codice di procedura penale. Infatti, il dibattimento è pubblico: dialettica processuale dove si ricostruisce il fatto attraverso il principio di parità fra accusa e difesa.
Ciò che spesso avviene ultimamente ci ricorda, invece, il clima medievale di caccia alle streghe.
Anche per Calciopoli abbiamo assistito a pm che rilasciano interviste esclusive all’Espresso, a La Repubblica e alla Gazzetta, interviste al TG3, che rilasciano critiche sull’operato dei colleghi della giustizia sportiva, abbiamo letto le intercettazioni sui giornali prima degli interessati, abbiamo visto celebrare i processi nelle trasmissioni sportive, abbiamo udito intercettazioni “interpretate” da doppiatori, le abbiamo lette sminuzzate e tagliate ad uso di chi aveva una tesi da avvalorare. Questa è barbarie non è giustizia, non è informazione.
Crediamo in un’altra giustizia e in un’altra informazione. Abbiamo il diritto di averle.
Il 18 gennaio una fonte autorevole come l'ex Presidente della Repubblica Cossiga dichiara ad Andrea Cangini, per il Quotidiano Nazionale:
Cangini: Si spiegano così le intercettazioni?
Cossiga: Naturale. Vede, quella legale è la parte minore delle intercettazioni. Succede infatti che, avendo noi commesso il grave errore di fare le sezioni di polizia giudiziaria, che ormai non obbediscono più ai propri superiori, i magistrati chiamano il funzionario di turno e gli dicono: ‘Lei intercetti Tizio e metta da parte i nastri. Se c’è qualcosa di utile per la mia inchiesta, ho già lasciato lo spazio in bianco negli atti. In caso contrario, conserviamo le registrazioni perché possono sempre servire'.
Il sistema denunciato da Cossiga, politico che ben conosce certe cose, è di una gravità inaudita!
Questa è la verità di Cossiga un autorevole politico che è stato Presidente della Repubblica, più volte Ministro dell'Interno ed ha ricoperto molteplici ruoli istituzionali. Un politico, quindi, che ha avuto modo di conoscere le cose dall'interno.
Non ci risultano rettifiche dello stesso ne richiesta di rettifica, o atti, della parte chiamata in causa dall'ex Presidente.
Allora, da cittadini, vogliamo capire come funziona questa giustizia. Vorremmo una parola chiara che smentisca lo scenario inquietante presentatoci da Cossiga. Vorremmo altri riscontri su quanto abbiamo appreso sia possibile fare, come "lasciare dello spazio in bianco negli atti".
La memoria, allora, torna indietro ad una notizia contenuta in un articolo di Repubblica del 15 giugno 2006, una notizia sulla quale si è fatta pochissima attenzione e che se vera sarebbe uno scandalo. Nell'articolo "La fuga di notizie "dolosa" che ha affossato l'inchiesta", i giornalisti Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo scrissero:
"A questo servivano anche gli arresti. Sarebbero stati domiciliari. Senza possibilità di comunicare con l'esterno. L'accusa voleva isolare Moggi, Pairetto e Bergamo dal loro ambiente. Da pressioni, complicità, magari ricatti. I pm falliscono. E tuttavia il peggio deve ancora affacciarsi.
Giorno dopo giorno, in tranche, in parziali segmenti, in intercettazioni singole, in sequenza temporale, il materiale raccolto nelle indagini si sversa in pubblico con la potenza del getto di un geyser. Vengono pubblicate anche intercettazioni mai trascritte e colloqui mutilati o manipolati per sottrazione. Conversazioni scherzose, e per questa ragione eliminate dai pubblici ministeri, sono offerte come "prove che inchiodano" (è il caso della conversazione tra Lorenzo Toffolini, team manager dell'Udinese e Leonardo Meani, delegato per gli arbitri del Milan).
Addirittura, appare un atto di indagine che non risulta agli atti. Il contenuto è soltanto verosimile, riguarda il rapporto tra il Milan e gli arbitri. Il numero di protocollo è un falso (Borrelli è venuto a capo del trucco, appena l'altro giorno). E' un modus operandi che abbiamo già visto in azione nell'estate del 2005, quando intercettazioni ancora non agli atti dell'inchiesta di Milano e neppure mai trascritte (colloquio Consorte-Fassino) sono offerte ai giornali."
Oggi, apprese le parole di Cossiga, ci piacerebbe sapere qualcosa di più anche su quanto asserito dai due giornalisti di Repubblica su quell'atto falso scoperto da Borrelli.
Come ci piacerebbe avere qualche informazione su come procedono le indagini per la fuga di notizie (atti veri ed anche falsi come quello scoperto da Borrelli?) che hanno portato allo scoppio di Calciopoli. Nello stesso articolo di Repubblica Bonini e D'Avanzo scrissero:
"La novità è che a Napoli, l'ufficio del pubblico ministero individua il luogo e le persone che, uniche, hanno potuto violare il segreto. I nomi sono ora, nero su bianco, negli atti trasmessi alla Procura di Roma. C'è un'accusa grave in queste carte. La fuga di notizie, sostengono a Napoli, è stata così imponente e distruttiva che deve essere stata "autorizzata dal comando del Nucleo Provinciale dei carabinieri di Roma e da alti ufficiali dell'Arma da cui gerarchicamente dipende quella struttura.
Soltanto qualche falso ingenuo oggi può credere che la fuga di notizie sia un lavoretto storto che si consuma tra pubblici ministeri e cronisti. Si scorge un'altra realtà, più raffinata. Aree infedeli delle istituzioni utilizzano la fuga di notizie per mutilare il lavoro dei pubblici ministeri confidando nell'ansiosa competizione dei media. L'eterogenesi dei fini fa il resto. Ne sortisce un "vietnam" politico-giudiziario-informativo in cui ognuno ci mette del suo per colpire sotto la cintola l'avversario".
Ricordiamo che le intercettazioni furono pubblicate, per primo, da "Il Romanista", mentre l'Espresso (stesso gruppo editoriale di Repubblica) pubblicò il "Libro nero del calcio" con tutte le intercettazioni e tutti i giornali le pubblicarono prima che queste fossero a conoscenza degli interessati e dei loro avvocati.
Gli avvocati Giuseppe Fonisto (difensore del designatore Gennaro Mazzei e del guardalinee Duccio Baglioni) e Giacomo Mungiello (difensore dell’arbitro Salvatore Racalbuto) andarono dai pm Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice, portando con loro copia dell’estratto delle informative dei carabinieri pubblicato dall’Espresso: «La procedura va rispettata, non è giusto che per apprendere qualcosa sui nostri assistiti si debba andare in edicola».
Allora si dette in pasto all’opinione pubblica un cocktail processual-giornalistico con ipotesi investigative miscelate ad intercettazioni.
Quando questa pratica, che nulla ha a che fare con il diritto ad informare dei giornali, riguarda i politici, la "casta" si indigna e rilascia fiumi di dichiarazioni garantiste. Giusto essere garanisti ma per essere credibili agli occhi della gente avrebbero dovuto svegliarsi quando nell'estate 2006 si è fatto scempio del calcio e della dignità delle persone, innocenti fino a prova contraria.
Assistettero muti, o in molti casi plaudenti, a pesantissime violazioni dei diritti fondamentali di ogni individuo e del diritto di difesa. Politici che allora ragionarono in base alla convenienza della propria fede sportiva.
Si scoprirà mai in questo paese di chi è la manina che passa gli atti ancora coperti da segreto istruttorio alla stampa? Davide Giacalone, giornalista "dossierato" dal "tonno team", è perentorio nel suo pessimismo al riguardo. A parte la variante sulla casa da cui furono fatte uscire le intercettazioni nel caso "calciopoli", il suo articolo lo sottoscriviamo in toto:
Le notizie non fuggono
A Roma i carabinieri hanno reso visita, non proprio di cortesia, all’agenzia di stampa Apcom, da dove era stata diramata la notizia degli arresti disposti dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, naturalmente assai prima che fossero eseguiti. A Palermo la procura indaga due giornalisti, de La Repubblica, accusandoli di avere favorito la mafia con la pubblicazione di articoli dove si riportava il contenuto di materiale sequestrato dalla magistratura. In tutte e due i casi, come in tanti altri, da una parte s’invoca la libertà di stampa e dall’altra s’intende far luce sulla fuga di notizie. Allora, chiudiamo subito questa seconda questione: le notizie non fuggono, sono diffuse dalle procure. La ragione per cui i magistrati non “trovano” mai il responsabile sta nel fatto che è un loro collega. Punto e a capo.
Non mi convinve, però, l’invocazione della libertà. Non mi convince perché la libertà di diffondere informazioni giudiziarie non dovrebbe esistere, o dovrebbe essere fortemente limitata. Pubblicando le carte di un’inchiesta giudiziaria, come a tonnellate se ne sono stampate in Italia, non si “informano” i lettori, ma si agisce da velinari delle procure e si danneggiano in modo irreversibile cittadini che non potranno mai essere risarciti del loro diritto calpestato.
Da anni si è sostituita la giustizia con la pubblicazione dell’accusa. Il giudizio è emesso all’inizio, al punto che, con rara inciviltà, gente come Borrelli e Maddalena hanno potuto sostenere che il processo in aula era da considerarsi un dettaglio. In questo modo capita che il marasma informativo può divenire un effettivo elemento di vantaggio per i colpevoli, mentre è un’ingiusta ed intollerabile gogna per gli innocenti. Ancora oggi delle maestre d’asilo pagano la propria difesa da un’accusa fin qui dimostratasi infondata, non solo impoverendosi, ma dovendo risalire l’ondata di melma che su di loro si è abbattuta a causa dello sfruttamento mediatico del loro caso. Fu diritto di cronaca? Fu libertà dell’informazione? No, fu barbarie. Inoltre, i giornalisti non facciano le finte mammole. Sanno benissimo che pubblicare delle intercettazioni telefoniche scegliendo i brani e mettendo l’accento su questo o quel passaggio significa usare quelle carte per rappresentare realtà di comodo. No, non complotti, ma semplicemente la preparazione di piatti che siano più appetibili, più commercialmente attraenti, più utili a vendere. Chi, all’opposto, a questo costume s’oppone (e qui lo si è fatto in tutti i casi e sempre, anche quando gli oggetti erano indifendibili) è bollato di “garantismo”. Altro equivoco dell’incultura: senza le garanzie non esiste giustizia, non esiste processo, non esiste giudizio.
Sarebbe bello non dovere sempre e solo proibire, ma anche affidarsi alla deontologia professionale ed al senso del diritto. In difetto, però, non si può lasciare che il malcostume sia considerato la normalità.
Davide Giacalone
Dopo l'articolo di Giacalone, sempre in tema di giustizia e fuga di notizie dalle procure, di materiale probatorio coperto da segreto istruttorio che poi viene pubblicato molto spesso in anteprima su L'Espresso, La Repubblica o sui giornali RCS, riportiamo le parole pronunciate in una recente requisitoria davanti al CSM dal Dottor Vito D'Ambrosio: "Il mestiere del magistrato deve avere come fine il controllo della legalità. Il magistrato non è un missionario. Il magistrato è soggetto a tutte le leggi, comprese quelle che che gli sembrano sbagliate. Il magistrato ha poteri immensi, a partire da quello enorme di decidere della libertà del cittadino. Il magistrato deve esercitare questa sua funzione in modo tranquillo, affinchè la società si senta rassicurata. Luigi De Magistris ha un modo distorto ed errato di interpretare il suo ruolo e la sua figura non corrisponde al modello di giudice designato dalla Costituzione. Tale atteggiamento rappresenta un pericolo per la Democrazia ordinaria. De Magistris adotta provvedimenti e comportamenti al di fuori delle previsioni del codice. Ha rapporti anomali con i mezzi d'informazione. Fa appello alle piazze. Usa la stampa per farsi pubblicità".
Il CSM ha accolto queste richieste, ristabilendo il rispetto delle regole democratiche in Italia. Gli artt.15-111 della Carta Costituzionale non sono mere clausole di stile. E' stato ristabilito il principio che i processi e soprattutto le indagini si devono svolgere in SILENZIO, senza deroga alcuna.
La libertà di informazione e il diritto dei cittadini ad essere informati, del resto, è sancito nello stesso codice di procedura penale. Infatti, il dibattimento è pubblico: dialettica processuale dove si ricostruisce il fatto attraverso il principio di parità fra accusa e difesa.
Ciò che spesso avviene ultimamente ci ricorda, invece, il clima medievale di caccia alle streghe.
Anche per Calciopoli abbiamo assistito a pm che rilasciano interviste esclusive all’Espresso, a La Repubblica e alla Gazzetta, interviste al TG3, che rilasciano critiche sull’operato dei colleghi della giustizia sportiva, abbiamo letto le intercettazioni sui giornali prima degli interessati, abbiamo visto celebrare i processi nelle trasmissioni sportive, abbiamo udito intercettazioni “interpretate” da doppiatori, le abbiamo lette sminuzzate e tagliate ad uso di chi aveva una tesi da avvalorare. Questa è barbarie non è giustizia, non è informazione.
Crediamo in un’altra giustizia e in un’altra informazione. Abbiamo il diritto di averle.