Lo avevamo lasciato chiuso nel suo stanzino.
Perché lo spogliatoio dell'arbitro, anche dovesse misurare cento metri quadri, viene detto stanzino per una antica convenzione giornalistica.
Così come avviene per i pali delle porte, sempre perfettamente lisci. E non perché ogni settimana la palla fa loro la barba.
Nel caso dello stanzino però è innegabile il fascino evocativo di uno spazio risicato, dentro il quale una giacchetta nera (sveglia, non portano più la giacca da un pezzo e sono più colorati delle Veline!) viene costretta a forza da mano carceriera e lì tenuta, magari, legata e imbavagliata.
Una storia succosissima per i palati dei nostri cronisti, inviati (gratis) in tribuna centrale per meglio capire, vedere e riferire.
Diversamente come avremmo fatto infatti a sapere che di un regolamento di conti all'interno della Cupola si trattò e che il capo di essa in persona si abbassò ad infliggere la severa punizione al giudice di gara affiliato, reo probabilmente di insubordinazione grave?
Tanto potente quel Capo si doveva sentire, che si limitò a dare un semplice giro di chiave alla serratura dell'angusta cella, andandosene quindi via dal luogo del delitto, noncurante dei tanti testimoni lì presenti ed anzi più che certo che nessuno di essi avrebbe avuto l'ardire di farne parola oppure di dare un giro di chiave contrario.
Eppure qualcuno vi fu che liberò il prigioniero, il quale addirittura rimase ignaro della sua tristissima condizione, sequestrato per tutti gli altri … attardato sotto la doccia secondo il suo punto personalissimo di vista.
Purtroppo l'identità dell'eroico liberatore è rimasta ignota al pubblico.
E qui un doveroso plauso va rivolto alla tanto bistrattata categoria dei giornalisti, qui il cinismo non ha alla fine prevalso: l'incolumità dell'eroe prima di tutto, al riparo da qualsiasi pericolo di ritorsioni!
Per uno scherzo della cattiva sorte, però, uscito da quello stanzino l'inconsapevole sequestrato non è più riuscito a rientrarci.
Si arrovellerà pensando di essere stato capace, da sequestrato, di uscire da una porta chiusa a chiave dall'esterno ed ora non riesce, da liberato, ad entrare attraverso la stessa porta aperta.
In realtà il nostro amico si sente, questa volta, sequestrato all'esterno dello stanzino, ma lo sente soltanto lui e – ironia della sorte – tutti gli altri non se ne accorgono.
E' stato infatti ritenuto indegno di continuare ad arbitrare per la sua affiliazione al turpe sodalizio – non per l'inconsapevole prigionia patita, ovvio - e per lunghi mesi è dovuto rimanere fuori da quello stanzino, finché la speranza si è riaccesa, quando un giudice della Repubblica aveva accolto le sue suppliche: “Innocente come un bimbo, torni dove desidera!”.
Ma la porta dello stanzino resta chiusa.
Il mondo del calcio ha le sue regole. Di cartone, ma inflessibili: quei lunghi mesi senza arbitrare lo hanno presumibilmente arrugginito e ha perso quindi la sua idoneità professionale.
Il ragionamento non fa una grinza, non foss'altro che il ragionamento non è mica una manica di camicia.
Morale della favola.
Cosa ci rimane se il mondo del calcio non rispetta neppure le sentenze pronunciate, in nome del popolo italiano, dalla giustizia dello Stato?
Solo il Papa resta.
Cosa ci rimane?
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