Probabilmente "Dalli al pluriscagionato" sarebbe stato un titolo più adatto a questa specie di elogio del linciaggio pubblicato per la prima volta nel 1998 dalle edizioni Kaos a firma di "Ala sinistra – Mezzala destra" (d'ora in poi Alaemmezza).
Infatti, per gettare fango sul più grande manager calcistico degli ultimi 30 anni, Alaemmezza, oltre a ridursi a spacciare per verbo rivelato un numero impressionante di pettegolezzi, malignità e recriminazioni infantili di avversari sportivi, ripercorre un po' tutte le inchieste della magistratura nel mondo del calcio, dallo scandalo Scommesse del 1980 a Farsopoli, con la fissa morbosa di insinuare la colpevolezza di Luciano Moggi in tutte quante, e cioè sia in quelle – la maggior parte - che manco lo lambirono, sia in quelle nelle quali venne sì indagato, ma mai condannato.
Siccome Lucianone, attivo nel calcio ad alti livelli fin dagli anni '70, ebbe i primi problemi giudiziari solo attorno alla metà dei '90, e solo a causa delle disavventure di Borsano per Tangentopoli, il bulimico Alaemmezza s’ingegna a fantasticare, retrospettivamente, su oscure colpe risalenti fin dai tempi del Calcio scommesse '80. "Strano che Moggi non ne sapesse niente", si legge infatti nel capitolo "Lucianone cieco e sordo". "Anche perché nessuno lo ha interrogato", si aggiunge con un po’ di bavetta alla bocca.
Se il metodo è questo, il Napoli di Maradona dove lo lasciamo? Vuoi che non abbia combinato nulla di male? Così, se nel '95 la procura di Napoli apre un’inchiesta sul fuoriclasse argentino e il suo noto vizietto (tra l’altro finita a colpi di assoluzione), scatta subito un ovvio "Possibile che non ne sapesse nulla?" (capitolo "La piedi grotta di Lucianone"). E dato che dichiarazioni di camorristi insinuano il dolo nella sconfitta del Napoli nel campionato '87-'88 vinto dal Milan, non può mancare l’allusione al non indagato Lucianone che si vende lo scudetto. Che l’inchiesta alla fine sia stata archiviata, poi, è al solito un fastidioso dettaglio.
Considerato che per Alaemmezza, quando Moggi non compare in un atto d'indagine, scatta in automatico l’illazione, figuriamoci quando indagato lo viene davvero. Ed è ciò che finalmente accadde in seguito alla sventurata idea di andare a lavorare per il Torino amministrato da un imprenditore legato a Craxi. E proprio l’anno prima dello scoppio di Tangentopoli.
Per gli anni al servizio di Borsano veniamo così a sapere che Moggi venne indagato per 5 ipotesi di reato. Le archiviazioni furono 3: "Sfruttamento della prostituzione" e "Frode sportiva" per la chiacchierata vicenda delle prostitute agli arbitri; "frode fiscale" per la fatturazione di "acquisti fantasma" (che però, si intuisce, vennero emesse allo scopo di evitare di fare del nero a causa di cervellotiche regole federali sulla comproprietà dei giocatori!). Una quarta accusa, "Falso ideologico", e sempre per gli "acquisti fantasma", finì col non luogo a procedere nel '94, previa una multa di 300.000 lire. Solo per la quinta, "frode fiscale", per la gioia di Mezzala e il giubilo di Ala, venne almeno rinviato a giudizio assieme a Borsano. Ma il divertimento finisce ancor prima di cominciare, perché la questione venne sbrigata con un patteggiamento di 5.250.000 lire.
Salta così facilmente agli occhi che le lievi multe (5.550.000 lire in tutto) che Moggi finì per pagare per quegli anni riguardano irregolarità contabili attribuibili alla disgraziata gestione nella quale si trovò a operare, e non certo frodi sportive.
Sulla questione prostitute, sinceramente, dei dubbi restano, Anzi, stando ad alcune testimonianze fotocopiate dalle carte della procura, sembrerebbe che in almeno un caso un arbitro internazionale abbia fatto il galletto. Ma che la cosa sia stata organizzata e voluta da Moggi a fini di frode sportiva è una pura – ennesima - illazione, e non si capisce perché la sua versione, secondo la quale si limitò a dare ai suoi collaboratori l’autorizzazione ad assumere interpreti per accogliere squadra ospite, delegazione Uefa e arbitri, debba essere quella falsa. Di certo, il parere di Alaemmezza sulla questione non è dei più imparziali. Inoltre, come si riporta a pag. 84: non era stato lo stesso Borsano a lamentarsi di Moggi perché "non compra gli arbitri"?
Tanto più che, guarda un po', il più grave scandalo sportivo che segnò quella stagione granata, e cioè l’affare Lentini, vide Lucianone del tutto estraneo, nemmeno indagato, sicché al nostro Alaemmezza non resta che ricorrere all’ormai classico: "Strano che non ne sapesse niente".
Dopo aver sbagliato con Borsano, purtroppo Lucianone ebbe la cattiva idea di perseverare: scelse di andare a lavorare per la Juve, e cioè la squadra più invidiata e diffamata d’Italia. Logica conseguenza ne è il fatto che il dodicennio Juventino, scandito fin dall'inizio da straordinari successi, lo vide ripetutamente impegnato a scagionarsi, sia in prima persona che a livello di società, da calunnie ispirate dall’insofferenza suscitata dalla bravura sua e dei suoi colleghi di club.
A titolo personale, nel periodo bianconero viene scagionato da 4 accuse: "favoreggiamento" per una querela di Marco Travaglio a Giraudo (assolto perché il fatto non sussiste); "frode sportiva" per un’inchiesta di Guariniello sui meccanismi di designazione del campionato dei piagnoni '97-'98 (archiviazione); "concorso in bancarotta fraudolenta" per l'indagine sul Como di Preziosi (archiviazione nel 2005); ancora "frode sportiva", ancora la procura di Torino (e ancora archiviazione nel luglio 2005).
Per Alaemmezza, ovvio, tutti errori giudiziari. Lo stesso vale per altri dirigenti bianconeri: Giraudo assolto nel '98 dall’accusa di aver diffamato Travaglio "perché il fatto non sussiste". Sempre nel '98, archiviata un’inchiesta sul rapporto tra società e ultras (capitolo "Lucianone ultrà"); altre 2 archiviazioni, a Torino e Firenze, per altrettante inchieste sul campionato dei piagnistei 97-98; ciliegina sulla torta, l'assoluzione in secondo grado per Giraudo e Agricola nel 2005 nel processo sul doping.
E’ proprio in questo impressionante elenco di inchieste giudiziarie sulla Juve, o meglio, nelle 4 assoluzioni e 6 archiviazioni a cui approdarono, che probabilmente abbiamo la spiegazione di come sia stata possibile la farsa del 2006: dato che a livello penale non si riusciva a trovare nulla che potesse scalfire l'invidiatissima Juve della Triade, l’esasperazione spinse qualcuno a imboccare la scorciatoia antigiuridica: atti d’indagine riservati diffusi alla stampa e via al vergognoso linciaggio che sappiamo.
A questo proposito, l'anno della prima pubblicazione di questo libraccio è significativo: il 1998, che col senno di poi possiamo considerare un numero chiave per le disgrazie bianconere. Preannunciato dalla morte dell'erede designato della dinastia proprietaria (13-12-97), fu l'anno in cui iniziò la persecuzione guarinielliana sul doping terminata nel 2007 con la definitiva non colpevolezza degli indagati; in cui i media trovarono, grazie allo schianto Ronaldo-Iuliano, la sequenza simbolo dell’antijuventinismo militante (ribadisco: la magistratura indagò 3 volte su quel campionato – due a Torino e una a Firenze - non ravvisandovi frode); e in cui se vogliamo, a livello sportivo, l'ennesima Champions League sfumò in finale per un gol in palese fuorigioco che un paese accecato dall'odio finse di non notare.
Oltre al fanatico accanimento à la Torquemada, l’operazione "Lucky Luciano" cela un altro aspetto, se possibile, ancora più ributtante: il razzismo sociale di fondo. Le umili origini di Moggi vengono ripetutamente sottolineate da Alaemmezza per dargli dell’ignorante, dello zotico, del poco di buono (vedi in particolare il capitolo "Lo chiamavano Paletta"). Ma come spesso accade, l'eccesso di zelo porta al grottesco, all’esilarante. Come quando si arriva a rinfacciargli non solo un tragico incidente stradale del '82, ma addirittura una multa per eccesso di velocità del 1977.
Più in generale, è grottesco il modo in cui si conferisce aura di verità assoluta a qualsiasi tipo di asserzione, purché sia anti-Moggi: le recriminazioni arbitrali di folkloristici presidenti anni ’80, come i mitici Anconetani del Pisa (capitolo "A cavallo del Toro") e Rozzi dell'Ascoli, prese come oro colato e usate a seconda dei casi (Rozzi che accusa Moggi ai tempi della Roma è attendibile - capitolo "Metti una sera a cena" -, non lo è più quando, ai tempi del Napoli di Maradona, gli diventa amico - pag. 61 -); le accuse mossegli dal procuratore Caliendo per screditare un concorrente (pag. 67), in cui si ravvisa in nuce il prototipo della testimonianza d’accusa al processo GEA ora in corso (se non altro grazie ad Alaemmezza riscopriamo che la GEA era stata dichiarata legittima dalla stessa commissione federale Figc nel dicembre 2002); le inchieste federali suscitate dalle cacce alle streghe di Cannavò (Gazzetta) e Sconcerti (Corriere dello Sport) che cavalcano i piagnistei del '97-'98 per far fuori il fastidioso Di Tommaso del concorrente Tuttosport (pagg 202-220); le accuse di un imprenditore (capitolo "Lucianone Ultrà") che era stato denunciato dalla Juve per appropriazione indebita; gli stessi guai giudiziari del Torino originati dal diario di un contabile licenziato da Borsano.
Insomma, non bisogna essere dei Zichichi per capire che Alaemmezza è interessato unicamente a crocifiggere uno che alla fine è passato attraverso 2 oblazioni, 3 assoluzioni, 9 archiviazioni. E cioè, in definitiva, numerose indagini e nessuna condanna.
Infatti, per gettare fango sul più grande manager calcistico degli ultimi 30 anni, Alaemmezza, oltre a ridursi a spacciare per verbo rivelato un numero impressionante di pettegolezzi, malignità e recriminazioni infantili di avversari sportivi, ripercorre un po' tutte le inchieste della magistratura nel mondo del calcio, dallo scandalo Scommesse del 1980 a Farsopoli, con la fissa morbosa di insinuare la colpevolezza di Luciano Moggi in tutte quante, e cioè sia in quelle – la maggior parte - che manco lo lambirono, sia in quelle nelle quali venne sì indagato, ma mai condannato.
Siccome Lucianone, attivo nel calcio ad alti livelli fin dagli anni '70, ebbe i primi problemi giudiziari solo attorno alla metà dei '90, e solo a causa delle disavventure di Borsano per Tangentopoli, il bulimico Alaemmezza s’ingegna a fantasticare, retrospettivamente, su oscure colpe risalenti fin dai tempi del Calcio scommesse '80. "Strano che Moggi non ne sapesse niente", si legge infatti nel capitolo "Lucianone cieco e sordo". "Anche perché nessuno lo ha interrogato", si aggiunge con un po’ di bavetta alla bocca.
Se il metodo è questo, il Napoli di Maradona dove lo lasciamo? Vuoi che non abbia combinato nulla di male? Così, se nel '95 la procura di Napoli apre un’inchiesta sul fuoriclasse argentino e il suo noto vizietto (tra l’altro finita a colpi di assoluzione), scatta subito un ovvio "Possibile che non ne sapesse nulla?" (capitolo "La piedi grotta di Lucianone"). E dato che dichiarazioni di camorristi insinuano il dolo nella sconfitta del Napoli nel campionato '87-'88 vinto dal Milan, non può mancare l’allusione al non indagato Lucianone che si vende lo scudetto. Che l’inchiesta alla fine sia stata archiviata, poi, è al solito un fastidioso dettaglio.
Considerato che per Alaemmezza, quando Moggi non compare in un atto d'indagine, scatta in automatico l’illazione, figuriamoci quando indagato lo viene davvero. Ed è ciò che finalmente accadde in seguito alla sventurata idea di andare a lavorare per il Torino amministrato da un imprenditore legato a Craxi. E proprio l’anno prima dello scoppio di Tangentopoli.
Per gli anni al servizio di Borsano veniamo così a sapere che Moggi venne indagato per 5 ipotesi di reato. Le archiviazioni furono 3: "Sfruttamento della prostituzione" e "Frode sportiva" per la chiacchierata vicenda delle prostitute agli arbitri; "frode fiscale" per la fatturazione di "acquisti fantasma" (che però, si intuisce, vennero emesse allo scopo di evitare di fare del nero a causa di cervellotiche regole federali sulla comproprietà dei giocatori!). Una quarta accusa, "Falso ideologico", e sempre per gli "acquisti fantasma", finì col non luogo a procedere nel '94, previa una multa di 300.000 lire. Solo per la quinta, "frode fiscale", per la gioia di Mezzala e il giubilo di Ala, venne almeno rinviato a giudizio assieme a Borsano. Ma il divertimento finisce ancor prima di cominciare, perché la questione venne sbrigata con un patteggiamento di 5.250.000 lire.
Salta così facilmente agli occhi che le lievi multe (5.550.000 lire in tutto) che Moggi finì per pagare per quegli anni riguardano irregolarità contabili attribuibili alla disgraziata gestione nella quale si trovò a operare, e non certo frodi sportive.
Sulla questione prostitute, sinceramente, dei dubbi restano, Anzi, stando ad alcune testimonianze fotocopiate dalle carte della procura, sembrerebbe che in almeno un caso un arbitro internazionale abbia fatto il galletto. Ma che la cosa sia stata organizzata e voluta da Moggi a fini di frode sportiva è una pura – ennesima - illazione, e non si capisce perché la sua versione, secondo la quale si limitò a dare ai suoi collaboratori l’autorizzazione ad assumere interpreti per accogliere squadra ospite, delegazione Uefa e arbitri, debba essere quella falsa. Di certo, il parere di Alaemmezza sulla questione non è dei più imparziali. Inoltre, come si riporta a pag. 84: non era stato lo stesso Borsano a lamentarsi di Moggi perché "non compra gli arbitri"?
Tanto più che, guarda un po', il più grave scandalo sportivo che segnò quella stagione granata, e cioè l’affare Lentini, vide Lucianone del tutto estraneo, nemmeno indagato, sicché al nostro Alaemmezza non resta che ricorrere all’ormai classico: "Strano che non ne sapesse niente".
Dopo aver sbagliato con Borsano, purtroppo Lucianone ebbe la cattiva idea di perseverare: scelse di andare a lavorare per la Juve, e cioè la squadra più invidiata e diffamata d’Italia. Logica conseguenza ne è il fatto che il dodicennio Juventino, scandito fin dall'inizio da straordinari successi, lo vide ripetutamente impegnato a scagionarsi, sia in prima persona che a livello di società, da calunnie ispirate dall’insofferenza suscitata dalla bravura sua e dei suoi colleghi di club.
A titolo personale, nel periodo bianconero viene scagionato da 4 accuse: "favoreggiamento" per una querela di Marco Travaglio a Giraudo (assolto perché il fatto non sussiste); "frode sportiva" per un’inchiesta di Guariniello sui meccanismi di designazione del campionato dei piagnoni '97-'98 (archiviazione); "concorso in bancarotta fraudolenta" per l'indagine sul Como di Preziosi (archiviazione nel 2005); ancora "frode sportiva", ancora la procura di Torino (e ancora archiviazione nel luglio 2005).
Per Alaemmezza, ovvio, tutti errori giudiziari. Lo stesso vale per altri dirigenti bianconeri: Giraudo assolto nel '98 dall’accusa di aver diffamato Travaglio "perché il fatto non sussiste". Sempre nel '98, archiviata un’inchiesta sul rapporto tra società e ultras (capitolo "Lucianone ultrà"); altre 2 archiviazioni, a Torino e Firenze, per altrettante inchieste sul campionato dei piagnistei 97-98; ciliegina sulla torta, l'assoluzione in secondo grado per Giraudo e Agricola nel 2005 nel processo sul doping.
E’ proprio in questo impressionante elenco di inchieste giudiziarie sulla Juve, o meglio, nelle 4 assoluzioni e 6 archiviazioni a cui approdarono, che probabilmente abbiamo la spiegazione di come sia stata possibile la farsa del 2006: dato che a livello penale non si riusciva a trovare nulla che potesse scalfire l'invidiatissima Juve della Triade, l’esasperazione spinse qualcuno a imboccare la scorciatoia antigiuridica: atti d’indagine riservati diffusi alla stampa e via al vergognoso linciaggio che sappiamo.
A questo proposito, l'anno della prima pubblicazione di questo libraccio è significativo: il 1998, che col senno di poi possiamo considerare un numero chiave per le disgrazie bianconere. Preannunciato dalla morte dell'erede designato della dinastia proprietaria (13-12-97), fu l'anno in cui iniziò la persecuzione guarinielliana sul doping terminata nel 2007 con la definitiva non colpevolezza degli indagati; in cui i media trovarono, grazie allo schianto Ronaldo-Iuliano, la sequenza simbolo dell’antijuventinismo militante (ribadisco: la magistratura indagò 3 volte su quel campionato – due a Torino e una a Firenze - non ravvisandovi frode); e in cui se vogliamo, a livello sportivo, l'ennesima Champions League sfumò in finale per un gol in palese fuorigioco che un paese accecato dall'odio finse di non notare.
Oltre al fanatico accanimento à la Torquemada, l’operazione "Lucky Luciano" cela un altro aspetto, se possibile, ancora più ributtante: il razzismo sociale di fondo. Le umili origini di Moggi vengono ripetutamente sottolineate da Alaemmezza per dargli dell’ignorante, dello zotico, del poco di buono (vedi in particolare il capitolo "Lo chiamavano Paletta"). Ma come spesso accade, l'eccesso di zelo porta al grottesco, all’esilarante. Come quando si arriva a rinfacciargli non solo un tragico incidente stradale del '82, ma addirittura una multa per eccesso di velocità del 1977.
Più in generale, è grottesco il modo in cui si conferisce aura di verità assoluta a qualsiasi tipo di asserzione, purché sia anti-Moggi: le recriminazioni arbitrali di folkloristici presidenti anni ’80, come i mitici Anconetani del Pisa (capitolo "A cavallo del Toro") e Rozzi dell'Ascoli, prese come oro colato e usate a seconda dei casi (Rozzi che accusa Moggi ai tempi della Roma è attendibile - capitolo "Metti una sera a cena" -, non lo è più quando, ai tempi del Napoli di Maradona, gli diventa amico - pag. 61 -); le accuse mossegli dal procuratore Caliendo per screditare un concorrente (pag. 67), in cui si ravvisa in nuce il prototipo della testimonianza d’accusa al processo GEA ora in corso (se non altro grazie ad Alaemmezza riscopriamo che la GEA era stata dichiarata legittima dalla stessa commissione federale Figc nel dicembre 2002); le inchieste federali suscitate dalle cacce alle streghe di Cannavò (Gazzetta) e Sconcerti (Corriere dello Sport) che cavalcano i piagnistei del '97-'98 per far fuori il fastidioso Di Tommaso del concorrente Tuttosport (pagg 202-220); le accuse di un imprenditore (capitolo "Lucianone Ultrà") che era stato denunciato dalla Juve per appropriazione indebita; gli stessi guai giudiziari del Torino originati dal diario di un contabile licenziato da Borsano.
Insomma, non bisogna essere dei Zichichi per capire che Alaemmezza è interessato unicamente a crocifiggere uno che alla fine è passato attraverso 2 oblazioni, 3 assoluzioni, 9 archiviazioni. E cioè, in definitiva, numerose indagini e nessuna condanna.
Io non so se questi numeri, per quanto eloquenti, siano sufficienti a sancirne per contro l'onestà, concetto per altro deteriorato dall'abuso che certi sepolcri imbiancati del calcio ne hanno fatto. Di certo, sancisce la ferocia con cui è stato preso di mira.
In tal senso, il capitolo finale, aggiunto nell'edizione pubblicata con sbalorditivo tempismo in piena Farsopoli (giugno 2006), si chiude in modo fin troppo rivelatore: "La volpe è finita in pellicceria".
Sarà.
Ma a me pare che il pellicciaio venda merce contraffatta.
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