Il libro di Andrea Pirlo, "Penso quindi gioco", è molto divertente, pieno di aneddoti simpatici. Nel suo excursus narrativo, inoltre, il numero 21 bianconero affronta gli argomenti più disparati, e lo fa prendendo sempre una posizione netta, precisa; idee molto chiare espresse in maniera diretta e senza giri di parole, discorsi ben lontani dalle dichiarazioni in fotocopia post-partita, in cui il calciatore più sfacciato assicura che la terra è rotonda ma schiacciata ai poli.
Razzismo, doping, calciomercato, violenza negli stadi, Agnelli, Conte, Berlusconi, Gattuso, Nesta, De Rossi, Matri; Pirlo ne ha per tutti, il libro è davvero godibile. Solo non lo consiglio ai fans di Adriano Galliani. Al nazionale bresciano non è andato giù (eufemismo) il trattamento ricevuto dal dirigente rossonero alla fine della sua avventura a Milanello. Dalla prima all'ultima pagina (letteralmente) è un continuo punzecchiare il "signore della penna", chiamato così in riferimento al gentile omaggio ricevuto in occasione della sua defenestrazione dal club, secondo i loro parametri, più titolato al mondo.
A differenza dell'immagine che Pirlo stesso ha contribuito a creare di sé, il regista juventino è uno cui piace scherzare, a cui i soldi non fanno schifo e non ha l'ipocrisia di nasconderlo e a cui piace avere un'idea su tutto ("...e non mi vergogno non solo di dirla, ma anche di difenderla e, se serve, di diffonderla.") Potremmo anche pensare di proporvi il Pirlo-pensiero e di confrontarci con le sue parole, durante la lunga, solita, calda estate in cui le chiacchiere la faranno da padrone. Per adesso vorrei soffermarmi e sottoporre alla vostra attenzione un passaggio del libro, scritto insieme al giornalista di Sky, Alessandro Alciato (giova ricordarlo). Un passaggio all'apparenza marginale, inserito nel capitolo in cui affronta l'argomento Balotelli, del razzismo nei suoi confronti e del bene che, secondo Pirlo, gli avrebbe fatto venire alla Juve e crescere insieme allo splendido gruppo che lavora in quel di Vinovo. E' un trafiletto, dicevo, marginale, ma su cui è bene interrogarsi, perché non è la prima volta che dei calciatori (soprattutto bianconeri...) si esprimono in termini quantomeno "criptici" su Calciopoli. E non è nemmeno l'unico di questo tenore all'interno del libro. Il passaggio è questo, a pagina 121: "Adesso esprimo un punto di vista che farà infuriare molti tifosi, di cui però sono convinto: certi successi recenti sono nati proprio da quella retrocessione a tavolino. E' servita per amplificare a livello esponenziale il senso di appartenenza, che ne è uscito rafforzato. Il ritorno in serie A è stato duro, però con il passare degli anni la rabbia pura si è evoluta in qualcosa di positivo, ora non c'è più spazio per la vergogna: essere juventini significa portarsi dietro un carico di orgoglio e dignità. Fino alla fine, come direbbe il presidente Agnelli, anzi come direbbe Andrea. Quando l'ambiente si è depurato delle sensazioni negative, l'esplosione ha fatto nascere qualcosa di evidente. E' stato il Big Bang bianconero, la creazione di un nuovo mondo, molto simile a quello vecchio, e la buona notizia sta proprio qui: la Juventus discende da se stessa".
Ammetto che queste poche righe si prestano a molteplici interpretazioni, però ci sono alcune espressioni su cui, caro Andrea, è bene chiarirsi. Sono quelle in grassetto.
Parto da una considerazione basata su un dato di fatto: prima, durante e negli anni immediatamente successivi a Calciopoli, con la Juve distrutta, smembrata e ridicolizzata dall'interno, Andrea Pirlo non era a Torino, anzi, vinceva la Champions League con la società del "preservativo di Galliani" (definizione di Roberto Beccantini). Pirlo parla senza cognizione di causa, o al massimo può averla ottenuta "de relato", ma non è la stessa cosa.
Seconda considerazione: la retrocessione a tavolino è servita solo e soltanto al raggiungimento del vero obiettivo farsopolaro ovvero togliere la Juve a Moggi e Giraudo, pericolosamente troppo bravi per chiunque, amici e nemici. Quelli che li hanno seguiti, infatti, stavano riuscendo nella missione (quasi) impossibile di far disamorare milioni di tifosi dalla loro passione preferita. L'esatto contrario di quanto sostenuto da Pirlo. Solo successivamente, e a caro prezzo, il senso di appartenenza è tornato a crescere, ma non certo "grazie" a Calciopoli. E se anche Pirlo si riferisse ai soli colleghi, beh, ve li raccomando i giocatori che hanno militato nella Juve tra il 2006 e il 2010. Esclusi pochissimi elementi, principalmente quelli che c'erano anche prima del terremoto giudiziario, l'attaccamento ai colori bianconeri riguardava, forse, più i pigmenti di carta e penna che quelli della divisa da gioco...
Terza considerazione: di quale vergogna parliamo? Da tifoso rancoroso barbone di serie C (definizione di Giovanni Cobolli Gigli), io per Calciopoli non provo nessuna vergogna; semmai rabbia, senso di impotenza di fronte ad una ingiustizia, dolore fisico, insonnia, profondo senso di vendetta sportiva. Ma la vergogna, non direi proprio. Mi piacerebbe sapere da Andrea Pirlo, inoltre, da quali accadimenti dovrebbe scaturire questo nobile sentimento; non vorrei che qualcuno lo abbia mal suggerito...
Quarta considerazione: "Quando l'ambiente si è depurato dalle sensazioni negative..." Questo punto è quello che più di tutti si presta ad essere equivocato. Mi auguro che Pirlo si riferisca alla negatività che aveva avvolto tutto l'ambiente quando le performances sportive e societarie non davano i frutti sperati nonostante gli ingenti investimenti della cassaforte di famiglia. Ma se il riferimento è alla vergogna di cui sopra, non ci siamo proprio. Penso che ci sia anche un'altra interpretazione possibile. È molto forte in tutti i tifosi bianconeri la sensazione, negativa eccome, che la Juve sia sempre sotto attacco, che qualsiasi occasione per puntarle contro l'indice non vada mai sprecata e che parole e opere (e presuntuosamente anche i pensieri) siano passati al microscopio per trovare un appiglio ad accuse più o meno velate. Se fosse questa l'interpretazione corretta al pensiero di Pirlo, mi verrebbe da credere che sia saltato un punto interrogativo: Andrea, quando (mai) l'ambiente si è depurato delle sensazioni negative? Semmai hai avuto la fortuna di arrivare alla Juve insieme ad Antonio Conte, un maestro nel trasporre in campo la rabbia derivante dai continui attacchi. Ma, ancora una volta, il 2006 non c'entra nulla.
L'effetto negativo di Calciopoli, a mio parere, si è trasformato in energia positiva non certo per un processo naturale che abbia trasformato le tossine in adrenalina pura. Il point break juventino ha un nome e un cognome, ha il DNA bianconero da 3 generazioni e un intuito manageriale che, pur non esentandolo da errori, gli garantisce di stare una spanna sopra i suoi omologhi italiani.
Questa esegesi termina qui, forse ho esagerato a focalizzare l'attenzione su poche frasi all'interno di un discorso molto più generale. Ma non posso farci nulla, Calciopoli ha inoculato nel mio organismo un brutto virus con sintomatologia tipica degli ossessivi compulsivi. L'unico antidoto è scrivere, mettere in chiaro tutto fino a risolvere anche il più piccolo equivoco.
Ci hanno voluti così, si tengano anche gli "effetti collaterali".
Piaccia o non piaccia...
Anche Pirlo le spara alte
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- By Giuseppe Simone