Trascrivo quanto si può leggere sul sito ufficiale (!!) della squadra sesta in classifica, per evitare che qualcuno ci clicchi senza prima avere installato un firewall efficace:
Il motivo per cui vi costringo a letture così diseducative è serio, estremamente serio. E necessita di una premessa: ritengo Paolo Bonolis una persona molto intelligente, sopra la media. E’ un bravissimo professionista che riesce ad abbinare leggerezza e profondità, spaziando da “Ciao Darwin” a “Il senso della vita”. Ha un eloquio forbito, del quale spesso abusa con compiacimento, ma non è certo una colpa conoscere la lingua italiana meglio di tanti colleghi. E’ capace di ragionamenti affatto banali ma senza scadere nel radical chic di nicchia, da mezzanotte di Rai Tre. Brillante comunicatore, salace battutista con quell’aria sorniona che ricorda un po’ il grande Corrado. Tutti questi pregi, e poi l’ecatombe: è interista. No, non sto esagerando, il problema è serio: qui siamo di fronte a due personalità diverse, totalmente slegate l’una dall’altra. Bonolis non si limita a colorare di nerazzurro tutte le declinazioni positive che ho ricordato. E’ che quando si parla di calcio, e in particolare di Inter, a Bonolis gli si tappa la vena, parte per la tangente, sragiona. Avete presente quei deliziosi duetti con Luca Laurenti, con quest’ultimo nella parte dello sempliciotto che non ci arriva proprio? Ecco, Bonolis quando indossa i panni dell’interista diventa Laurenti.
L’interismo è un problema sociale, è ora di prenderne atto. Non si può spiegare in altra maniera un fenomeno capace di mutare la personalità in maniera così dirompente. Il Bonolis interista improvvisamente regredisce, ed esprime concetti da quinta elementare. Non rinuncia a nessun particolare dell’armamentario nerazzurro più deteriore, quello che da una ventina d’anni è ottimamente rappresentato dal loro Presidente. Il vittimismo, il complottismo, quella visione del mondo infantile dove esistono i buoni e i cattivi, con una linea verticale che li separa: di qua l’Inter, il bene, la purezza; di là il resto del mondo capitanato dalla Juventus, il male, il torbido, i maneggioni. I buoni che per anni vengono vessati dai cattivi, poi arrivano le guardie che arrestano il capobanda e così i buoni possono passeggiare felici e vincenti nel mondo per qualche tempo. Poi l’incanto finisce, perché il bene non può vincere per sempre: un altro cattivo incombe sul loro mondo dorato, scaccia via i buoni e ricominciano le vessazioni. Quando i buoni non vincono non è mai colpa loro: è la sceneggiatura che prevede un finale, è la gigantesca commedia, e ti disinnamori del meccanismo, e ti immalinconisci.
Fanno tenerezza. Un’attenuante ce l’hanno: nessuno dà mai loro un pizzicotto per farli svegliare, per spiegare loro che non è così. La stampa e le tv li assecondano, hanno creato la farsa di Calciopoli a loro misura, per assecondare questa loro visione malata del mondo. Li hanno accompagnati per cinque anni di vittorie di cartone, con favori arbitrali a ripetizione, simili a quelli di cui beneficia quest’anno il Milan, ma nessuno l’ha fatto mai notare loro. Anzi, nei due anni col vate portoghese andavano pure raccontando che vincevano contro tutto e tutti, nonostante 53 partite consecutive senza rigori a sfavore, nonostante per due volte la Roma (un anno con Spalletti, l’altro con Ranieri) meritasse la vittoria molto più di loro al netto degli errori arbitrali, nonostante una Champions League vinta con una sequela clamorosa di decisioni favorevoli (Dinamo Kiev, Chelsea, Barcellona) tutte rigorosamente sottaciute. Ne hanno cantato le lodi senza vergogna e nascosto le magagne con servilismo.
Torniamo al nostro Paolino, alla sua versione Laurentiana. In molti lo ricorderanno dopo una di quelle vittorie di cartone mentre intervistava un Materazzi in smoking bianco, a simboleggiare la più grossa delle loro deviazioni mentali: quella di vincere da puri, senza macchie, mentre tutti gli altri vincono in maniera più o meno sporca, quando poi tocca alla Juve in una sola maniera possibile: rubando (anzi: rruvvando). E’ interessante indagare su questa loro deviazione, che non ha uguali in giro per il mondo: non conosco altre squadre che si vantino di vincere in maniera diversa dagli altri. Generalmente vincono, festeggiano, godono, e degli altri se ne fregano. Loro no, hanno questa fregola della superiorità morale (deve essere una contaminazione di quella frangia politica che da anni fa da sponda al morattismo nei salotti radical chic milanesi) senza la quale ogni vittoria di cartone sarebbe di carta velina.
Li senti parlare e ti sembrano fatti tutti con lo stesso stampino: ieri sera quel ragazzotto romano che somiglia a Mr Bean, quello con la supponenza inversamente proporzionale al talento, per poco non si metteva a piangere. Vinceva 3-1 e ha perso 4-3 ma il centro di tutto era un calcio di rigore. Giocano con Rocchi e Alvarez, Ranocchia e Pereira, con quelli che una volta erano i Pistone, i Caio, i Colonnese, i Taribo West, ma la colpa non è mai loro. Quando persino Gene Gnocchi lo ha umiliato ho sperato che arrivasse l’ambulanza a salvarlo. Poi arriva Moratti e parla di malafede, poi il giorno dopo arriva Bonolis che chiede la Primavera in campo, come cinquant’anni fa. Nemmeno uno slancio di originalità, non so: giochiamo con la Berretti, così per variare. Hanno una squadra mediocre ma piangono perché non danno loro un rigore da 20 giornate, esattamente come la squadra che l’anno scorso vinse lo scudetto (col trucco, of course). E poi la Juve: obsession, by Calvin Klein. Il ragazzotto ieri sera l’avrà nominata una decina di volte, oggi Paolino per rafforzare il concetto ci fa commuovere citando Padre Saverio, che si è lamentato solo tre volte nella sua vita: ieri con l’Atalanta e altre due volte con la Juve. Da gobbo megalomane volevo fare l’en plein, ma mi accontenterò. Ma soprattutto farò finta di non ricordare nessun altro pianto Saveriano negli ultimi vent’anni.
E niente, non me ne capacito ancora dopo tutto questo tempo. Lo so, la colpa è forse mia che se guardo “Avanti un altro” mi diverto troppo e quasi mi dimentico del lato oscuro della personalità di Paolino. Così quando all’improvviso appare l’altro Bonolis, quello interista, ci rimango sempre male. E faccio come loro, e quasi me ne vergogno: do la colpa all’interismo che obnubila le menti e anestetizza l’intelletto. Faccio come loro: cerco tutte le scuse possibili per fuggire dalla realtà e guardare la prossima puntata facendo finta che l’altro Paolino non esista, come se Dr. Bonolis e Mr Prescritto non fossero, in fondo, due facce della stessa medaglia. Come se veramente, tra lui e Laurenti, quello serio fosse lui.