Si parla tanto di problemi di bilancio nel calcio, i giornali scrivono tanto di Milan e Inter e dei piani di ridimensionamento che Berlusconi e Moratti hanno dovuto varare; ma sarebbe anche interessante - ed è lo spunto che suggeriamo ai colleghi della carta stampata - riflettere sulle stesse problematiche con riferimento alla Roma; la riflessione potrebbe essere ricca di indicazioni sinora inesplorate.
Quando è arrivata la cordata italo-americana (DiBenedetto, Pallotta & co) qualcuno a Roma potrà aver pensato alla storiella dello "zio d'America" con la valigia piena di dollari, e qualche giornale l'ha pure scritto; ma, a distanza di due anni, più che una storiella a lieto fine quella della cordata di successo si è rivelata una bufala. A conti fatti il nuovo socio scovato da Unicredit negli Stati Uniti ha finora investito nella Roma poche decine di milioni di euro (in gran parte presi a prestito dalla stessa banca) e su quelli che bisogna ancora investire per i prossimi anni non si è finora sbilanciato. Tanto che quando hanno chiesto a Totti, in partenza per la tournée americana, se pensasse di incontrare Pallotta, il capitano ha risposto che Pallotta l'aveva solo visto tuffarsi nella piscina di Trigoria e sperava non fosse annegato.
In effetti la cordata americana avrebbe dovuto, già da mesi, intervenire e versare nella NEEP Roma Holding, (che è la società controllata al 60% da Pallotta & C. e al 40% da Unicredit e che detiene il 78% di A.S. ROMA), le somme necessarie a sottoscrivere la sua parte all' aumento di capitale a sostegno della copertura delle perdite accumulate dalla controllata a tutto giugno 2011, ma così non è stato (e non per colpa del tuffo in piscina).
L'aumento di capitale (per 50 milioni subito e 30 più avanti) è stato si deliberato nel gennaio 2012, è stato anche "richiamato" a maggio per i 50 che erano "urgenti", ne ha poi nuovamente discusso il CdA del 28 giugno, ma degli americani e dei loro dollari neppure l'ombra; l'aumento dei primi 50 milioni è tuttora da mettere in esecuzione. Adesso è in programma un'altra Assemblea che proporrà agli azionisti di "adeguare la tempistica" (e questa non è una battuta di Totti, ma quanto riportato in documenti ufficiali) per la tranche da 50 milioni varata a gennaio, spostandone la 'deadline' fino al 31 dicembre 2012.
Nel frattempo si è chiuso il bilancio 2011-12 ed è chiaro che la situazione è molto più pesante rispetto a quella affrontata dalla precedente Assemblea e che di euro-dollari servirebbero molte valigie in più. Qualche dato al 30 marzo dà un'idea della situazione: la posizione finanziaria netta risulta a debito per € 70,9 milioni (€ 53,8 milioni, al 30 giugno 2011); i debiti commerciali in nove mesi sono aumentati da 27,4 a 53 milioni; quelli finanziari da zero a 50,6; il patrimonio netto, già negativo per 44 milioni, a marzo lo era per 64; il tutto a fronte di una capitalizzazione di Borsa di circa 50 milioni. Per un'azienda normale i giornali scriverebbero di fallimento prossimo venturo; qui di mezzo c'è il calcio, c'è la Roma, c'è Unicredit e i giornali scrivono di Zeman e di Destro.
L'intenzione di Unicredit, quando aveva individuato il nuovo socio di maggioranza, era di qualificare la società per poi uscirne magari guadagnandoci (come fanno i Fondi specializzati che assistono le piccole imprese in fase di lancio); invece ad oggi la banca (che ha ancora il 40% della Roma) si trova esposta con gli americani, ha garantito i pagamenti della campagna acquisti del 2011 e sta garantendo quelli della campagna in corso (cosa che ai creditori sembra non dispiacere visto il comportamento di Preziosi sul caso Destro); e con la crisi generale che si si sta aggravando ogni giorno di più rischia di ritrovarsi in una situazione non dissimile da quella precedente l'arrivo degli italo-americani.
Petrucci e Carraro, quando si parlava dei debiti e dei passivi delle società di calcio, se ne sono sempre lavati le mani rispondendo che erano a carico dei loro proprietari; esemplificando: i guai (di bilancio) di Milan e Inter erano affari personali di Berlusconi e Moratti.
Questo dei possibili "puffi" della Roma, però, ci sembra un caso nuovo, con la Roma impegnata sui campi di gioco e Unicredit alle prese con un'altra partita, una specie di poker con la posta sempre più alta, tanto che si parla anche di stadio e di ricerca di nuovi soci. Un caso nuovo per il nostro sistema calcio che dalle banche è sempre stato dipendente (basta pensare alla Banca di Roma di Geronzi e allo stretto legame con Roma e Lazio): un caso che potrebbe anche diventare un "casino" se si pensa alla crisi gravissima che attraversa il sistema bancario.
Si diceva di una specie di partita a poker; c'è da aggiungere che gli organismi di controllo (Consob e Covisoc) sono spettatori, si direbbe, disinteressati; chissà che i colleghi della carta stampata non affrontino l'argomento e magari non ne chiedano conto a chi di dovere.
La Roma, gli americani e Unicredit
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- By Redazione