Trent'anni fa, l'11 luglio del 1982, al Santiago Bernabeu Dino Zoff alzava la terza Coppa del mondo. A ridosso dello scandalo scommesse degli anni '80 gli azzurri riuscirono a ricompattare una squadra, una Federazione e il paese tutto; protagonista indiscusso della manifestazione lo zoccolo duro della Juventus, più qualche innesto da Roma, Firenze, Milano. Un trionfo, atteso dal 1938, che ha trasformato un paese, rendendoci orgogliosi e spavaldi per i successivi quattro anni e dando il giusto merito agli azzurri e soprattutto al "vecio": Enzo Bearzot che, a scapito di una misera gavetta con squadre di club, nei primi anni '70 veniva reclutato tra i quadri federali e, dopo aver fatto da vice a Valcareggi e a Bernardini sulla panchina della Nazionale maggiore, e dopo l'esperienza nella under 23, diventò un commissario tecnico "fatto in casa", una figura che rappresentava integralmente la Federazione. Altri tempi, altri personaggi, come Sandro Pertini, indimenticato Presidente della Repubblica che esclamava "Non ci prendono più" dopo il 3 a 0 di Altobelli.
Visto che ci siamo, amaramente, festeggiamo anche il 2006. Altro Mondiale macchiato da uno scandalo, Calciopoli, che ha rappresentato il testacoda del calcio italiano, il golpe interno, il riposizionamento degli asset federali, il compimento e la raccolta di un lavoro iniziato nel 1998 con la prima spallata alla Juventus con l'Epo-Processo. Moggi, Giraudo e Bettega stavano già camminando sul filo senza accorgersi che la rete, sotto di loro, era già stata tolta. Un lavoro protratto negli anni successivi, quando un'incredibile confluenza di interessi sportivi/politici/commerciali ha facilitato il mettersi in moto di una gioiosa macchina da guerra che ha buttato le basi dal 2002 al 2004 per poi far esplodere, improvvisamente, tutta la sua potenza a ridosso dell'inizio del Mondiale 2006, il Mondiale di Buffon, Cannavaro, Zambrotta, Camoranesi e Del Piero, ma anche di Thuram, Vieira e Trezeguet, e soprattutto di Marcello Lippi.
Una Federazione forte, sostenuta da un governo un po' meno forte ma da una classe dirigente economica ambiziosa, un gruppo omogeneo che con una mano spediva in serie B i campioni bianconeri e distruggeva la società che li forgiava garantendo motore e benzina ad ogni Nazionale italiana, e con l'altra si aggrappava al carro soffiando per far sventolare i tricolori prima di cominciare ad ammainarli. Dal giorno successivo alla notte di Roma, subito dopo che Cannavaro ebbe mostrato all'Italia, con orgoglio, il trofeo stravinto, è cominciato il declino.
Sì, perché il secondo posto in Polonia/Ucraina è un'enorme sconfitta, una débâcle che va oltre il 4 a 0 contro la Spagna. L'Europeo 2012 racchiude sei anni di pessima gestione di "Casa Italia", racchiude sei anni di un lavoro che non riescono ancora a terminare. Gli allenatori italiani più rappresentativi e più capaci se ne sono andati; Capello, dopo la parentesi al Real Madrid, si è ritirato oltre Manica, nella terra del calcio, ancora oggi rivendica come suoi i due scudetti sottratti e dichiara che in Italia non allenerà mai più. Marcello Lippi, dopo il trionfo del 2006 si congelava per un paio d'anni fino a quando veniva richiamato e gli veniva richiesto un nuovo miracolo italiano in Sudafrica dove, considerato il traino argentino dei nuovi padroni del cartonato italiano, non poté che appoggiarsi a qualche alfiere bianconero del 2006 e ad un paio di nuovi innesti (Buffon, Camoranesi, Cannavaro, Iaquinta, Chiellini e Marchisio), la colonna portante di una squadra macellata da Calciopoli e in piena involuzione da smile dovuto a Blanc, Secco e Cobolli Gigli. Ci siamo persi anche lui che, dopo essere stato inserito dal Times nella lista dei migliori allenatori della storia del calcio e nella Hall of Fame della Nazionale Italiana, giustamente, all'alba dell'Europeo 2012 se n'è andato ad insegnare calcio dove vogliono imparare e dove lo pagano a peso d'oro.
A noi è rimasto Cesare Prandelli che, lo dico subito, ha raggiunto il livello più alto della sua carriera con il secondo posto in questa competizione europea, e non certo grazie a Balotelli e Cassano, nonostante un traversone e un colpo di testa, ma solo grazie al gruppo Juve, per l'ennesima volta, e alla mentalità vincente che questi ragazzi hanno portato in Nazionale. Una mentalità imposta, un atteggiamento che arriva da lontano, un modo di essere che è stato insegnato loro da Antonio Conte. E' bastato un anno di Juventus a far capire che Conte è rimasto un lottatore anche in panchina, a lui è bastato un anno per imporsi, ai suoi ragazzi è bastato un anno per capire come si deve giocare al calcio. Ma la Federazione non se ne fa nulla di chi ha voglia, di chi vuole vincere con la cultura del lavoro; la Federazione il suo uomo forte già lo ha, è un magistrato militare che non si capisce a fronte di quale esperienza precedente si ritrovi, con le sue certezze, a dirigere una delle inchieste sportive più complicate di sempre; e tutto questo dopo lo scempio di Calciopoli dove avrebbe dovuto seguire anche le tracce delle telefonate e di altri indizi che portavano in altre direzioni, ma lui non ha nemmeno preso in considerazione la cosa, se non a prescrizione intervenuta.
Ecco perché abbiamo perso, ecco perché stiamo perdendo ed ecco perché perderemo. Cosa c'è da festeggiare? Il primo posto di trent'anni fa o il secondo posto di oggi? Buffon vi aveva avvertito, non c'è nulla da festeggiare ad arrivare secondi, e fosse solo quello il problema.
Ma festeggiamo cosa?
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- By Mario Pirovano