Sulle pagine di cronaca giudiziaria di un giornale locale di una decina di anni fa era riportato un servizio su un curioso processo per una bagattella di provincia. Provo a raccontarvela, così come me la ricordo.
Il giudice entrò silenzioso e con passo deciso si accomodò sulla poltrona. La sua attenzione fu subito attratta da una persona, che a sua volta si era accomodata nel posto di solito riservato agli imputati, e gli sembrò che nella scena vi fosse qualcosa di stridente.
Aveva infatti notato i modi signorili, il suo elegante vestire e l’affabilità di eloquio, tanto che non poté trattenersi dal chiedere ai gendarmi: “Siamo sicuri che non sia il suo avvocato?”.
Il Maresciallo Matarazzo lesto lo tranquillizzò: “Dottò, regolare… E’ proprio lui!“. Il Brigadiere Zanotti, poco distante, confermava annuendo con la testa.
Il giudice cominciò silenzioso a leggere le carte, ogni tanto sobbalzando sullo scranno e rivolgendo all’imputato delle domande:
“Qua si dice che il giorno tale lei si è presentato nell’ufficio del Prof. Sigmund Kovisock, Presidente del FIDO-Federazione Internazionale Destrieri Omologati, per sottoporre a certificazione e omologazione il suo animale di nome……. uhm ….. Onesto“.
“Onesta, dottore… - lo corresse garbatamente e con voce sommessa - …. è una femmina ……splendido esemplare, garantisco!“.
“Onesto…Onesta… non è questo il problema – ribatté il giudice - il fatto è che lei ha presentato all’ufficio una serie di documenti attestanti le mirabolanti qualità della sua cavalla da corsa e la purezza della sua razza per ottenere l’ambita omologazione“.
L’imputato non mosse ciglio ed ascoltò compiaciuto le osservazioni del giudice, per poi rispondere: “Ma certamente, ha perfettamente ragione. Le cose andarono come Lei dice. La procedura questo prevede ed io l’ho osservata scrupolosamente, facendo come tutti gli altri fanno in questi casi. Mi sento del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
Il giudice volle assicurarsi che le dichiarazioni fossero state messe a verbale fedelmente: “Cancelliere Palozzo, ha scritto tutto? Bene, proseguiamo“.
Dopo ulteriore lettura degli incartamenti il giudice riprese: “Qua si legge che, ottenuta l’omologazione, l’animale è stato venduto a carissimo prezzo a tale……Franco Incollato“.
Con grande compostezza l’imputato interloquì: “Proprio così, dottore, Lei ha compreso perfettamente la dinamica della vicenda. E’ del tutto naturale che, ottenuta l’omologazione, il prezzo di mercato dell’animale ne risenta positivamente. Avviene sempre così in casi del genere. Mi sento del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
Il giudice cominciava ad avere qualche dubbio sul motivo della presenza di quel signore davanti a lui, tanto che rivolse una fuggevole occhiata interrogativa all’Appuntato Belciuffo, da questi ricambiato con un gesto della mano, che pareva dire “Datte tempo!“.
Così rinfrancato, il giudice si immerse nuovamente nel fascicolo processuale e di nuovo prese a dire: “Eeeeeh... ma qua l’acquirente sostiene che l’animale da lei venduto non sarebbe una cavalla da corsa e che, nella prima gara in cui la mise alla partenza, non si mosse di lì di un solo metro!“.
Stupito, l’imputato esclamò: “Ohibò, ne ho notizia solo ora e me ne dispiaccio vivamente. Vorrei anzi partecipare il mio sentimento all’Incollato, che però non vedo in aula. Potrà magari Lei, dottore, dargliene comunicazione, quando avrà ad incontrarlo. Mi sento però del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
A questo punto la lettura delle carte era terminata e al giudice non restava che farsi portare davanti a sé l’animale: “Ufficiale Giudiziario…. Ufficiale Giudiziario……. dannazione, quando serve non c’è mai!…….Oh, Samuele! Dove s’era cacciato? Accompagni l’animale in aula!“.
Dopo pochi minuti da una porticina laterale comparve l’Ufficiale Giudiziario, che, procedendo a ritroso, faticosamente tentava di introdurre la bestia, tirandola per una corda, verosimilmente legata attorno al suo collo. Comparve poi il capo, e quindi il corpo intero dell’animale. E passarono altri minuti prima che fossero vinte le sue resistenze a mescolarsi in quell’ambiente inusuale per lui.
Mollò perfino un poderoso calcio all’indirizzò dell’avvocato Rossino Guidi, che con consumata abilità roteò la toga, un gesto degno del miglior torero, così schivando il proditorio attacco e suscitando un lungo applauso da parte del pubblico presente nell’aula di udienza.
Allibito, il giudice esclamò: “Ma è un somaro!“.
Tra i mormorii del pubblico l’imputato, senza perdereil suo aplomb iniziale, prese la parola, correggendo garbatamente il giudice con voce sommessa: “Una somara, dottore…… splendido esemplare, garantisco io. Ne prendo atto solo ora, ora che me lo dice Lei“.
Il giudice, per la prima volta spazientito, di getto lo incalzò: “Ma come? Ha bisogno di me per distinguere un somaro…uhm … una somara da una cavalla?“.
Con grande comprensione e tolleranza verso lo scatto di nervi del magistrato e senza minimamente deflettere dal tono gentile fin lì avuto, l’imputato annuì: “Ha ragione, ha perfettamente compreso la situazione. Ci voleva solo Lei. Veda, l’autorità del Prof. Kovisock in materia, universalmente riconosciuta, mi trasse in inganno. E dire che di cavalli me ne intendo, non è il primo che tratto. E ad essere del tutto sinceri qualche… non dico dubbio… ma perplessità mi era venuta. Di fronte all’autorevolezza del Professore, però….! Che potevo pensare e fare? Solo una superiore autorevolezza, quale indubbiamente signor giudice Lei ha, poteva riportare le cose alla luce della verità. E di questo La ringrazio. Nondimeno mi sento del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
Al che il giudice si alzò per ritirarsi in camera di consiglio, accompagnato fino alla porta dall’imputato, che si congedò da lui con poche, ma sentite parole: “E’ stato un vero piacere conoscerLa“.
La cronaca purtroppo non riportava l’esito del processo. Forse la sentenza era uscita a serata inoltrata, quando il cronista aveva già fatto rientro a casa.
Oppure il giudice è ancora lì, invecchiato di dieci anni in camera di consiglio, a meditare su questo singolare caso.
Il giudice entrò silenzioso e con passo deciso si accomodò sulla poltrona. La sua attenzione fu subito attratta da una persona, che a sua volta si era accomodata nel posto di solito riservato agli imputati, e gli sembrò che nella scena vi fosse qualcosa di stridente.
Aveva infatti notato i modi signorili, il suo elegante vestire e l’affabilità di eloquio, tanto che non poté trattenersi dal chiedere ai gendarmi: “Siamo sicuri che non sia il suo avvocato?”.
Il Maresciallo Matarazzo lesto lo tranquillizzò: “Dottò, regolare… E’ proprio lui!“. Il Brigadiere Zanotti, poco distante, confermava annuendo con la testa.
Il giudice cominciò silenzioso a leggere le carte, ogni tanto sobbalzando sullo scranno e rivolgendo all’imputato delle domande:
“Qua si dice che il giorno tale lei si è presentato nell’ufficio del Prof. Sigmund Kovisock, Presidente del FIDO-Federazione Internazionale Destrieri Omologati, per sottoporre a certificazione e omologazione il suo animale di nome……. uhm ….. Onesto“.
“Onesta, dottore… - lo corresse garbatamente e con voce sommessa - …. è una femmina ……splendido esemplare, garantisco!“.
“Onesto…Onesta… non è questo il problema – ribatté il giudice - il fatto è che lei ha presentato all’ufficio una serie di documenti attestanti le mirabolanti qualità della sua cavalla da corsa e la purezza della sua razza per ottenere l’ambita omologazione“.
L’imputato non mosse ciglio ed ascoltò compiaciuto le osservazioni del giudice, per poi rispondere: “Ma certamente, ha perfettamente ragione. Le cose andarono come Lei dice. La procedura questo prevede ed io l’ho osservata scrupolosamente, facendo come tutti gli altri fanno in questi casi. Mi sento del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
Il giudice volle assicurarsi che le dichiarazioni fossero state messe a verbale fedelmente: “Cancelliere Palozzo, ha scritto tutto? Bene, proseguiamo“.
Dopo ulteriore lettura degli incartamenti il giudice riprese: “Qua si legge che, ottenuta l’omologazione, l’animale è stato venduto a carissimo prezzo a tale……Franco Incollato“.
Con grande compostezza l’imputato interloquì: “Proprio così, dottore, Lei ha compreso perfettamente la dinamica della vicenda. E’ del tutto naturale che, ottenuta l’omologazione, il prezzo di mercato dell’animale ne risenta positivamente. Avviene sempre così in casi del genere. Mi sento del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
Il giudice cominciava ad avere qualche dubbio sul motivo della presenza di quel signore davanti a lui, tanto che rivolse una fuggevole occhiata interrogativa all’Appuntato Belciuffo, da questi ricambiato con un gesto della mano, che pareva dire “Datte tempo!“.
Così rinfrancato, il giudice si immerse nuovamente nel fascicolo processuale e di nuovo prese a dire: “Eeeeeh... ma qua l’acquirente sostiene che l’animale da lei venduto non sarebbe una cavalla da corsa e che, nella prima gara in cui la mise alla partenza, non si mosse di lì di un solo metro!“.
Stupito, l’imputato esclamò: “Ohibò, ne ho notizia solo ora e me ne dispiaccio vivamente. Vorrei anzi partecipare il mio sentimento all’Incollato, che però non vedo in aula. Potrà magari Lei, dottore, dargliene comunicazione, quando avrà ad incontrarlo. Mi sento però del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
A questo punto la lettura delle carte era terminata e al giudice non restava che farsi portare davanti a sé l’animale: “Ufficiale Giudiziario…. Ufficiale Giudiziario……. dannazione, quando serve non c’è mai!…….Oh, Samuele! Dove s’era cacciato? Accompagni l’animale in aula!“.
Dopo pochi minuti da una porticina laterale comparve l’Ufficiale Giudiziario, che, procedendo a ritroso, faticosamente tentava di introdurre la bestia, tirandola per una corda, verosimilmente legata attorno al suo collo. Comparve poi il capo, e quindi il corpo intero dell’animale. E passarono altri minuti prima che fossero vinte le sue resistenze a mescolarsi in quell’ambiente inusuale per lui.
Mollò perfino un poderoso calcio all’indirizzò dell’avvocato Rossino Guidi, che con consumata abilità roteò la toga, un gesto degno del miglior torero, così schivando il proditorio attacco e suscitando un lungo applauso da parte del pubblico presente nell’aula di udienza.
Allibito, il giudice esclamò: “Ma è un somaro!“.
Tra i mormorii del pubblico l’imputato, senza perdereil suo aplomb iniziale, prese la parola, correggendo garbatamente il giudice con voce sommessa: “Una somara, dottore…… splendido esemplare, garantisco io. Ne prendo atto solo ora, ora che me lo dice Lei“.
Il giudice, per la prima volta spazientito, di getto lo incalzò: “Ma come? Ha bisogno di me per distinguere un somaro…uhm … una somara da una cavalla?“.
Con grande comprensione e tolleranza verso lo scatto di nervi del magistrato e senza minimamente deflettere dal tono gentile fin lì avuto, l’imputato annuì: “Ha ragione, ha perfettamente compreso la situazione. Ci voleva solo Lei. Veda, l’autorità del Prof. Kovisock in materia, universalmente riconosciuta, mi trasse in inganno. E dire che di cavalli me ne intendo, non è il primo che tratto. E ad essere del tutto sinceri qualche… non dico dubbio… ma perplessità mi era venuta. Di fronte all’autorevolezza del Professore, però….! Che potevo pensare e fare? Solo una superiore autorevolezza, quale indubbiamente signor giudice Lei ha, poteva riportare le cose alla luce della verità. E di questo La ringrazio. Nondimeno mi sento del tutto tranquillo da questo punto di vista, non vedo di cosa dovrei preoccuparmi“.
Al che il giudice si alzò per ritirarsi in camera di consiglio, accompagnato fino alla porta dall’imputato, che si congedò da lui con poche, ma sentite parole: “E’ stato un vero piacere conoscerLa“.
La cronaca purtroppo non riportava l’esito del processo. Forse la sentenza era uscita a serata inoltrata, quando il cronista aveva già fatto rientro a casa.
Oppure il giudice è ancora lì, invecchiato di dieci anni in camera di consiglio, a meditare su questo singolare caso.