Dopo aver trascorso mesi con appeso il cartello “si vende”, aver ascoltato tante chiacchiere e aver visto qualche affare concluso, specie in uscita, si è chiuso finalmente il calciomercato. Si è trattato di un’edizione quanto mai sottotono per le società italiane, che ha certificato una volta di più il declassamento nostrano anche in fatto di rating calcistico, di riflesso a quello più generale del Paese. Il riflesso incondizionato della crisi sociale ed economica che sta percorrendo l’Italia ha visto infatti il fuggi fuggi di quei pochi top players che fino a pochi mesi fa avevano calcato i terreni della nostra sempre più provinciale serie A.
Un calcio italiano sempre più di periferia. Se ne sono andati soprattutto Eto’o nella Premier russa, Pastore nella Ligue 1 francese, Sanchez nella Liga spagnola, ognuno per cifre che oscillano fra i trenta e i quaranta milioni di euro, che sono andati a rimpinguare le esangui casse del calcio italiano. Un’industria sempre più stretta nella morsa fra l’esigenza del fair play finanziario e i bilanci deficitari, cui si va ad aggiungere la voglia dei protagonisti di approdare a un calcio più competitivo, come nel caso di Premier League e Liga, o emergente, come nel caso di Bundesliga e Ligue 1, oppure semplicemente più ricco, come nel caso della Premier russa, tanto per restare nei confini del calcio europeo. Non è casuale che i petrodollari degli investitori arabi siano arrivati nel calcio inglese, in quello francese, in quello spagnolo, ma non in quello italiano. Il nostro è un calcio che si è letteralmente suicidato con la marcata responsabilità di chi l’ha gestito politicamente e la forte complicità degli attori del sistema in quest’ultimo folle ventennio. Dalla mancata occasione, col conseguente scempio di risorse, di “Italia ’90”, passando per tappe nefaste quali la “legge spalmadebiti”, è stato tutto un abuso di leggi, provvedimenti e giustizia su misura. E poi i diritti televisivi quale unico interesse e sostegno (ma chissà come mai...) di un mercato italiano in grave ritardo rispetto ai principali campionati europei sulle altri possibili voci dei ricavi: quali stadi privati, sponsor, marketing e merchandising. Un harakiri completato nel modo davvero più autolesionistico possibile con la drammatica farsa di Calciopoli e i suoi deleteri effetti per il sistema (Inter a parte, si intende...). Un’occhiata al ranking europeo delle società nostrane spiega meglio di ogni altra considerazione quanto è successo. Nel 2006 l’Italia era al secondo posto, dietro la Spagna, precedendo Inghilterra, Francia e Germania; oggi ci troviamo al quarto posto con Inghilterra, Spagna e Germania davanti, insidiati da Francia e Portogallo che potrebbero superarci entro la fine della stagione da poco iniziata.
Inter e Milan risparmiose, Napoli e Lazio rafforzate, Roma rivoluzionata. La stagione è nata sotto i peggiori auspici con l’Udinese che, dopo aver fatto cassa vendendo gli elementi migliori, è stata eliminata nel preliminare di Champions League, così come Palermo e Roma, due squadre che hanno affrontato i preliminari di Europa League, mischiando errori a una disarmante superficialità, uscendone così con le ossa rotte e contribuendo a penalizzare il sistema calcio del Belpaese. Per usare una metafora utilizzata recentemente da Adriano Galliani, possiamo quindi dire che il calcio italiano, più che essere passato dall’essere un “ristorante di lusso” a “pizzeria”, si ritrova ad essere più o meno un autogrill, di quelli periferici, lontano dalle direttrici del grande calcio europeo. Un disastro tecnico, oltre che economico, confermato dal fatto che in questa sessione di mercato non è arrivato alcun top player nelle società italiane, soprattutto in quelle che sono chiamate a rappresentare il calcio italiano in Champions League ed Europa League. Il Milan si è limitato a puntellare la squadra che ha vinto il campionato; l’Inter si è di fatto indebolita perdendo un giocatore decisivo come Eto’o per sostituirlo, di fatto, con il 32nne Forlan che si presenta con uno score in netta fase discendente (8 reti nell’ultima Liga); l’Udinese ha ceduto i pezzi migliori per fare cassa secondo una prassi consolidata; la Roma, al di là dei facili proclami, sta attraversando una vera e propria rivoluzione societaria che sembra orientata a conseguire obiettivi non certo nel breve periodo. Fanno eccezione Napoli e Lazio, che si sono irrobustite con intelligenza puntando non tanto su grandi nomi, ma su giocatori di sicura affidabilità, legittimando così le proprie aspirazioni a disputare una buona stagione.
Ci vorrebbe la Juventus... Quello delineato è un contesto di calcio depresso che sembra fatto apposta per ridare lustro a una Juventus reduce da due annate disastrose. Seppure l’aver strombazzato nomi di top players ai quattro venti e il non averli poi acquistati abbia suscitato non poche perplessità fra i tifosi, la società bianconera esce rafforzata dal calciomercato, pur avendo ovviato solo parzialmente alle lacune evidenziate nella scorsa stagione. Se Conte riuscirà in breve ad assemblare la squadra plasmandola secondo i propri dettami tattici, allora la Juventus dovrà migliorare per forza i recenti risultati. Si tratta della prima scommessa da vincere per il nuovo allenatore bianconero che, a differenza delle principali rivali, potrà concentrarsi solo sul campionato: innestare subito le marce giuste per assecondare i progressi che tutto l’ambiente bianconero si attende. Se poi soprattutto le squadre milanesi dovessero rallentare rispetto al recente passato, ecco che un’accelerazione potrebbe portare Del Piero e compagni a onorare nel migliore dei modi il primo campionato giocato dalla Juventus nel proprio stadio. Ma sognare ora non è concesso, c’è una squadra da reinventare e un nuovo corso tutto da costruire certo con pazienza sì, ma non troppa. I tifosi bianconeri di pazienza ne hanno già avuta fin troppa.
Il calcio italiano, un autogrill di passaggio
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