Lo zelante ed intrepido giornalista juventino autocertificato Marco Travaglio continua nella personalissima e singolare battaglia contro la sua squadra del cuore. Pochi giorni dopo aver gettato fango su Umberto Agnelli “accusato” di aver dato la Juve in mano ad uno dei gruppi dirigenziali più vincenti della storia, eccolo ripetersi nell’articolo de L’Espresso del 22.8 “Agnelli, tre scudetti da restituire”, in cui va all’attacco di Andrea Agnelli, figlio dell’indimenticato Dottore, reo secondo lui di predicare bene e razzolare male. Scrive Travaglio: “La Juve che oggi sfida l'Inter a restituire 'lo scudetto dei prescritti' e a rinunciare alla prescrizione nel processo sportivo si guardò bene dal rinunciarvi in quello penale. Anche perché, dopo la sentenza di Cassazione, il nuovo processo sarebbe finito con condanne sicure e la conseguente revoca di tutti i trofei vinti nel quadriennio dello scandalo: tre scudetti, una Champions, due Supercoppe italiane, una Supercoppa europea e un'Intercontinentale. Questi come li vogliamo chiamare, dottor Agnelli: i 'trofei dei prescritti'? E perché, per dare il buon esempio all'Inter, non li restituisce?”
Riteniamo che la sentenza della Corte di Cassazione a cui fa riferimento colui “che legge le carte” sia già stata analizzata ed approfondita a sufficienza su questo sito (Dossier Doping) e sorvoliamo anche sulle qualità divinatorie stile mago Silvan de' noantri nel prevedere che “il nuovo processo sarebbe finito con condanne sicure e la conseguente revoca di tutti i trofei vinti nel quadriennio dello scandalo”. Qualità su cui è doveroso esprimersi, se non proprio esplicitamente con una sonora pernacchia, almeno con grosse riserve sulla credibilità di suddette qualità, poiché un organo internazionale preposto a giudicare le pratiche della Juve di quegli anni, il TAS di Losanna, rispondendo alla richiesta di un parere da parte della Procura Antidoping del Coni, ha assolto la Juve decretando la non punibilità di quei comportamenti. Il fatto che la Juve sia stata giudicata in ambito sportivo (e prosciolta), mentre Moratti continua a nascondersi dietro la prescrizione dovrebbe dare la dimensione della inutilità dell'ultimo articolo fazioso anti-Juve di questo autore, se non per l'unica frase sinceramente condivisibile: "Moratti non rinuncia e sbaglia di grosso".
Prima di tutto, ricordiamo però che nel suo articolo Travaglio accusa Andrea Agnelli di cavalcare “il revanscismo della parte più becera della tifoseria”. A noi sembra che il "revanscismo" becero sia piuttosto il suo continuo tirar fuori situazioni da lui teorizzate in passato e nel frattempo ampiamente smentite da indagini di durate pluriennali e da sentenze penali di Tribunali della Repubblica passate in giudicato. Invece risulta che il “revanscismo” di buona parte della tifoseria bianconera è senz’altro legittimo. Saremmo anche disposti ad espiare le nostre colpe, ci mancherebbe, se magari però ci dicessero una volta per tutte quali esse siano. Perché gli juventini hanno una lunga tradizione nel dover sopportare le accuse da bar dei soliti tifosi perdenti ed invidiosi dei successi altrui. Accuse che si formano nei bar, che vengono poi puntualmente riprese da giornali di gossip spesso dal colore rosa, e che negli ultimi anni hanno varcato la soglia del loro habitat naturale propagandosi fin nelle aule di tribunali, dove puntualmente si dissolvono come neve al sole di Ferragosto a Forte dei Marmi. Se poi qualcuno ci spiegasse come mai nevichi così spesso a Ferragosto da quelle parti, gliene saremmo grati.
Cominciamo con la prima tecnica: la distorsione della realtà secondo convenienza. Travaglio scrive: “Nel 2006 John Elkann affida il club a due manager gentiluomini, Giovanni Cobolli Gigli e Jean-Claude Blanc, con il compito di recuperare lo stile e la serie A: missione compiuta. La Vecchia Signora accetta con signorilità il verdetto sportivo, giusta espiazione per i maneggi di Moggi & C., e si rimette all'onor del mondo. Ma due anni fa il ramo cadetto degli Agnelli si riprende il giocattolo con il giovane Andrea, figlio di Umberto e vecchio sodale di Moggi e Giraudo. Risultato: zero titoli sul campo”. Al lettore attento non sfuggirà la contrapposizione netta tra il periodo virtuoso, diciamo Elkanniano, e quello vizioso, diciamo Agnelliano. Peccato che Travaglio comodamente ometta il fatto sostanziale che anche nel periodo Elkanniano non si sia vinto nulla (a meno che lo juventinissimo autore non consideri il trofeo Serie B degno di menzione): anzi proprio in quel periodo è stata smembrata la squadra di fenomeni costruita con grande fatica e in autofinanziamento da parte della Triade. E peccato che non vi sia menzione del fatto che, al contrario, Andrea Agnelli abbia ereditato una situazione tecnica ed economica disastrata a cui, purtroppo per gli juventini veri, non è ancora riuscito a porre rimedio.
Proseguiamo con le tecniche: la proposizione temporale secondo convenienza. Nello stesso brano, l’autore associa ad Andrea Agnelli gli zero titoli (espressione invece molto stile-Inter) degli ultimi due anni. Cosa palesemente e profondamente iniqua se Travaglio si riferisce alle ultime due stagioni sportive, ovvero falsa se si riferisce agli ultimi due anni solari. Agnelli è diventato presidente nel maggio 2010, ed è quindi, salvo arrotondamenti per eccesso, tanto eccesso, in carica da poco più di un anno. Il disastro sportivo della passata stagione è certamente colpa sua, ma qui c’è da attribuire anche il fallimento della stagione 2009/10 con un settimo posto in classifica ed il cambio di allenatore a stagione in corso. Uno dei peggiori risultati della storia bianconera. Potrai mica attribuirla al periodo virtuoso. Altrimenti che accidenti di periodo virtuoso sarebbe?
E ancora: il processo alle intenzioni secondo convenienza. Scrive l’autore: “Ora Andrea Agnelli, per non passare alla storia come l’unico presidente juventino che non ha vinto neppure la Coppa del Nonno, rivuole addirittura indietro i due scudetti di Calciopoli e minaccia ricorsi al Tribunale di arbitrato dello sport e perfino alla giustizia ordinaria. A suo dire, il titolo del 2005-2006, uno dei due viziati dalla manovre moggiane su arbitri e designatori, dunque assegnato all’Inter seconda classificata, non sarebbe “lo scudetto degli onesti', come lo definì Moratti, ma 'dei prescritti'". La tecnica risulta abbastanza palese e, direi, si commenta da sola.
Poi ancora: la interpretazione libera di sentenze secondo convenienza. “L'Agnellino dovrebbe dare una ripassata alle 49 pagine della sentenza del 2006 con cui la Cassazione, ribaltando le assoluzioni d'appello, dichiarava i vertici bianconeri colpevoli di aver "dopato" i giocatori con sostanze proibite oppure lecite ma usate in dosi e con metodi vietati, dal luglio '94 al settembre '98 (l'età dell'oro di Marcello Lippi), alterando le prestazioni e dunque truccando ben quattro stagioni sportive”. Ci dica, visto che lui “legge le carte”, in quale parte della sentenza sta scritto che la Cassazione “dichiarava i vertici bianconeri colpevoli di aver "dopato" i giocatori”, quando essa stessa ha confermato piuttosto l’assoluzione per quanto riguarda la somministrazione di Epo e sentenziato che il processo per l’abuso di farmaci si sarebbe dovuto rifare.
E per finire un paio di informazioni certamente false contenute nell’articolo che confermano la scarsa competenza di Travaglio riguardo a temi così allegramente e prolificamente calcati dallo stesso, al di là delle tecniche più o meno becere e nonostante la fama di “uno che legge le carte”: la sentenza della Corte di Cassazione è del 2007 e non del 2006 come erroneamente affermato nell’articolo e l’Inter nella stagione sportiva 2005/06, l’anno dello scudetto di cartone per intenderci, arrivò terza e non seconda.
Travaglio sparla sparla, ma sul processo doping non sa nulla
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