“Voi avevate voci potenti, lingue allenate a battere il tamburo, voi avevate voci potenti, adatte per il vaffanculo.”
La Domenica delle salme, Fabrizio De André.
“Preferirei approfondire e mettere in condizioni il lettore o il telespettatore di farsi un'opinione il più possibile vicina alla verità, sostantivo astratto da virgolettare mille volte.” Strane parole da leggere in Italia nell’anno del Signore 2011. Ed ancora di più nei giorni in cui i parrucconi del pallone ci spiegano che sono incompetenti a revocare uno scudetto di cartone perché in realtà non è stato mai assegnato ufficialmente. Con tutto il solito stuolo di giornalisti che si prodiga a mettere “pietre tombali”, a considerare chiuso il discorso Calciopoli o peggio ancora a sostenere le bislacche teorie sulla fantomatica Cupola moggiana, di cartone anch’essa, per minimizzare i contenuti di intercettazioni tenute nascoste quando il nemico designato doveva essere uno e uno solo. Moggi e la Juventus. Parole, le suddette, che forse dovrebbero essere l’unico vero scopo di ogni giornalista ed in ogni campo. “Il mio unico padrone è il lettore” diceva Indro Montanelli. Ho sostenuto come, dopo l’uscita delle nuove intercettazioni considerate “irrilevanti” dai magnifici 12 di Auricchio, si sarebbe visto chi era in malafede e chi cercava solamente la verità. Purtroppo abbiamo potuto constatare che alla seconda categoria si sono iscritti in pochi. Ma, fortunatamente, buoni.
E’ il caso questo di un giornalista di cui abbiamo già ampiamente parlato, rammaricandoci per la “chiusura” dell’interessante rubrica domenicale al TG3 nella quale si occupava di calcio giocato e non. Oliviero Beha, fiorentino di nascita e di tifo, non è mai stato tenero con i signori del pallone e non serve in questa sede ricordare come anche lui la pensasse alla stregua dei colpevolisti quando tutto questo casino ebbe inizio, per poi però cambiare idea quando i fatti oggettivi hanno incominciato a raccontare tutta un’altra storia. E' di questi giorni l’uscita del nuovo libro di Beha, “Il calcio alla sbarra”, scritto con Andrea Di Caro, e di cui Dagospia riporta uno stralcio importante e significativo. E finalmente riusciamo a leggere una ricostruzione “storica” degna di questo nome. Per Beha si è trattato di un “falso ideologico a mezzo stampa” di cui hanno approfittato coloro che sapevano di essersi comportati come l’ex DG della Juventus (ma anche peggio), gettando tutto nella “discarica Moggi”. “Tra l'altro essendo maneggioni meno competenti ed efficienti di lui che ha garantito anni di successi juventini senza chiedere soldi alla madre patria Fiat”. E la cui colpevolezza è “ancora da dimostrare”. Addirittura si legge “…all'epoca, durante i processi estivi del 2006, non veniva detto con chiarezza che c'era un sistema onnicomprensivo e non un sistema-Moggi. Di fronte a questa differenza basica non ho tirato il famoso calcio di rigore mediatico”. Questa si che è onestà intellettuale, ed è rispetto del lettore, signori. Poi l’analisi continua sui “pezzi dello Stato” che dovrebbero essere i corrotti e quindi più colpevoli dei corruttori (molto eventuali): si passa dall’ “innocente” Carraro a quel suo vice, il “gattopardiano” Abete. E ancora ad una giustizia sportiva che tra le varie colpe ha quella di “espungere la parte istituzionale e caricare il "mafioso" di tutto il marcio visibile in un'operazione di pulizia che oggi, a distanza di cinque anni, sembra sempre più sconcertante”, ricordando anche “scandali come Premiopoli o i ritardi nel prendere atto e investigare sulla degenerazione delle scommesse e della corruzione ad esse collegata”. Ma il cuore del problema è che “nel calcio c'è già da sempre una sorta di unificazione di poteri sotto l'esecutivo che controlla il legislativo e il giudiziario”. E siccome tra deformazioni mediatiche e queste istituzioni sportive non è che ci si capisca molto, Beha fa anche un piccolo riassunto della vicenda. Si parte con le intercettazioni di Torino e l’archiviazione di Maddalena, l’immobilismo di Carraro e la visita di Moggi a Palazzo Grazioli dove il Presidente del Consiglio gli avrebbe offerto di dirigere il Milan. Cosa che avrebbe fatto molto poco piacere a Galliani, il cui fastidio “…sposa perfettamente intenzioni e volontà di chi all'interno della Juventus come detto non vedeva l'ora di mettere mano al "nuovo corso". Da qui l’avvio delle indagini a Napoli, le intercettazioni “selezionate da Auricchio” e tre calzanti riferimenti alla “difesa” zacconiana, alla figura tutta intrisa di conflitti d’interesse di Guido Rossi e allo spionaggio Telecom.
Ora, ciò che è davvero importante di questa ricostruzione non sono tanto i concetti, cose che noi juventini veri sappiamo da anni. Ciò che è davvero significativo è in primis l’onestà intellettuale del suo autore e poi che una visione giusta della vicenda ce la dia uno che non è juventino. Sembrerà banale ma è così. In un panorama desolato e desolante come quello del mondo mediatico italiano, comportamenti del genere ti fanno quasi essere speranzoso del fatto che il lavoro di 5 anni del movimento web juventino abbia preso la via giusta. Perché magari ci fottono con un altro ingiusto compromessuccio federale, ma la storia è dalla nostra parte. E la storia non si prescrive, non è l’etica “abetiana”. Può altresì sembrare banale andare a cercare il buon giornalismo in una vicenda di pallone e processi. “Ma tu che pensi sempre alla Juve, ma ti rendi conto in che paese viviamo?” Certo che me ne rendo conto, e mi rendo conto anche che tra le varie emergenze democratiche di questo paese allo sbando culturale più completo, quello dell’informazione è ai primissimi posti. Sia tra i cosiddetti “a libro paga” che tra i cosiddetti “contro informatori”. Non c’è assolutamente differenza tra fare il giornalismo a uso e consumo del proprio editore e trattare le vicende in un certo modo perché forse qualche cattivone ti ha levato l’accredito allo stadio. Il tifo, i propri interessi vengono sempre prima della verità e in tutti i campi della vita civile italiana. Solo che, come noi sappiamo bene, in Italia il calcio è “lo specchio del potere” e magari indagando sulle magagne calcistiche ti imbatti in giochi di potere che mai avresti pensato di trovare. Per questo il lavoro di gente come Beha deve essere valorizzato e deve far riflettere. Speriamo che seguendo il suo esempio qualche colpevolista della prima ora (esclusi quelli in malafede, of course) si ricreda e abbandoni questo farsesco e ridicolo atteggiamento da conservazione di una verità preconcetta e smentita. In caso contrario, ci uniamo a Beha: “Benvenuti a Farsopoli”.
Beha e la denuncia del falso ideologico a mezzo stampa
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