Il 18 maggio 2006, a Parigi si svolgeva la riunione finale del Gruppo di Riferimento del primo Rapporto Indipendente sul calcio europeo (Rapporto Arnaut), con la partecipazione dei Ministri dello Sport di Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Spagna, del Segretario Generale della F.I.F.A. e del Direttore Generale dell’U.E.F.A: Tale iniziativa era stata commissionata nel 2005, durante il semestre di Presidenza UE britannica, allo scopo di trovare idonee e uniformi soluzioni a livello comunitario per tutte le problematiche scaturite a seguito dell’approvazione della Dichiarazione di Nizza (1999). In quell'occasione la Comunità Europea aveva riconosciuto piena autonomia alle associazioni sportive europee (federazioni sportive) nell’organizzare e promuovere, nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie, le rispettive discipline nel modo da esse ritenuto più conforme ai loro obiettivi , tenendo conto, d'altra parte che i crescenti interessi economici che gravitano intorno al “prodotto” calcio lo rendono sempre più un “business” molto appetibile. Questo contrasto tra specificità dello sport e “business” o meglio questa convivenza è alla base di tanti problemi, tensioni e conflitti in ambito calcistico europeo.
In quelle stesse ore in cui nella capitale francese i governi europei discutono e si confrontano su come risolvere questi problemi, in Italia impazza lo scandalo “Calciopoli” con i media che dispensano intercettazioni telefoniche che mettono a nudo i limiti insiti nella specificità di cui gode lo sport europeo; ma, sulla base di un’indagine della Procura di Napoli, le colpe di tutte le nefandezze del mondo del calcio vengono addossate ad alcuni dirigenti sportivi, accusati di aver organizzato un’associazione a delinquere per mettere le mani sul calcio.
Ad ottobre 2006, mentre in Italia la Camera di Conciliazione e Arbitrato del Coni si appresta a diramare le sanzioni definitive nei confronti di società e dirigenti coinvolti nello scandalo, il Rapporto Arnaut viene approvato: 50 pagine in cui si effettua una disamina particolareggiata delle problematiche riscontrabili nell’amministrazione interna delle autorità calcistiche (federazioni sportive) che, si ribadisce, non possono essere parte interessata alla gestione del prodotto calcio, bensì un’istituzione incaricata di conciliare i vari (ed a volte in concorrenza) interessi delle parti interessate allo scopo di proteggere gli interessi di questo sport. Tutte le autorità sportive devono organizzarsi per svolgere tale compito al meglio, per restare trasparenti e responsabili nelle procedure decisionali e per restare al passo con i tempi, poiché gli sport di loro competenza sono in costante evoluzione. Questa prima indicazione è già sufficiente a rendere palese tutte le deficienze della legislazione italiana in materia di sport; a seguito dell’approvazione del Decreto Melandri (integrato dai Decreti Tremonti e Pescante) sono le stesse componenti (Leghe e Associazioni di Calciatori, Allenatori e Arbitri) a gestire la F.I.G.C. ed a ricoprire interessi di parte, generando indiscutibili conflitti d’interesse.
Il Rapporto dispensa numerose raccomandazioni sia alle Istituzioni dell’UE ed agli Stati Membri e sia alle autorità calcistiche europee su come risolvere la maggior parte delle problematiche evidenziate e nelle conclusioni si spiega come il modello sportivo europeo ha ottenuto molto successo, guadagnandosi il rispetto di tutto il mondo, perché basato su inclusione sociale, solidarietà finanziaria e veri valori sportivi. Tuttavia i crescenti interessi economici hanno creato problemi importanti e soltanto il coinvolgimento diretto della politica (legiferando in base alle raccomandazioni contenute nel Rapporto) può proteggere tale modello e garantire il futuro dello sport in Europa. Se i Paesi Membri UE non si assumeranno le loro responsabilità, si correrà il rischio di veder scomparire i veri valori dello sport ed il pubblico diventerà, di conseguenza, sempre più disaffezionato: “Tra tutte le parti interessate esiste la volontà politica di trovare soluzioni ai problemi di fronte ai quali ci troviamo. Dobbiamo raccogliere il guanto di sfida e riconoscere che le responsabilità nell’affrontare tali problematiche non è soltanto delle autorità sportive. Le autorità politiche hanno il dovere e gli strumenti giuridici per svolgere un compito attivo nel trovare le soluzioni necessarie. E’ giunto il momento di agire.”
Per l’Italia, un fondamentale contributo politico nella stesura di questo prezioso documento, è stato garantito dapprima da Mario Pescante con la collaborazione in veste giuridica di Massimo Coccia (uno dei tre saggi che, pur battendosi pubblicamente il petto, ha assegnato il famoso “scudetto di cartone” all’Inter per il campionato 2005-2006). Purtroppo, a seguito delle elezioni politiche dell’aprile 2006, tale documento finisce nelle mani del Ministro Giovanna Melandri, la quale all’epoca dei fatti era troppo presa a vestire i panni della mitologica Dike, dea della giustizia, inflessibile punitrice dei delitti, non cosciente che il Rapporto Arnaut avesse individuato proprio nei limiti del suo Decreto del 1999 tutti i mali del calcio italiano, lasciato improvvisamente in balia di un liberismo selvaggio ed omettendo anche contenuti fondamentali della Dichiarazione di Nizza del 1999, ove già si raccomandava la vendita collettiva dei diritti televisivi.
Il 27 giugno 2006 il Ministro Melandri ha partecipato all’audizione della Camera dei Deputati sulle linee programmatiche del suo dicastero e, ovviamente, ha affrontato, tra i vari argomenti, lo scandalo Calciopoli: “Il quadro che emerge dall'inchiesta in corso è quello di un mondo dove le regole esistenti non sono state rispettate e dove molte di quelle stesse regole si sono rivelate del tutto inadeguate a garantire il corretto svolgimento delle competizioni e ad assicurare trasparenza alle attività dei soggetti interessati. Per questo mi indigno quando sento parlare, con tanta euforica leggerezza, di amnistia. Al calcio italiano, oggi, non servono improbabili e improponibili colpi di spugna, ma serietà, saggezza e serenità. Il malato è grave, ma certo non irrecuperabile, soprattutto se puntiamo su un nuovo quadro trasparente di regole e sui giovani. Spetta, quindi, ora alla giustizia ordinaria e a quella sportiva nei prossimi giorni completare il loro corso e accertare le eventuali responsabilità di coloro che non hanno rispettato le regole, ma occorre anche procedere ad una riscrittura delle regole stesse, per evitare il ripetersi di così gravi fenomeni ed anche per garantire un nuovo equilibrio competitivo”. Nella parte finale del suo intervento, in cui ha rappresentato l’importanza del Rapporto Arnaut elencando tutte le raccomandazioni in esso contenute ed impegnandosi a darvi seguito a livello legislativo nazionale, grazie all’interruzione voluta dal Presidente della Commissione Cultura della Camera, Pietro Folena, nessun parlamentare ha avuto la possibilità di far notare al Ministro Melandri che, se le regole si son dimostrate inadeguate, questo era da imputare quasi esclusivamente al Decreto che porta il suo cognome.
Dal 17 maggio 2006 al 7 maggio 2008, durante la sua gestione del dicastero dello Sport, l’ambientalista che lavorava nell’azienda petrolchimica Montedison, ha dato prova agli italiani, qualora ve ne fosse stata ancora necessità, che Giovanni Agnelli aveva un fiuto non comune nell’inquadrare le persone: “Giovanna Melandri? Al massimo le farei fare la segretaria, ma la segretaria di un altro”.
Rimane anche celebre la frase di Claudio Velardi, noto portavoce di Massimo D’Alema:”Va bene facciamola ministro. Nel governo ci vuole una bella donna che venga bene nelle foto” regalandole nel 1993 la palma di prima velina della Seconda Repubblica. Lei poco dopo, per non smentirsi, si dichiarava “occhettiana” convinta.
Sostenitrice di tematiche molto care ai movimenti giovanili studenteschi di estrema sinistra, non perde occasione per dare prove di coerenza intellettuale, prendendo parte alle feste del jet set e scatenandosi in danze conturbanti. Colta sul fatto, smentisce ufficialmente la sua partecipazione ad eventi mondani, venendo sbugiardata da scatti fotografici (pubblicati dal Corriere della Sera) che la ritraggono in kaffetano bianco che si dimena come se fosse affetta dal Ballo di San Vito.
Un anno dopo (settembre 2007) il neo Presidente dell’UEFA, Michel Platini, scrive una lettera ai Capi di Stato e di Governo dei Paesi Europei: “Una grave minaccia si staglia all'orizzonte dello sviluppo del calcio europeo: la nefasta onnipresenza del denaro….Mi rivolgo a tutti i Capi di Stato e di Governo perché rappresentate l'ultima speranza per un futuro sano ed equilibrato del calcio europeo. Sono conscio del fatto che siete sensibili al problema e capite quanto questo tema sia importante per decine di milioni di concittadini europei. Riprendete la torcia della speranza e ridate ai valori sportivi la giusta priorità. Lasciate prevalere la gloriosa imprevedibilità dello sport sulla tetra certezza del denaro. Il calcio unisce e trascende l'Europa, l'Europa deve aiutare il calcio.”
Stiamo per lasciarci alle spalle anche il 2010 ed in Italia nulla è cambiato a livello legislativo. L’ultima legge sull’organizzazione dello sport in Italia risale al 2004 (il Decreto Pescante che ha cercato soprattutto - dopo i ricorsi del Catania ai tribunali ordinari ed il conseguente allargamento della Serie B a 24 squadre - di porre rimedi alla privatizzazione non ponderata dello sport italiano, a seguito del Decreto Melandri) lasciando ancora in essere tutte le contraddizioni sulla governance delle federazioni sportive. Non è un caso che l’Italia sia la patria del “Tutto cambia perché nulla cambi”: nel 2006 venne creato ad arte uno scandalo fondato su problematiche comuni a tutto il contesto calcistico europeo; vennero intercettati e successivamente squalificati dirigenti ed arbitri sulla base di teorie che sono rimaste prive di alcun minimo riscontro oggettivo. Al solo scopo di far credere all’opinione pubblica che tutto era cambiato, si son portati avanti processi ed accuse basati sul nulla, mentre il Rapporto Arnaut e l’appello di Platini sono rimasti del tutto inascoltati, lasciando in essere un sistema ricco di contraddizioni e di conflitti di interesse, nel quale la logica del denaro continua a dettare l’unica legge, a discapito dei valori insiti nello sport.
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