"Ho fatto squadre troppo forti e scatenato l’invidia. Se avessi perso qualche partita in più non sarebbe cambiato niente. La squadra che avevo avrebbe continuato a far perdere tutte le altre, anche l’Inter che aveva speso tanto. L’Inter, la banda degli onesti… la loro più grande operazione nel calcio è stata quella di quattro anni fa contro la Juventus".
E’ stata questa la risposta che Luciano Moggi ha dato al settimanale “Panorama” nello scorso mese di agosto alla domanda su quali errori avesse commesso, a giustificazione della sua estromissione forzata dal mondo del calcio. A primo impatto la risposta può apparire abbastanza semplicistica e non mi stupirei se dovesse anche generare nella mente di un qualsiasi cittadino italiano, che in questi quattro anni è stato tempestato dai media sulle “malefatte” dell’ex Direttore Generale della Juventus, un certo sconcerto che potrebbe sconfinare facilmente nell’idea dell’uomo impenitente.
Mentre il processo di Napoli si avvia verso la conclusione, chi ha avuto modo di seguire le numerose udienze che si sono succedute, tra svariate testimonianze sia dell’accusa sia della difesa e con qualche dichiarazione spontanea degli imputati, si ritrova un quadro dello scandalo “Calciopoli” per nulla attinente a quanto i principali media e le conseguenti sentenze dei vari gradi della giustizia sportiva (compresa quella di primo grado del rito abbreviato, che alcuni imputati avevano scelto, nella convinzione che le prove indiziarie erano talmente deboli da poter rischiare una formula non pienamente garantista) avevano sancito: l’esistenza di una “cupola” calcistica che aveva contaminato il campionato più bello del mondo.
Si può prendere spunto dalle affermazioni rilasciate alcuni giorni fa da Andrea Agnelli in veste di Presidente della Juventus: “In cuor mio, tutti sanno cosa penso di Calciopoli, e cioè che è stato un procedimento ridicolo”. A seguito dell’ottimo lavoro svolto dallo staff della difesa di Luciano Moggi, che ha messo a nudo tutte le carenze del lavoro svolto dal nucleo di investigazione capeggiato dal Colonnello Auricchio e dei conseguenti capi d’accusa messi in piedi dai pm Narducci e Beatrice (sostituito da Capuano a processo in corso), le parole del presidente bianconero non possono essere scambiate come opinioni di parte, ma basate su dati di fatto incontrovertibili.
L’avvocato Maurilio Prioreschi, nel corso dell’ultima puntata di “Signora Mia”, a seguito del ritrovamento di numerose telefonate tra i dirigenti sportivi di numerose squadre (l’Inter su tutte) con arbitri e designatori, ha illustrato il suo fondato punto di vista in merito al silenzio - peraltro rotto in alcuni frangenti da dichiarazioni contenenti accuse di slealtà nei confronti degli indagati a causa di questi contatti – dei dirigenti “invischiati” in queste nuove telefonate, evidenziando che tale comportamento ravvisa pienamente l’infrazione dell’art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva per reiterata slealtà sportiva.
In tema di slealtà sportiva ci sarebbe anche altro da dire e, non essendo l'argomento stato affrontato, al momento, in alcun contesto, è bene che se ne inizi a parlare: l’illecito strutturato (trasformato nei capi d’accusa del processo di Napoli in associazione a delinquere).
Il silenzio di numerosi dirigenti sportivi in merito a questa accusa non può passare inosservato. E’ ammissibile che persone esterne al mondo del calcio (quali possono pure essere i carabinieri e i pubblici ministeri o anche giornalisti non abituati ad approfondire tematiche sull’organizzazione dello sport) possano aver dato credito a questa ipotesi di reato; ma sicuramente questo non poteva accadere per tutti quei dirigenti sportivi che, non toccati dallo scandalo, son rimasti in silenzio davanti a questa stessa ipotesi di reato, che assume la connotazione di un abominio per chi ha vissuto l’iter di privatizzazione del calcio, sancito dal Decreto Melandri, in conformità al principio di autonomia e specificità di cui gode il calcio nei paesi della Comunità Europea, ove le autorità sportive, siano esse federazioni o leghe, sono autonome nel senso che godono di discrezionalità, soprattutto nella regolamentazione della propria organizzazione e nella “determinazione” delle regole del giuoco.
Nel 1999, a seguito dell’approvazione del Decreto Melandri, le federazioni sportive (F.I.G.C. compresa) vengono privatizzate e la loro gestione viene demandata alle tre leghe allora esistenti (Lega Nazionale Professionisti, Lega di Serie C e Lega Nazionale Dilettanti) ed alle tre componenti tecniche (Associazione Italiana Calciatori, Associazione Italiana Allenatori Calcio e Associazione Italiana Arbitri), che avevano tutte interessi economici propri da tutelare.
In tal modo la Federazione Italiana Giuoco Calcio da organo di governo e controllo delle attività calcistiche e di vigilanza sulle sue componenti si trasforma nella casa delle componenti stesse che, tramite le assemblee elettorali, hanno la possibilità di tutelare i loro interessi nominando propri candidati per le poltrone di controllo del governo del calcio. Addirittura, fino al mese di gennaio 2004, data di approvazione del Decreto Pescante, la F.I.G.C. risulta pure svincolata dal potere di vigilanza del C.O.N.I.
In un tale contesto così altamente autoreferenziale si creano conflitti di interesse sproporzionati e, al sorgere dei primi segnali che il calcio italiano ha imboccato una strada di non sostenibilità economica e che il boom dei diritti televisivi non poteva rappresentare la panacea di tutti i mali, si formano due “blocchi” (alleanze tra componenti) che cercano, ad ogni elezione, di superare l’altro. Il primo blocco vede allearsi la Lega Nazionale Professionisti e la Lega Nazionale Dilettanti; ad esso si accoda anche l’Associazione Italiana Arbitri, che, a seguito del progetto del professionismo arbitrale con la rispettiva nomina del doppio designatore, aveva visto possibilità di crescita in termini economici sia per gli arbitri di prima fascia che per la base (esponenti di punta di questo primo blocco sono Franco Carraro, Adriano Galliani, Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini, in quota LND). Il secondo blocco comprende la Lega Professionisti di Serie C e le altre due componenti tecniche (AIC e AIAC) ed ha come esponenti di punta Giancarlo Abete, Sergio Campana, Renzo Ulivieri e Mario Macalli.
Al termine del periodo di commissariamento della F.I.G.C. nella persona di Gianni Petrucci (2000-2001), le prime elezioni del nuovo corso dello sport privatizzato vedono prevalere il primo blocco, con l’elezione di Franco Carraro a Presidente Federale e la conseguente sconfitta di Giancarlo Abete. Gli accordi tra le componenti avvengono alla luce del sole e sugli organi di informazione è possibile rinvenire notizie su quali fossero gli schieramenti ed anche sulle battaglie per il controllo del Palazzo, lotte aventi tutte come fine una politica federale che tutelasse maggiormente le componenti vincitrici delle elezioni.
Le successive elezioni del febbraio 2005 (quelle monitorate dalle intercettazioni telefoniche della Procura di Napoli) vedono confrontarsi nuovamente i due blocchi che si erano già scontrati nel dicembre del 2001. Ad essere intercettati sono solo quelli del primo blocco (sfortunatamente?), ma pur ascoltando le telefonate di Moggi, Giraudo e Mazzini è possibile carpire che ci troviamo di fronte ad un contenzioso elettorale, ove ognuno cerca di tutelare i propri interessi; è possibile soprattutto ascoltare il loro stupore sui comportamenti di alcuni dirigenti, appartenenti al proprio schieramento, (Carraro e Ghirelli su tutti, ma anche Della Valle stesso che sta portando avanti una battaglia in Lega, andando contro gli interessi delle società di Serie A) che iniziano ad assumere comportamenti ambigui. Fondamentale a questo punto citare un’intercettazione telefonica tra Franco Carraro e Luciano Moggi:
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Carraro-Moggi, 3 febbraio 2005, ore 14.30
CARRARO: Vabbè. Per forza, ma è sempre stato così, ehm il fratello di Abete, … Luigi intendo, che pure ha più personalità di lui, è il primo cameriere di Della Valle, nel senso che lui fa sempre le vacanze pagato da Della Valle, o all’albergo Cala di Volpe o sulla barca di Della Valle, cioè… è in Banca Nazionale del Lavoro solo perché Della Valle lo sostiene, eccetera! Pertanto, voglio dire, non c’è dubbio che sia così, eh? È un fatto…è un fatto… È un fatto un po’, un po’ politico ed un po’, perché c’è anche un aspetto politico, eh? Perché‚ tutto il Gruppo Della Valle, Innocenzo Cipolletta, Luca di Montezemolo eccetera, danno anche un contenuto politico! Basta leggere la…
MOGGI: No, no, ma è fuori dubbio questo!
CARRARO: Basta leggere l’atteggiamento che ha il Sole 24 Ore, eh? Allora, voglio dire, questo è un gruppo di potere che vuole mettere le mani sul calcio! Ma io lo avevo capito da tempo, e quando ho detto che me ne volevo andare, era anche perchè‚ capivo che… che noi siamo un’armata Brancaleone!”
In numerose telefonate è anche possibile ascoltare come Giraudo e Moggi cominciassero a sentir venire meno la fiducia della “casa madre”, visto che continuavano a circolare le voci di un Luca di Montezemolo che aveva voglia di cacciarli.
Le elezioni del 2005 videro un accordo “staffetta” tra Franco Carraro e Giancarlo Abete con cessione di due settori federali (Settore Giovanile e Scolastico e Settore Tecnico) a due componenti appartenenti al secondo blocco (AIC e AIAC), prima ancora che si votasse (discorso di Tavecchio all’Assemblea Federale), in violazione dello Statuto Federale, che prevedeva tali nomine non in fase preelettorale, ma in seno al primo Consiglio Federale del nuovo governo del calcio.
Oltre a Franco Baldini e ad alcuni giornalisti della Gazzetta, quanti erano a conoscenza delle indagini della Procura di Napoli? Carraro era realmente rimbambito o quella telefonata con Moggi non era fondata solo su sensazioni? Gruppi di potere (economici o politici) hanno attentato o continuano ad attentare all’autonomia ed alla specificità di cui gode lo sport in ambito europeo? Ma soprattutto, se Moggi avesse perso qualche partita in più, oggi sarebbe ancora nel mondo del calcio?
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