I media nostrani (tranne pochissime eccezioni) non vogliono proprio saperne di occuparsi seriamente del processo di Napoli e delle clamorose prove portate dalle difese, prove che vanno a smontare l’ipotesi accusatoria (che, ad onor del vero, si era già ampiamente smontata da sola) e i farseschi processi sportivi che ne sono seguiti. Ma anzi, continuano a sminuire le intercettazioni “inedite” e a puntare il dito sulla colpevolezza di Moggi e della Juventus, peccando di palese e assurdo doppiopesismo. Sarà che si avvicina la sentenza a Napoli? Ne è una prova evidente questo articolo, uscito sul “Fatto Quotidiano” (nella cui redazione ha trovato terreno fertile) a firma di una famosa penna, Gianni Minà, in data 19 novembre. Data “l’eccezionalità” del pezzo in questione, “Orrori di stampa” gli dedica volentieri una puntata.
Andrea Agnelli, giovane presidente di belle speranze della Juventus, ha annunciato una battaglia per tentare di recuperare gli scudetti del 2005 e del 2006, tolti al suo club dalla Federcalcio per accertato (fino a prova contraria) uso improprio degli arbitri e dei guardalinee, in combutta con il Milan che però, ingiustamente, se la cavò solo con un po' di punti di penalizzazione. E questo nonostante il provato coinvolgimento del trattore Leandro Meani, dirigente ufficiale del Milan addetto agli arbitri, nel condizionamento dei guardalinee scelti per le partite dei rossoneri.
Vede, caro Minà, è operazione assai ardua mettere insieme “l’uso improprio degli arbitri” e il termine “accertato”, perché non si tiene conto delle numerose “prove contrarie”. Dall’ammissione della regolarità del campionato della sentenza Sandulli, alle molteplici storture e contraddizioni delle informative dei carabinieri fino ad arrivare alle statistiche del campo riguardanti gli arbitri accusati (e poi tutti prosciolti, si è mai chiesto il perché?): non torna niente. Su quell’”ingiustamente” potrei darle anche ragione, ma ci terrei ad informarla che il Milan (come abbiamo appurato nel 2006 e come stiamo vedendo in questi giorni) non parlava solo con i guardalinee, ma anche con arbitri che rispondono al nome di Rodomonti e Paparesta, senza citare le telefonate e le uscite notturne nei ristoranti chiusi con Collina. Mi trova una sola conversazione tra Moggi e arbitri o assistenti? Mi dia retta, lasci perdere il “Metodo Auricchio”.
Questa tesi ha trovato d'accordo anche la giustizia ordinaria che, infatti, sta processando Moggi al Tribunale di Napoli. Andrea Agnelli, però, ha già fatto presente che la sua idea su Moggi è diversa dai convincimenti dei pubblici ministeri di Napoli e ha affermato di stimare Lucianone.
Ma essere sotto processo è sinonimo di colpevolezza? Vede, caro Minà, quella giustizia ordinaria che sta processando Moggi è la stessa che ha ritenuto rilevanti le telefonate portate dalle difese e colpevolmente ignorate dagli inquirenti, è la stessa che ha ripetuto a numerosi testimoni dell’accusa che testimoniando in tribunale si rischia di essere accusati di falsa testimonianza, è la stessa che ha riconosciuto che questo processo “crea intralci alla sezione” ed è ancora la stessa che ha detto che ci sono anche “processi seri” di cui occuparsi con gente agli arresti. Giustizia ordinaria era anche quella che ha assolto Moggi a Reggio Calabria (caso Paparesta), a Roma (associazione a delinquere nel processo GEA) e a Torino (doping amministrativo). Per quanto riguarda Andrea Agnelli, non si meravigli, è solo il primo tifoso della squadra più gloriosa d’Italia, che non rinnega nemmeno un secondo di 113 anni di storia e di successi puliti e meritati sul campo. Il tempo dell’espiazione a prescindere è finito, mi spiace per Lei, caro Minà.
Ora la diatriba non meriterebbe più attenzione di tante storie contraddittorie della nostra società se da mesi, ormai, nella maggior parte dei mezzi di informazione, che si occupano quotidianamente di calcio, non si percepisse latente, in un'Italia già tanto amorale, una nostalgia per Moggi e i suoi metodi.
Un atteggiamento colpevolmente dimentico che per la giustizia sportiva, dove i tentativi di delinquere pesano spesso più della riuscita o meno del misfatto messo in atto, la Juventus della "triade" (Giraudo, Moggi e Bettega) aveva subdolamente violato le leggi più elementari non solo dello sport ma della giustizia civile, con un'arroganza palese e offensiva (basta rifarsi alla famosa distribuzione delle schede telefoniche svizzere agli arbitri corrotti).
Senza contare, inoltre, che la giustizia ordinaria aveva già condannato a tre anni, per truffa e frode sportiva, l'amministratore delegato della Juventus di allora Antonio Giraudo, che aveva scelto il patteggiamento. I paladini di Moggi, così come nel 2006 facevano finta di ignorare le logiche della giustizia sportiva, ora cercano di avallare l'interpretazione secondo la quale chi parlava con i due designatori degli arbitrari (cioè il calcio italiano al completo) commetteva lo stesso reato di chi, come Moggi, non solo teneva sotto schiaffo, anche a nome del Milan, tutte le strutture del nostro football, ma letteralmente dettava nei particolari ai due sciagurati responsabili delle scelte, Bergamo e Pairetto le griglie di designazione degli arbitri e dei guardialinee.
Non è proibito parlare al telefono o raccomandarsi, come faceva Facchetti, semmai è poco elegante. E' proibito, invece, nello sport e nella vita, imporre, ricattare, mettere in piedi meccanismi perversi, insomma condizionare aggressivamente le regole che fanno convivere un mondo. Io non so se i Pm di Napoli riusciranno a provare l'associazione per delinquere (anche se il GUP, su giudizio abbreviato riguardante Giraudo, c'è già riuscito), ma il contesto squallido rimane e spiega l'attuale pochezza del nostro football presuntuoso ed avido. È miserrimo avallare capziosamente la tesi, molto berlusconiana, di un complotto del quale sarebbero complici da Guido Rossi al Procuratore federale Palazzi, dal colonnello dei Carabinieri Auricchio, che ha svolto l'indagine su Calciopoli, ai Pubblici Ministeri di Napoli, Beatrice e Narducci, quest'ultimo non per caso pubblica accusa anche nel processo dove è stata richiesta l'autorizzazione a procedere per Nicola Cosentino, sottosegretario all'economia, accusato di trescare con la camorra. Un processo che la P3, recentemente smascherata, ha tentato di bloccare.
Sul serio Lei vede nostalgia per Moggi? Magari alla Gazzetta, vero? E come giudica il fatto che quei pochi che invocavano la presunzione d’innocenza e la parità di trattamento non compaiono più in televisione? Ma il ruolo dell’informazione lo riprendiamo dopo. Noto con piacere che l’accusa verso chi “aveva violato le leggi più elementari non solo dello sport, ma della giustizia civile” si riduce all'inflazionatissima leggenda metropolitana delle schede svizzere. E sì, caro Minà, perché deve sapere che quello delle schede svizzere è solo un teorema accusatorio basato su un incrocio di celle telefoniche senza uno straccio di pedinamento per controllare che quella persona fosse in quel posto e senza neanche mezza scheda consegnata ad un arbitro. Un po’ poco per parlare di giustizia civile. E se vuole parlare di “dettare nei particolari”, Le ricordo che, nella famosa Moggi-Bergamo da lei citata (unica telefonata in cui Moggi parla di griglie), il dirigente juventino si limita ad ipotizzare una griglia, che poi tra l’altro non corrisponde a quella effettivamente disposta dai designatori. Ha ragione, non era proibito parlare ai designatori (non per tutti a quanto pare), ma era proibito tentare di truccare una griglia indicando due arbitri preclusi e quello desiderato. Così come era proibito andare da un arbitro prima della partita e indicargli lo score con la propria squadra, come una sorta di monito. I nostri saranno anche stati meno eleganti e forse un po’ anche arroganti, ma sicuramente erano tra i più corretti e i più competenti. Perché è così che si vince, caro Minà. I “paladini di Moggi”, come ci chiama Lei, hanno abbastanza onestà intellettuale per ammettere che la condanna di Giraudo è legata al fatto che nel rito abbreviato non c’è dibattimento, per cui non si possono portare prove a discolpa. E ora mi risponda: erano diffidati Pinzi, Muntari e Di Michele in Udinese-Brescia? E’ stato annullato un gol al Chievo in quel Chievo-Fiorentina del 2004-2005? Qui non c’è nessun paladino e nessun complotto, ci sono solo comuni cittadini che si indignano per il fatto che sia stata fatta un’indagine con i colpevoli già designati e che, pur di accusare quei colpevoli, siano state ignorate migliaia di telefonate che ne provavano l’innocenza. Lei giudica questo un fatto normale in una democrazia? Ma si sa, “l’opposizione” culturale nel nostro paese si indigna solo per alcune emergenze democratiche, le altre vengono ignorate, come nel migliore dei “metodi Auricchio”. E questa sicuramente è cosa miserrima, caro Minà.
Un tifoso può anche rifugiarsi dietro certi toni, ma chi fa il mestiere del giornalista deve avere etica, anche se in questo periodo non è di moda. Perché non si può dimenticare il processo per abuso di farmaci con la triste sfilata, davanti al giudice Casalbore, di tanti giovani calciatori bianconeri, poco più che ventenni, ma che non ricordavano nulla? Non a caso la Corte di Cassazione, riguardo al reato di frode sportiva, annullò nel 2007 l'assoluzione di Giraudo e del medico sociale Agricola emessa dalla Corte d'appello di Torino nel 2005. I due si salvarono solo perché risultarono scaduti i termini di prescrizione.
Su questo punto siamo d’accordo. Dico da quattro anni che chi fa informazione deve avere etica. Ma neanche l’etica può essere individuata col metodo Auricchio, caro Minà. Etica avrebbe voluto che nel 2006 non fossero arrivate ai giornali intercettazioni coperte da segreto istruttorio, etica avrebbe voluto che, prima di scrivere cose non vere, si fosse andati a controllare sui dati del campo se le accuse corrispondessero a verità, invece di mettere alla gogna mediatica persone giudicate in processi da “Santa Inquisizione”. O pensa che Enzo Biagi non avesse etica giornalistica? Etica avrebbe voluto che in questi anni si fossero seguiti i vari processi dando loro la stessa risonanza di quelli farsa del 2006, senza porre in essere una sorta di mutismo mediatico per quattro anni, per poi risvegliarsi con lo scopo di far passare le stesse identiche e sterili accuse, sconfessate in un aula di tribunale. E sarebbe altrettanto etico dire che la Cassazione nel processo doping ha assolto ha assolto la Juventus dall’accusa di uso di EPO (in verità Giraudo venne assolto anche in primo grado), dicendo che per l’abuso di farmaci sarebbe servito un ulteriore processo, che però non si poteva fare perché era sopraggiunta la prescrizione. Come ho avuto modo di dire ad altri suoi illustri colleghi che su Farsopoli la pensano proprio come Lei, forse è meglio documentarsi prima di sentenziare. Nel caso in cui non volesse, torni ai documentari, caro Minà.
Orrori di stampa/6 - Caro Minà...
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