"E conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi"
Giovanni, 8, 32
Ricordate quando Francesco Saverio Borrelli si lamentava dell'indisponibilità, da parte degli accusati di Farsopoli, di "confessare" i loro illeciti?
Ebbene, leggendo il capitolo VIII dell'ultima informativa dei carabinieri di Roma, intitolato "Gennaro Mazzei" (pp. 119-127), si può agevolmente capire il perché. Il fatto è che gli accusati, più che di "confessare" sembrano essere pervasi della volontà di dire la verità.
E' questo il problema.
E dato che né Borrelli né i vari organi della giustizia sportiva alla verità hanno mai dato il segno di essere interessati, prendono in considerazione l'ipotesi di dirla in un'altra sede, quella dei mezzi di comunicazione di massa, dove a partire dal maggio del 2006 i processi di Farsopoli furono celebrati con modalità degne di un regime totalitario.
Sembra un intreccio hollywoodiano. Come Harrison Ford ne "Il fuggitivo" si improvvisa detective per potersi discolpare da una falsa accusa, Lucianone, incastrato dai suoi nemici e braccato dalla giustizia, si improvvisa giornalista d'inchiesta per poter mostrare al pubblico le prove della sua innocenza. Sembra un film, ma è la realtà: in Italia A.D. 2007, invece di svolgere un lavoro d'inchiesta, il giornalista fa l'inquisitore, promuove processi mediatici. E' paradossale che alle vittime non resti che supplire a questo scandaloso vuoto deontologico improvvisandosi in prima persona operatori dell'informazione.
Così, il 29 novembre 2006 Moggi contatta l'ex designatore dei guardalinee. "Prima non ci parlavamo mai", esordisce. In effetti, lo si poteva desumere anche dalle informative del 2005 passate alla stampa nel maggio 2006. Poi lo consiglia, a proposito di una lettera aperta che Mazzei starebbe preparando: "E te… ma te dici la verità… la verità non guasta mai…". In realtà, Mazzei spera di poter andare a raccontarla da Mentana, la verità, "sotto l'aspetto di dire le cose come m'hanno tirato dentro", come hanno già fatto Bergamo (8 giugno) e De Santis (20 giugno), nonché lo stesso Moggi (26 settembre).
Il Direttore, che in quei giorni è riuscito a trovare uno spazio fisso almeno in una tivù locale, Antenna 3 Lombardia (a "Lunedì di rigore"), lo invita intanto a intervenire lì. Mazzei è titubante, "Mi sembra 'na trasmissione dove ridicolizzano parecchio però" (notare Repubblica che finge di non capire nulla e riferisce questa valutazione alla trasmissione di Mentana).
In effetti, Mazzei non ha tutti i torti, ma quello passa il convento per Moggi, soprattutto dopo la fatwa del Ministro dello Sport Melandri alla RAI seguita alla sua partecipazione a "Quelli che il calcio" di un paio di mesi prima
Giovanni, 8, 32
Ricordate quando Francesco Saverio Borrelli si lamentava dell'indisponibilità, da parte degli accusati di Farsopoli, di "confessare" i loro illeciti?
Ebbene, leggendo il capitolo VIII dell'ultima informativa dei carabinieri di Roma, intitolato "Gennaro Mazzei" (pp. 119-127), si può agevolmente capire il perché. Il fatto è che gli accusati, più che di "confessare" sembrano essere pervasi della volontà di dire la verità.
E' questo il problema.
E dato che né Borrelli né i vari organi della giustizia sportiva alla verità hanno mai dato il segno di essere interessati, prendono in considerazione l'ipotesi di dirla in un'altra sede, quella dei mezzi di comunicazione di massa, dove a partire dal maggio del 2006 i processi di Farsopoli furono celebrati con modalità degne di un regime totalitario.
Sembra un intreccio hollywoodiano. Come Harrison Ford ne "Il fuggitivo" si improvvisa detective per potersi discolpare da una falsa accusa, Lucianone, incastrato dai suoi nemici e braccato dalla giustizia, si improvvisa giornalista d'inchiesta per poter mostrare al pubblico le prove della sua innocenza. Sembra un film, ma è la realtà: in Italia A.D. 2007, invece di svolgere un lavoro d'inchiesta, il giornalista fa l'inquisitore, promuove processi mediatici. E' paradossale che alle vittime non resti che supplire a questo scandaloso vuoto deontologico improvvisandosi in prima persona operatori dell'informazione.
Così, il 29 novembre 2006 Moggi contatta l'ex designatore dei guardalinee. "Prima non ci parlavamo mai", esordisce. In effetti, lo si poteva desumere anche dalle informative del 2005 passate alla stampa nel maggio 2006. Poi lo consiglia, a proposito di una lettera aperta che Mazzei starebbe preparando: "E te… ma te dici la verità… la verità non guasta mai…". In realtà, Mazzei spera di poter andare a raccontarla da Mentana, la verità, "sotto l'aspetto di dire le cose come m'hanno tirato dentro", come hanno già fatto Bergamo (8 giugno) e De Santis (20 giugno), nonché lo stesso Moggi (26 settembre).
Il Direttore, che in quei giorni è riuscito a trovare uno spazio fisso almeno in una tivù locale, Antenna 3 Lombardia (a "Lunedì di rigore"), lo invita intanto a intervenire lì. Mazzei è titubante, "Mi sembra 'na trasmissione dove ridicolizzano parecchio però" (notare Repubblica che finge di non capire nulla e riferisce questa valutazione alla trasmissione di Mentana).
In effetti, Mazzei non ha tutti i torti, ma quello passa il convento per Moggi, soprattutto dopo la fatwa del Ministro dello Sport Melandri alla RAI seguita alla sua partecipazione a "Quelli che il calcio" di un paio di mesi prima
Due giorni dopo, il primo dicembre, il Direttore gli ventila finalmente la possibilità di andare anche lui da Mentana, ma l'ex designatore dei guardalinee frena ancora, dice di avere ricevuto il consiglio di "andarci cauto". E Moggi: "Ma… molto cauto, ma tu puoi dire tranquillamente la verità, mica, mica… molto cauto significa che telefonavano tutti.."
Dunque ancora la verità. E due.
Mentre altri, a Mazzei, consigliano invece di andarci cauti, con quella roba.
E come dovrebbe essere presentata, la verità di Mazzei? Sempre l'apprendista giornalista Moggi, quello che taroccherebbe tutto quel che tocca: "Io i particolari non li conosco (ride)… che noi ci siamo sentiti più ora che quando stavo in attività, perché io non è che facevo tanti discorsi, però ovviamente tu sai chi telefonava, giornalisticamente devi, devi dire: sì, mi telefonavano."
Tanto che Mazzei si apre già lì, al telefono: "Dirò la verità sotto l'aspetto che non chiamavano solo me, ma io ho assistito anche alle telefonate di Bergamo e Pairetto, e chiamavano tutti… chiamavano tutti e chi più… di tutte le società di serie A e serie B quasi, quindi questa era una cosa normalissima, ma questo non è che veniva data retta a una telefonata o all'altra…"
Poi si blocca. E' ancora preoccupato per le eventuali reazioni della Federcalcio, dove evidentemente la realtà dei fatti oggetto del processo sportivo del 2006 non è gradita. E' lì che il nostro aspirante Pulitzer di Monticiano, sapientemente, gli fa notare: "Oddio, non è che l'AIA t'abbia, t'abbia fatto grandi cose a te…"
L'obiezione va a segno: "No, no, anzi, anzi finora nei procedimenti mi hanno martellato" […] "Nel primo procedimento avevano agli atti tre telefonate che non c'entravo e mi hanno dato sei mesi… e questo è dimostrato con le telefonate fatte e non c'entravo niente e mi hanno dato sei mesi, in questo altro procedimento si sono costruiti addirittura un illecito dove io mi sarei rivolto, da imbecille, perché uno che si rivolge a un solo assistente è un imbecille, quindi come tentano di costruire un illecito di uno che si rivolge a un solo assistente, volendo no, anche se poi la telefonata è piena di contraddizioni…"
Insomma, dopo essere stato proclamato urbi et orbi imbroglione senza alcuna possibilità di difendersi, anche Mazzei vorrebbe poter dir la sua, ma nessuno pare disposto ad ascoltarlo. Tranne uno: Luciano Moggi, giornalista d'inchiesta: "Ascolta, io adesso ti telefono, è un assurdo, ma ti telefono da giornalista, nel senso che dico quello che ho fatto io, per me proprio con le televisioni e con i giornali, quindi non conosco il tenore delle telefonate che hai fatto te, non so quello che hai fatto te, io dico soltanto che certe volte a dire la verità ci si guadagna….eee a non avere paura di dirla, perché io proprio non avendo paura e poi anche perché non ho niente da nascondere, perché io non ho comprato niente a nessuno, ho detto quello che pensavo e credo di averne guadagnato non solo…"
Per l'ennesima volta dunque vengono ribaditi due concetti, uno di sostanza e uno di metodo:
1) Di sostanza: Moggi ai tempi non esercitava pressioni particolari su Mazzei;
2) Di metodo (deontologicamente impeccabile): "Io dico soltanto che certe volte a dire la verità ci si guadagna" (e tre). "Non avere paura di dirla" (e quattro).
Siete capaci di leggere, titolisti di Repubblica e giornalisti italiani tutti? Ben quattro volte in due telefonate Moggi ha suggerito a Mazzei di dire semplicemente la verità. A questo punto, credo proprio che, tramite Mazzei, stesse dando un consiglio anche a voi! Di più: un richiamo deontologico.
Mazzei, tra l'altro concorda, "Questo so convinto anche io, perché siccome hanno fatto un processo mediatico finora e bisogna mediaticamente impugnarlo…"
Tre mesi dopo (5 marzo 2007) i due si sentiranno ancora per commentare una dichiarazione del Commissario Straordinario FIGC succeduto a Rossi che Mazzei definisce vergognosa, con Moggi che gli dà ragione. E stavolta è l'ex designatore dei guardalinee a suggerire un argomento da usare mediaticamente, perché nel frattempo il Direttore continua a partecipare a "Lunedì di rigore": "Se ha modo di tirarla fuori stasera… ha dichiarato che ora sbagliano in buona fede gli arbitri, mentre gli altri anni dice che non erano in buona fede, allora PANCALLI dovrebbe dire… c'ha gli stessi arbitri de… degli altri anni e se c'aveva disonesti prima…"
Sfido chiunque a smontare il suo ragionamento. Sfido a farlo con Mazzei presente, o magari con Moggi.
Magari davanti a milioni di telespettatori.