Erasmo da Rotterdam diceva che non vi è niente di così assurdo che l’abitudine non renda prima o poi accettabile. Forse non aveva tutti i torti. Il ritorno del pallone in tv e della routine anodina fatta di polemichette e di (auto)patenti di onestà ha rassicurato in un sol colpo l’Italia col telecomando, i solerti della carta stampata e i vanagloriosi dimoranti del Cremlino federale, sancendo il ritorno ad una presunta normalità.
Tra ritrovate strette di mano, sorrisi di cartapesta e pacche sulle spalle che paion prove generali di pugnalate prossime venture, si lavora per un’illusione collettiva chiamata “calcio pulito”, per una menzogna più menzognera delle pillole dimagranti e dei Rolex taiwanesi. Ora gli arbitri sbagliano in buona fede e a Palazzo si va d’amore e d’accordo. Persino i più accaniti censori se ne stanno in silenzio, sazi del lauto banchetto consumato sui resti della Zebra sacrificale.
Se i bilanci restano un’opinione e non ci si stupisce di vedere al comando gli amici degli amici (Donadoni in Collina), ci siamo invece recentemente domandati che fine abbia fatto Zdenek Zeman, l’allenatore-predicatore di Boemia, che dall’alto del suo osannatissimo speaker’s corner ci aveva abituato a strali infuocati contro i malanni e le ipocrisie dello sport più seguito – e pagato – dello Stivale.
Eppure di carne al fuoco, per le sue avide fauci, ce ne sarebbe in abbondanza. E persino nel suo humus favorito, quel “problema doping” che gli era stato tanto a cuore anni addietro e per il quale aveva fatto il Brancaleone, trainando un’incredibile e feroce crociata giustizialista.
Sul Ronaldo che vola in Brasile in cerca del perduto vigore ha scelto il silenzio persino Guariniello, forse fiaccato per le fatiche del processo più inutile e farneticante che la storia sportiva italiana ricordi, ma dal censore di Praga ci saremmo aspettati quantomeno una smorfia di dolore, un gemito di riprovazione tra una sigaretta e l’altra. Insomma, il neo-riccioluto due volte pallone d’oro che, per l’ennesima volta, viene fatto oggetto di insinuazioni a sfondo farmaceutico (questa volta ci sarebbe di mezzo una versione “migliorata” di auto-emotrasfusione) avrebbe dovuto costituire per lui oggetto di feconde riflessioni e, perché no, di qualche piccata osservazione.
Ma probabilmente è la squadra oggetto delle polemiche a non stimolarlo a sufficienza, quel Milan che da ormai molti anni svetta incontrastato in cima alla classifica dell’impunità (dai calciatori remunerati "in nero" al caso Lentini, dai bilanci creativi a Calciopoli). Ma non c’è da stupirsi: Zeman aveva fatto lo struzzo anche qualche anno addietro, quando i milanisti Gattuso e Pancaro si erano rifiutati di sottoporsi ai controlli incrociati sangue-urine. Niente di male (tali controlli erano facoltativi) se non fosse per le giustificazioni addotte da società e calciatori che, alla fine dei conti, risultarono assai contraddittorie: per i capocchia di via Turati i prelievi sarebbero stati saltati perché il pullman della squadra era in partenza per l’aeroporto, per il buon Ringhio invece non sussistevano le necessarie condizioni igieniche, essendo la sala “invasa” da persone non autorizzate e le siringhe collocate su un tavolo adiacente il luogo adibito al prelievo delle urine.
Peccato che tutte le fantasiose spiegazioni rossonere siano state poi sconfessate in modo abbastanza clamoroso (il presidente della Federmedici sportivi, Maurizio Casasco, rese noto che la sala era vuota, che la stanza per la raccolta delle urine era da tutt’altra parte e che di siringhe non ce n’erano proprio, visto che i prelievi venivano eseguiti con l’ausilio di un macchinario che – adoperando solo minuscoli aghi - ne escludeva l’utilizzo), ma forse non abbastanza per suscitare i pruriti di allenatori preoccupati per il futuro dell’umanità e di magistrati in cerca di peli nelle uova.
L’importante è che il carrozzone vada avanti, che di sconquassi se n'è vissuti già a sufficienza. Meglio una sana e normalizzante normalità: Milan Lab rimane un inviolabile tempio della taumaturgia, la Gazzetta continua ad allegare dvd e la Juve dei ladri e dei dopati ha finalmente scelto la strada della simpatia. La pagina l'abbiamo voltata ma, in realtà, non sappiamo ancora che libro stiamo leggendo.
Tra ritrovate strette di mano, sorrisi di cartapesta e pacche sulle spalle che paion prove generali di pugnalate prossime venture, si lavora per un’illusione collettiva chiamata “calcio pulito”, per una menzogna più menzognera delle pillole dimagranti e dei Rolex taiwanesi. Ora gli arbitri sbagliano in buona fede e a Palazzo si va d’amore e d’accordo. Persino i più accaniti censori se ne stanno in silenzio, sazi del lauto banchetto consumato sui resti della Zebra sacrificale.
Se i bilanci restano un’opinione e non ci si stupisce di vedere al comando gli amici degli amici (Donadoni in Collina), ci siamo invece recentemente domandati che fine abbia fatto Zdenek Zeman, l’allenatore-predicatore di Boemia, che dall’alto del suo osannatissimo speaker’s corner ci aveva abituato a strali infuocati contro i malanni e le ipocrisie dello sport più seguito – e pagato – dello Stivale.
Eppure di carne al fuoco, per le sue avide fauci, ce ne sarebbe in abbondanza. E persino nel suo humus favorito, quel “problema doping” che gli era stato tanto a cuore anni addietro e per il quale aveva fatto il Brancaleone, trainando un’incredibile e feroce crociata giustizialista.
Sul Ronaldo che vola in Brasile in cerca del perduto vigore ha scelto il silenzio persino Guariniello, forse fiaccato per le fatiche del processo più inutile e farneticante che la storia sportiva italiana ricordi, ma dal censore di Praga ci saremmo aspettati quantomeno una smorfia di dolore, un gemito di riprovazione tra una sigaretta e l’altra. Insomma, il neo-riccioluto due volte pallone d’oro che, per l’ennesima volta, viene fatto oggetto di insinuazioni a sfondo farmaceutico (questa volta ci sarebbe di mezzo una versione “migliorata” di auto-emotrasfusione) avrebbe dovuto costituire per lui oggetto di feconde riflessioni e, perché no, di qualche piccata osservazione.
Ma probabilmente è la squadra oggetto delle polemiche a non stimolarlo a sufficienza, quel Milan che da ormai molti anni svetta incontrastato in cima alla classifica dell’impunità (dai calciatori remunerati "in nero" al caso Lentini, dai bilanci creativi a Calciopoli). Ma non c’è da stupirsi: Zeman aveva fatto lo struzzo anche qualche anno addietro, quando i milanisti Gattuso e Pancaro si erano rifiutati di sottoporsi ai controlli incrociati sangue-urine. Niente di male (tali controlli erano facoltativi) se non fosse per le giustificazioni addotte da società e calciatori che, alla fine dei conti, risultarono assai contraddittorie: per i capocchia di via Turati i prelievi sarebbero stati saltati perché il pullman della squadra era in partenza per l’aeroporto, per il buon Ringhio invece non sussistevano le necessarie condizioni igieniche, essendo la sala “invasa” da persone non autorizzate e le siringhe collocate su un tavolo adiacente il luogo adibito al prelievo delle urine.
Peccato che tutte le fantasiose spiegazioni rossonere siano state poi sconfessate in modo abbastanza clamoroso (il presidente della Federmedici sportivi, Maurizio Casasco, rese noto che la sala era vuota, che la stanza per la raccolta delle urine era da tutt’altra parte e che di siringhe non ce n’erano proprio, visto che i prelievi venivano eseguiti con l’ausilio di un macchinario che – adoperando solo minuscoli aghi - ne escludeva l’utilizzo), ma forse non abbastanza per suscitare i pruriti di allenatori preoccupati per il futuro dell’umanità e di magistrati in cerca di peli nelle uova.
L’importante è che il carrozzone vada avanti, che di sconquassi se n'è vissuti già a sufficienza. Meglio una sana e normalizzante normalità: Milan Lab rimane un inviolabile tempio della taumaturgia, la Gazzetta continua ad allegare dvd e la Juve dei ladri e dei dopati ha finalmente scelto la strada della simpatia. La pagina l'abbiamo voltata ma, in realtà, non sappiamo ancora che libro stiamo leggendo.