Ma guarda un po', tutto il terremoto delle nuove intercettazioni nell’aula partenopea si riduce al fatto se il nome di Collina l’ha pronunciato Bergamo o Facchetti. Questo cercano di farci credere i negazionisti (della verità che sta emergendo di giorno in giorno) in servizio permanente effettivo. E noi, ingenui, credevamo che la sequela di nuove telefonate servisse a squarciare il velo sulle verità ufficiali, prematuramente divenute articolo di fede.
Magari andando a guardare nel merito che cosa tali nuove intercettazioni ci facciano comprendere, e non fermandoci a polemizzare su un vero, o presunto, piccolo errore di trascrizione.
Non che ce ne fosse soverchio bisogno, ma la maggior parte del giornalismo italiano, in questi giorni, sta mostrando il meglio del peggio. In un’aula di tribunale si scopre che, in una delle indagini più clamorose della storia italiana (la sua eco oscurò sui giornali l’elezione del presidente Napolitano), gli investigatori hanno tralasciato "rilevanti" notizie (il giudice Casoria le ha definite "non irrilevanti" ndr), per concentrarsi solo sulla vittima predestinata, ma quasi tutti si nascondono dietro un cavillo riguardante la santa memoria del venerato Giacinto. La retorica del defunto non può coprire la disinformazione.
Ma non basta, c’è di più, molto di più. Il caso Calciopoli è insieme sintomo e metafora della vita pubblica del nostro Paese. Nel 2006, tutti i giornalisti presero per buona la verità ufficiale che, solo a guardarla un più attentamente, mostrava le sue evidenti falle e le sue non poche balle. Come ha raccontato l’ex direttore del "Corriere della Sera", Piero Ostellino, nessuno dei suoi colleghi volle accettare il suo invito ad analizzare lo sfondo sul quale le "clamorose scoperte" intorno al perfido Moggi erano venute alla luce.
Prima fra tutte, ovviamente, la serpentesca lotta di successione in seno alla famiglia Agnelli dopo le morti di Gianni e Umberto. I nostri giornalisti d’inchiesta che, da giovani, si erano fatti le ossa sulle trame nere non mostrarono alcun interesse per quelle bianconere.
Oggi il gioco, ovviamente con qualche maggiore imbarazzo, si ripete.
Prendete Travaglio, di cui anche i detrattori, solitamente, ammettono: "Quello, però, è uno che non lo freghi perché si legge tutte le carte". Ebbene, il sedicente tifoso bianconero Travaglio appare al termine di una delle poche equilibrate trasmissioni televisive sull’argomento per pronunciare un comizietto colpevolista contro Moggi. Circa la natura colpevolista nessuna novità, ma forse si comprende che non c’è nessuna novità nemmeno sulla sua impreparazione. Addirittura, con il suo solito sprezzante tono di sufficienza, il "Marco che non guarda in faccia a nessuno" arriva a dire che la verità del processo sportivo è assoluta perché, in ambito calcistico, per condannare sono servite 8 o 9 sentenze. Eppure, si sa che una delle maggiori vergogne di quella sentenza, dal punto di vista del diritto, è che fu annullato addirittura, per furia antibianconera, uno dei tre gradi di giudizio. Se tanto mi dà tanto, chissà cosa spara nelle vicende politico-giudiziarie di cui abitualmente si occupa con sdegnosa sicumera.
Ebbene, il problema principale, adesso, non sono i "regalini" di Moratti, le ripetute evidenze di "captatio benevolentiae" di Facchetti, diverse da quelle di Moggi solo per sua semi afasica introversione da valligiano bergamasco. La vera questione è che i carabinieri preposti all’indagine hanno unilateralmente deciso di non di fare chiarezza su importanti tracce investigative che avevano sotto gli occhi. La Gazzetta ha pubblicato nei giorni scorsi una "scheda" su Nicola Penta, consulente di Luciano Moggi, con il titolo "L'UOMO DELLE TRASCRIZIONI", e sottotitolo "La vivace storia del consulente speciale di Moggi Nicola Penta, ex ultrà ed ex «manager» di Ramazzotti, è stato anche indagato a Cesena", nella quale è andata a spulciare i trascorsi del consulente di Moggi. Ci sarebbe piaciuto, per par condicio, leggerne una altrettanto attenta e scrupolosa sul teste Auricchio, che, dalle ricerche sul web, offre spunti interessanti. Auricchio è stato protagonista nel processo per tante udienze, ma la Gazzetta ha snobbato un investigatore e lettore affezionato, che usava proprio la rosea per avvalorare le ipotesi di reato. Ingrati.
Davvero una bella informazione quella che su una vicenda del genere non si preoccupa di capire se c’entrasse qualcosa la volontà di John Elkann di sostituire, già nel 2005, la Triade con l’attuale trino Blanc: un proposito confessato dall’attuale presidente della Newventus in un’intervista a un giornale francese. Nessuna curiosità giornalistica nemmeno c’è stata sulla squadra che ha beneficiato della condanna juventina, il cui organigramma dirigenziale era strettamente intrecciato con quella Telecom, la cui Security aveva dimostrato di interessarsi eccome di vicende pallonare, dossierando illegalmente Moggi, arbitri ed esponenti del Palazzo calcistico.
Non si vuole assolutamente spacciare un semplicistico due più due fa sempre quattro. E certo, però, che un inquirente scrupoloso avrebbe a disposizione già due corpose piste su cui indagare. Sulle frequentazioni arbitrali della banda degli onesti vogliamo sapere tutta la verità, ma, ancora di più, intendiamo cercarla su chi ha imbeccato, suggerito, garantito, protetto gli artefici di un’inchiesta quantomeno diffusa in modo parziale e unilaterale. Questo è il punto più importante. Su questo, con le nostre modeste forze, intendiamo perseverare. Perché se è vero che ci guida la passione per i colori bianconeri, la questione, ormai, riguarda sempre più la dignità dei cittadini, compresi quelli che non conoscono la differenza tra un corner e un calcio di rigore.
Calciopoli: qual era il vero sistema malato?
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